E alla fine anche io faccio il mio debutto in The Weakly Hobbyt, rubrica con la quale non mi ritrovo troppo in sintonia per via della mia incapacità di sintetizzare, tuttavia cercherò di tenermi conciso in questo e nei miei futuri interventi.
Gli argomenti della settimana:
- The Neverhood
- La Solitudine dei Numeri Primi
- The Invention of Lying
- Donkey Kong Land
Un videogioco in plastilina (A cura di Dunther)
L’argomento di cui vi parlerò oggi è, tanto per cambiare, un videogioco. Il mese scorso ho terminato al 100% Monkey Island 2 Special Edition: LeChuck’s Revenge, avendo conseguito tutti gli obiettivi Steam; ero così deciso ad iniziare un’altra avventura grafica, e chiesi pubblicamente su facebook dei pareri, dando un paio di alternative.
Le due più gettonate furono Machinarium e The Neverhood. Spinto dal fatto che fosse definito corto, oltre ad un’intensa curiosità, optai per il secondo.
Scoprii quest’avventura grafica (classe 1996) tramite la serie di video YouTube che corrisponde al nome “The Music of Video Games”: arrivato al trecentotrentatreesimo video, la mia attenzione fu catturata dalla particolare colonna sonora e da uno stile visivo che, in un videogame, non avevo mai visto prima. Sembrava infatti un gioco unico, assolutamente fuori di testa, e realizzato in plastilina.
Chiesi un po’ in giro, ma nessuno sembrava conoscerlo, e qualcuno ne rimase sufficientemente incuriosito da giocarlo, finirlo, e consigliarmelo mesi dopo, in seguito alla richiesta di consigli.
Ciò che mi aspettavo era un’avventura grafica semplice, probabilmente destinata ad un pubblico infantile, visto lo stile generale e il gameplay limitato al click singolo; niente inventario (oggetti usati automaticamente quando posseduti), azioni predefinite, niente dialoghi a scelta multipla.
Tuttavia la difficoltà di The Neverhood nasce da ben altri tipi di ostacoli. A parte qualche puzzle in cui dovremo semplicemente usare la logica, è praticamente essenziale affrontare questo videogioco muniti di carta e penna (o, nel mio caso, di Blocco Note e Microsoft Paint), in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, per proseguire dovremo apprendere informazioni trovate in un punto, e riutilizzarle in seguito nella maniera più adatta. Un esempio: su un muro vedremo una fila di simboli, meglio annotarli, parecchio più avanti ci servirà ricordarsi quali erano e in che ordine.
Oltretutto, le soluzioni a questi enigmi sono randomizzate in ogni partita, e ciò vanifica in parte l’uso di guide, in quanto ci aiuteranno al massimo ad individuare l’ubicazione di ciò che ci serve.
A parte questo, ci troviamo di fronte ad un prodotto certamente originale, in cui i filmati sono interamente realizzati in claymation, e per fortuna anche piuttosto numerosi, visto che sono decisamente piacevoli da guardare.
La trama non è male, ed è presente anche una sorta di vastissimo documento (diviso in ben 38 schermate che dovremo per forza di cose attraversare) che funge da “Bibbia”, narrando esso, in maniera tutt’altro che concisa, le origini di questo assurdo mondo.
La colonna sonora è veramente di ottima fattura, come avrete avuto modo di ascoltare nel video, risultando idiota ma al contempo gradevole ed adatta al contesto.
Se avete intenzione di giocarlo preparatevi a dovere, non sarà una passeggiata. Se il gameplay non vi attira ma siete comunque curiosi al riguardo, prendete una guida e seguitela passo per passo, arriverete rapidamente alla fine, in quanto non si tratta di un gioco particolarmente longevo, ammesso di sapere cosa fare.
Esiste anche un sequel per PlayStation, un platform denominato Skullmonkeys, che però non ho ancora avuto modo di giocare; rimedierò al più presto, anche solo per potermi godere la colonna sonora, composta dallo stesso autore.
La Solitudine dei Numeri Primi (A cura di Celebandùne Gwathelen)
Notando con piacere che finalmente riesco a tornare ai miei vecchi ritmi di lettura, ho letto in questa settimana (dal 6 al 10, inclusi) il sopracitato romanzo d’esordio di Paolo Giordano divenuto best seller nonchè film in pochissimo tempo. Little SPOILERS ahead! 🙂
La storia narra di Alice Della Rocca e Mattia Balossino, due ragazzi che vivono la loro vita in una città mai nominata, ma probabilmente Torino, vita segnata da due particolari momenti nella loro infanzia. Alice, a sette anni, viene costretta dal padre a sciare e così facendo, durante una giornata di nebbia, va fuori pista e si spezza una gamba. Matteo, invece, nasce con una sorella gemella, di nome Michela, ritardata, di cui si vergogna incredibilmente. Vengono invitati ad una festa e Matteo lascia Michela nel parco perchè per una volta voleva godersi la vita da ragazzo. A festa finita, Matteo torna nel parco, ma Michela non c’è più.
Da quel momento le loro vite cambiano: Alice rimane zoppa a vita, facendo fatica a farsi notare dai ragazzi e diventando per questo anoressica e senza amiche. Matteo, invece, si priva di ogni tipo di vita sociale e adora infliggersi dolore con ogni tipo di oggetti appuntiti, portando con sè il rimorso di aver ucciso sua sorella, mai ritrovata, avendola abbandonata a se stessa nel parco.
Arrivati al Liceo, i due si conoscono ad una festa di compleanno (non è esatto, ma passatemela per buona) e stringono un’amicizia che durerà per anni e anni a venire, un’amicizia strana fatta di pochi sguardo e silenzi, ma soprattutto di mutua intesa, un’intesa che potrebbero avere solo persone che portano con sè enormi dolori derivati dal distacco della socità (voluti, come nel caso di Mattia, o non voluti, come nel caso di Alice). Un’amicizia, che proprio perchè i due sono così diversi e così uguali, non riesce mai a svilupparsi del tutto, neanche nella tarda adolescenza o età adulta.
Fine spoilers! 🙂
Il mio parere sul libro è combattutto; ho finito di leggerlo Giovedì sera (10 Marzo) e averlo letto in 5 giorni di per sè è già un segno positivo (anche se il libro è lungo solo 304 pagine). La storia, difatti, è accativante e l’idea iniziale veramente unica. La lettura è molto scorrevole, e le vicende che i due protagonisti vivono, per quanto normali, assumono contorni particolari data la loro peculiare situazione personale. La voglia del lettore di proseguire è sempre tenuta viva, insomma, anche nella parti più noiose del racconto.
Purtroppo il libro è scritto in maniera non eccellente; la sintassi lascia davvero a desiderare, e per quanto la sua scadenza fa si che il libro sia rapido da leggere, lascia alcune parti anche astruse, e forza il lettore distratto a rileggere le frasi con povertà di virgole, virgolette, due punti e simili. I passaggi al discorso diretto, privi di alcuno dei segni grafici citati prima, durante una delle molte descrizioni presenti nel libro è a tratti fastidioso e sicuramente non immediato a tutti.
Personalmente, inoltre, ho trovato la seconda metà del libro molto meno interessante della prima, poichè mano mano che i personaggi si evolvono e iniziano a vivere nella società dei non-malati adattando i loro handicap fisici e/o psicologici, viene meno quel qualcosa che li rendeva a suo modo unici e particolari. Il mordente, mai del tutto assente, viene meno, e torna solo nelle ultime venti/quaranta pagine del libro, con un finale che, personalmente, non mi è piaciuto moltissimo, ma che non ritengo neppure inadatto al tipo di racconto.
Raccomando comunque la sua lettura a tutti, in particolare a coloro che si ritengono un pò fuori dalla società odierna, vuoi per scelta propria, vuoi per scelta altrui.
Voto Personale: 7,5/10
The Invention of Lying (A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Consigliatomi da un Amico diverse settimane fa, finalmente sono riuscito a vedere questo film di Ricky Gervais! Segue un breve incipit di trama (senza finale).
Il film è ambientato in un mondo in cui la bugia ancora non è stata inventata: tutti dicono sempre la verità, con tutte le cose che ne derivano; non esistono film, solo documentari (i film sono finzione), le pubblicità sono oneste e le persone si comportano in maniera sincera, senza alcun accenno a bugie di nessun tipo: dicono sempre esattamente quello che pensano.
In questo mondo seguiamo le (dis)avventure di Mark Bellison, scrittore per “film” riguardanti il XIII secolo, un secolo noioso e privo di stimoli, che è sull’orlo del fallimento. Il capo lo vuole licenziare, non ha più soldi per pagare l’affitto e la ragazza con cui è uscito la sera prima, Anna, una sua vecchia cotta, gli ha detto che non è interessata a lui perchè geneticamente non combaciante. Quando rischia lo sfratto, va in banca per prendere tutti i soldi che gli rimangono, ma i PC sono fuori uso. Lui sa di avere 300$ sul conto e gliene servirebbero 800$ per pagare l’affitto, quindi quando la banchiera gli chiede quanti soldi ha sul conto, succede qualcosa dentro di lui, e mente di avere 800$ sul conto bancario, che la commessa gli crede e da, poichè nessuno in quel mondo ha mai detto nulla che non è.
Realizzando questa incredibile capacità, a cui non riesce a dare un nome, inizia a sperimentarla, bleffando al casinò, chiedendo a una donna di fare sesso con lui o il mondo finirà, inventando una storia sugli alieni che invadono la terra e poi cancellano la memoria degli umani per fargli scordare l’accaduto. Infine, di fronte alla mamma morente e terrorizzata del nulla eterno, inventa una sorta di “paradiso” dove tutti hanno una villa, ci sono tutti gli amici morti e si è eternamente felici. Così facendo diventa un uomo di successo e famoso, a cui però manca ancora la genetica perfetta a cui Anna aspira…

Mark si ritrova, totalmente perplesso, con in mano il frutto della sua prima bugia
Ho trovato il film divertente e spassoso, comico e romantico al punto giusto, con un protagonista di un grande buon senso, senza il quale il film sarebbe probabilmente scaduto del tutto. L’idea del rendere la bugia non solo una cosa negativa (fanatismi religiosi, pubblicità e politica sono spesso basati su bugie) ma anche una cosa positiva (dire palesemente in faccia a tutti ciò che pensi di loro non è carino) è geniale, e il film non solo è uno sfottò religioso soft ma pungente, ma anche una interessante crtitica alla nostra società, piena di bugie, addirittura sovrassatura di bugie secondo me, che però, e se ne si rende conto guardando il film, sono anche uno strumento per far sentire meglio le persone.
Il doppiaggio mi sembra ben fatto (non ho visto il film in inglese) e la recitazione pure mi pare di buon livello, in particolare di Ricky Gervais, davvero ottimo nel ruolo di Mark Bellison.
Nonostante gli elogi, mi sento di dover sottrarre al film alcune piccole cose: a volte il fattore “nessuno può dire una bugia” scade nell’esagerato, con il risultato che la gente sembra tonta. Alla domanda “Come và?” a un certo punto un amico del protagonista risponde con uno sproloquio sul come vuol uccidersi mangiando antidolorifici o soffocandosi con un cuscino. Nessuno risponderebbe con così tanto dettaglio a una domanda semplice e banale. Altre volte la gente parla senza nemmeno venire interpellata, come una signora che sta davanti la sede di lavoro di Mark e gli dice, senza che lui gli abbia chiesto nulla “Oggi non ho voglia di entrare a lavoro” quando nella vita reale avrebbe detto qualcosa sul non stare bene. O ancora, un ladro tenta di scassinare una porta e derubare la casa, ma con stupore si accorge che proprietario di casa è in casa, lo sorprende e lo vuole denunciare alla polizia. Al che il ladro: “Ma lei non sa il mio nome!” e fa per andarsene, il proprietario di casa ci pensa su e fa “Come si chiama?” e il ladro risponde col nome, rendendosi conto solo dopo che ha appena fatto una cagata. Questo non è verosimile, capisco il non riuscire a dire bugie, ma tra non dire bugie ed essere scemi c’è differenza. Semplicemente non rispondeva e scappava, dicendo “Non ho voglia di dirti il mio nome perchè mi rovinerebbe!”, una frase priva di bugie.
In generale, la gente del film parla troppo senza venire interpellata e risponde anche a domande non fatte. E questo rende il film a volte un pò eccessivo, e che sia voluta o no questa cosa, secondo me ha detratto al film qualche punticino.

Mark, Anna e Greg si godono la vita da star
Ciononostante è un film che consiglio a tutti, magari in un mondo senza bugie davvero tutti parlerebbero così e di più ancora, non vincolati dalla necessità della finzione, che nel mondo nostro è anche troppo invadente!
Voto Personale: 8/10
Scimmie portatili di qualche anno fa (A cura di Wise Yuri)
La serie di Donkey Kong Country fu un classico dei platform per il Super Nintendo, da una Rare allora in formissima. Recentemente i ragazzi dietro la trilogia di Metroid Prime, i Retro Studios, hanno lavorato ad un nuovo Donkey Kong per Wii, nel tentativo di catturare lo spirito della serie Country e di fare un platform “nuovo”, tentativo più che riuscito, penso che Donkey Kong Country Returns sia uno dei pochi, se non l’ unico, dei veri motivi per avere un Wii. Tanto di cappello ai ragazzi dei Retro Studios, essendo una second party Nintendo speriamo che vengano usati più spesso, potrebbero rivelarsi la Rare di questa generazione videoludica. (giusto per chiudere il discorso fatto nell’ articolo Fallimento della Rare, il Kinect sta vendendo bene, indi la Rare sopravvivrà, ma in che condizioni penose, avrei preferito il fallimento)
Molto probabilmente vi ricordate di Donkey Kong Land, quella cartuccia color banana per il vecchio Game Boy “mattone”, magari prestatavi da un’ amico che poi non avete più rivisto e quindi ottenuta, diciamo, per usucapione. XD La Rare aveva fatto Donkey Kong Country per il SNES, e penso di lanciarsi in una sfida difficile: offrire ai possessori di Game Boy una versione, ovviamente con le ovvie limitazioni del portatile 8-bit Nintendo, fedele all’ originale, ma Donkey Kong Land va oltre, in quanto mantiene sì una struttura e un level design simili a quelli dell’ episodio per il Super Nintendo, ma i livelli sono tutti nuovi, e ci sono anche scenari e situazioni non viste in Country. Anche a livello tecnico, è un miracolo cosa riuscì a fare la Rare con una cartuccia per Game Boy.
Inoltre, niente password della minchia da annotare, potete salvare dopo ogni livello se prendete tutte le lettere K O N G presenti in esso. Successivamente uscirono altri due episodi della serie Country per il vecchio SNES, e la Rare pensò “perché non fare lo stesso con i seguiti?”, e così uscirono Donkey Kong Land 2 e 3, anche se il level design di questi si rifaceva molto più agli episodi casalinghi rispetto al primo Land, comunque impressionanti per giochi del Game Boy. Questa è roba “time-proof”, era una figata da bambino, è ancora una serie di platform coi turbopeni, basta dare una soffiata alla cartuccia e siete pronti di nuovo a saltare letteralmente di palo in frasca con il primate più amato di sempre. L’ unica cosa un pò fastidiosa è che per trovarli completi c’è da sborsare un pò, fortunatamente si trovano a pochissimo se non siete puntigliosi con l’ avere manuali, box e cacchi vari.
Per oggi è tutto, alla prossima! =)
17 marzo 2011 alle 00:11
* La Solitudine dei Numeri Primi
Sembra carina come idea, anche se ovviamente non fa per me. Comunque credo che potrei benissimo scriverlo io un libro sull’essere fuori dalla società, lol.
* The Invention of Lying
Bhe, premessa interessante. Mi ha proprio incuriosito, lo aggiungo alla lista dei film da vedere. Tra l’altro ultimamente ho a che fare con le bugie perché…bhe ne parlerò in un articolo forse.
* Scimmie portatili di qualche anno fa
DKCR l’unico motivo per avere un Wii? XD E scusa capolavori come Zelda, Mario Galaxy e Monster Hunter Tri (per chi lo apprezza) dove li metti? Non nego il mio estremo interesse per questo gioco, ma più che altro sembra che tu sottovaluti tutto il resto 😛 .
Chiusa parentesi, Donkey Kong Land l’ho giocato tipo un anno fa, da buon fan della saga, ero vagamente incuriosito dalle versioni portatili, oltre che attratto dal poter giocare livelli diversi.
Il mio parere in merito non è del tutto positivo comunque; se da una parte “scimmiotta” bene la controparte Country, dall’altra abbiamo un sistema di collisioni un po’ impreciso, ed un sistema di controllo non propriamente perfetto. Sarò io che essendo cresciuto con i fratelli maggiori ne risulto un po’ viziato, ma per quanto mi riguarda non c’è paragone…
19 marzo 2011 alle 13:33
il galaxy è un platform coi contropeni, ma è ovvio che la nintendo s’è risparmiata per farci un seguito, barbonata pura; il TP è uno dei giochi più noiosi mai giocato, e lo zelda peggiore, opinioni mie, sia chiaro, ma l’ ho riniziato tre volte, e mi sono sempre stufato per la noia dopo poche ore.
su wii ci son pochi giochi, e nessuno di quelli provati mi ha fatto dire “cazzo, è meraviglioso”, il Returns invece sì.
è un’ opinione soggettiva, vero, ma con il returns mi sono veramente dimenticato puttanate come la console su cui gira e robe simili. Donkey Kong Land non è perfetto, le collisioni e i controlli mi sono sembrati identici a quelli delle controparti (forse un pizzico peggio le collisioni, ma è una roba minimale), e poi sto mettendo la cosa in prospettiva (i Country sono meglio, nessun dubbio), su game boy difficilmente si poteva fare di meglio, la Rare sapeva veramente spremere ogni goccia dell’ hardware nintendo, lo sprite di donkey e diddy a volte ha degli errori, ma chiedere di più ad una cartuccina per una console a 8-bit è veramente voler cavare sangue dalle rape. XD
19 marzo 2011 alle 18:25
Galaxy è talmente bello che anche se normalmente l’idea di un seguito mi avrebbe ripugnato, ero contentissimo all’idea di un altro gioco (più difficile, più esteso) che ne sfruttasse le stupende meccaniche. TP non capisco come abbia fatto ad annoiarti XD è un capolavoro (è pur sempre Zelda); alla fine è ciò che volevano i fan, e l’hanno avuto, poco importa se non è rivoluzionario come Wind Waker…
Comunque ci credo che il GB fosse spremuto da DKL (lo sforzo è di certo apprezzabile), però ecco io mi ritenevo una specie di maestro con i vari DKC, e vedermi perdere così tante vite a causa di imperfezioni di design mi ha infastidito non poco…