Bentornati sulle pagine del Weakly Hobbyt! Dopo una freddissima settimana (almeno qui in Crucconia) passata a slurpeggiare teh, seguire le ultime lezioni, lavorare e tentare con folle disperazione di portare al 100% la mia partita di Zelda – Majora’s Mask (hint hint!), è finalmente giunta la domenica, tra arbirtri venduti e TROPPI piatti da lavare! =( Comunque sia, vi auguro una buona lettura, Wise Yuri ci delizia con la recensione dell’ultima di Andy Wachowski e con Pirati allungabili, mentre con Alteridan ci riporta alla L.A. degli anni quaranta e a concludere ci sta la mia piccolezza con un viaggio nel 45 a.c. per vivere altre prodezze galliche.
Buona lettura! =)
Sky Aria
(A cura di Wise Yuri)
Oggi vi parlo di un film uscito “abbastanza di recente” (in italiano: “non molto tempo fa”) nelle sale cinematografiche, Cloud Atlas, il nuovo film drammatico/fantascientifico dei fratelli Wachowski (o meglio dei fratelli e sorelle Wachowski, visto che uno ha cambiato sesso, cosa comunque irrilevante), noti per la trilogia di Matrix, che a quanto ho capito è stato ben ricevuto dalla critica. Ma in tutta onestà non mi sono neanche informato molto sul film, prima di andarlo a vedere sapevo solo che raccontava 6 storie collegate tra loro, dirette da tre registi, e che durava 3 ore, e basandomi sul classico passaparola (ovvero più di uno dei tuoi amici/conoscenti che ti dicono che è stato bello), ed essendo incuriosito su come sarebbe stato (vista l’idea ambiziosa di raccontare 6 storie ambientate in epoche temporali diverse ma collegate da elementi comuni), ho pensato che valesse la pena dargli una chance, anche se non sono proprio un amante dello sci-fi e similia.
E devo dire che Cloud Atlas si è rivelato una piacevolissima sorpresa, ma prima di proseguire, vi dico solo che se vi aspettate un film di fantascienza tutto azione (dopo aver visto il trailer in televisione o sul web), beh… non è esattamente un film del genere, l’opera dei fratelli Wachoski preferisce concentrarsi sulla complicata narrazione incrociata delle varie trame (che richiede un pò di attenzione per essere seguita) ma non si può assolutamente dire che sia un film sia tutto esposizione e privo di…. sviluppo e avvenimenti. Ed in ogni caso, è un esempio di come spesso i trailer non vadano visti come specchi o anteprime effettive dei film.
Come scritto sopra, la storia di Cloud Atlas è raccontata attraverso sei sottostorie, ambientate in epoche diverse, dall’america dei campi di cotone e dello schiavismo, a futuristiche metropoli distopiche, con personaggi e vicende diverse, ma tutte legate da tematiche di fondo ed elementi in comune (tra cui il titolare Atlante delle Nuvole). Siccome non c’è modo di parlare della trama senza raccontare praticamente tutto, l’unica cosa che posso fare a riguardo è presentare brevemente le 6 sottostorie (riportate in ordine casuale e non cronologico), senza andare nel dettaglio.
Storia 1: ambientata nell’america coloniale in cui la tratta degli schiavi di colore (africani, nativi americani) era pratica comune, prende luogo principalmente in un brigantino, con protagonista un giovane bianco ricco.
Storia 2: ambientata nella futuristica e altamente distopica Neo Seul, vede protagonista una specie di cameriera (identica alle altre come un clone) che scopre qualcosa che non dovrebbe. La parte più “sci-fi” del film, reminescente ( ma non a sorpresa) dei Matrix. (Nota Personale: la parte che mi ha convinto di meno)
Storia 3: ambientata nel presente, vede un editore anziano che finisce per dover pagare un pizzo enorme a dei criminali, e non potendo fare ciò, chiede aiuto al fratello, che invece di aiutarlo, lo rinchiude in un’ospizio, con infermiere dalla mascella e dai muscoli da marine, e cerca di scappare di lì. Decisamente la parte più comica, molto diversa dalle altre.
Storia 4: Ambientata negli anni ’30, vede come protagonista un compositore bisessuale chiamato Frobisher, che lavora come copista per un grande compositore, sperando un giorno di poter scrivere una grande composizione lui stesso.
Storia 5: Ambientata in un futuro mondo che lascia vedere i rottami della civiltà precedente (uno scenario post-apocalittico), ma in cui i suoi abitanti sono dei semplici autoctoni del luogo, che vivono di pastorizia e caccia, vede come protagonista un cacciatore il cui villaggio riceve la visita di uno dei Prescelti, individui avanzati tecnologicamente.
Storia 6: Ambientata negli anni ’70, con toni più noir, vede una giornalista investigare sull’effettiva sicurezza della nuova centrale nucleare, e rimane invischiata in un proprio e vero complotto.
Le varie storie condividono alcuni personaggi (o discendenti di essi), alcuni elementi e le tematiche, e si collegano incredibilmente bene l’una con l’altra, ad eccezione della storia moderna con l’editore, che stona con il tono serio delle altre storie, ma è molto divertente ed aiuta a non rendere l’opera un pomposo film di fantascienza che si prende troppo sul serio. Ciò nonostante, questa storia è indubbiamente un pò troppo sopra le righe rispetto alle altre, ed è l’unica cosa che impedisce alle varie storie di mantenere un tono costante tra di loro.
La regia è ottima, ed è davvero sorprendente come sebbene ci siano ben 3 persone alla regia, il tutto mantenga uno stile assai consistente (tranne appunto, l’eccezione della storia con l’editore) attraverso i 6 diversi pezzi del film, e alla fine si compongano bene assieme. E per ben 3 ore di film, il ritmo è molto serrato (ad eccezione della prima mezz’ora), e non avete mai la sensazione che stiate aspettando ed aspettando nella speranza che succeda qualcosa, visto che la varie storie si alternano a schermo molto spesso, tenendo altissima l’attenzione dello spettatore, ma questo continuo passaggio tra una storia e l’altra può risultare confusionario se non si presta attenzione.
La tematica di fondo, quella che lega le varie vicende, direi è la ricerca della libertà, nelle varie forme di questa, e le conseguenze che le nostre azioni generano nel tempo, in che maniera influenzano noi ed il mondo che ci circonda, ed anche l’eredità dei valori, a prescindere dal tempo e dal luogo. Ma la cosa interessante è che in generale è difficile dire “ok, il tema di fondo è questo, punto”, in quanto Cloud Atlas è un’opera vasta e decisamente aperta all’interpretazione, e non è facile dire con certezza “ok, il significato di fondo è questo”. E già questo è un aspetto interessante, che non si possa dire con certezza “è un capolavoro” od “è una schifezza atomica”.
Stupenda la direzione artistica, con bellissime visuali, spettacolari effetti speciali, ottima fotografia. Ambiziosa narrativa ed altrettanto ambiziosi dialoghi, con molti personaggi che spesso parlano in maniera diversa (come i pastori della terra post-apocalittica), e quindi con diversi linguaggi presenti in tutto il film. Cast molto competente di attori (che spesso interpretano diversi personaggi nelle varie vicende, anche grazie ad uno strepitoso make up), tra cui spuntano nomi noti come Hale Berry, Hugh Grant, Tom Hanks e Hugo Weaving, qui decisamente in forma. Il film ha potuto godere di un grandissimo budget, specialmente per un film indipendente (tutti i fondi provengono da fonti “indie”), e di questi 102 millioni (una cifra enorme per un film indipendente) ne hanno fatto un ottimo uso.
Cloud Atlas è decisamente uno dei progetti più ambiziosi che abbia mai visto, con diverse storie apparentemente non correlate tra loro, che via via si rivelano sempre più collegate l’un l’altra, diverse tematiche note ma esposte in maniera interessante attraverso la particolare struttura narrativa del film, un ottimo cast, ed un comparto tecnico (tra costumi, effetti speciali, fotografia e make up) finemente curato. Un film che però potrebbe risultare confusionario a prima vista, con momenti in cui si ricerca l’artistico in maniera un pò esagerata, e che ad alcune persone sembrerà senza capo nè coda, con le molteplici storie diverse tra loro che cercano di incastrarsi tra loro. Ed alcuni momenti che obiettivamente non hanno moltissimo senso.
Concludendo, il film dei fratelli (e sorelle) Wachowski non è perfetto, ma è davvero un’opera che osa, e che fa discutere, decisamente qualcosa di interessante, di mai visto prima, che molto probabilmente o amerete o odierete, ma che in ogni caso vi lascerà qualcosa (e che vi spingerà a rivederlo), e già questa non è una cosa da poco. Io personalmente ho apprezzato le idee e la realizzazione, ho trovato il film fresco e molto bello, ma come sempre, sta a voi il giudizio finale, posso dirvi che a prescindere, vale la pena tentare e vederlo. 😉
L.A. Noire
(A cura di Alteridan)
Cinema e videogame sono sempre stati legati da un legame controverso: il videogioco è sempre stato visto come una estensione delle opere cinematografiche, per cui sono stati sviluppati molti tie-in di valore discutibile, a parte rarissimi casi.
Ma a volte i videogiochi si ispirano più o meno velatamente alle produzioni hollywoodiane, con trame, regia ed interpretazioni degne delle controparti in celluloide.
Inganno nella città degli angeli
L.A. Noire non è, bisogna precisarlo subito, il gioco che qualsiasi giocatore si aspetterebbe da Rockstar Games: Team Bondi si è infatti distaccata subito dalla celebre formula dello sviluppatore di GTA, abbandonando quel free roaming a tutti i costi che aveva decretato il successo di Tommy Vercetti, Niko Bellic e compagnia.
Il gioco Team Bondi è invece una evoluzione di un genere divenuto famoso nei primi anni ’90 e poi via via abbandonato fino a diventare prerogativa di una piccola nicchia di appassionati. Sto parlando delle avventure grafiche. Ma perché evoluzione? Perché non mancano sezioni puramente action come inseguimenti di sospettati, sparatorie e scazzottate; oltre a sezioni più classiche di ricerca di oggetti e prove.
La menzogna in volto
Ciò che però rende L.A. Noire un gioco particolare dal punto di vista del gameplay è sicuramente l’utilizzo di una specifica tecnologia di motion capture: il MotionScan, tecnica che consente di catturare ogni minimo movimento facciale e di crearne una versione digitale. Grazie al MotionScan, Team Bondi è riuscito a realizzare interrogatori credibili che immergono al meglio il giocatore all’interno delle situazioni investigative e, soprattutto, durante gli interrogatori.

L’attore John Noble durante una sessione di digitalizzazione.
Già perché L.A. Noire è un gioco prettamente investigativo. Ambientato sul finire degli anni ’40, vestiremo i panni di Cole Phelps, un veterano della Seconda Guerra Mondiale che riesce ad impressionare il capo della polizia il quale lo promuove, dopo aver risolto da solo un caso di omicidio, da semplice agente di pattuglia a detective.
Una guerra che non finisce mai
Il detective Phelps verrà prima assegnato alla sezione del traffico, per poi essere promosso e quindi trasferito ad altri dipartimenti quali la omicidi, la buoncostume e la incendi dolosi. In ognuno di questi dipartimenti sarà nostro compito risolvere i casi che ci verranno via via assegnati, raccogliendo prove ed indizi sulla scena del crimine, interrogando testimoni e sospettati e, di tanto in tanto, sparando qualche colpo di pistola o inseguendo un fuggitivo.
Una volta capito il meccanismo del gioco però iniziano a sorgere i primi problemi: primo fra tutti una certa ripetitività di fondo. Ogni caso si risolve seguendo sempre la stessa formula, quindi raccogliendo prima gli indizi ed interrogando i sospettati, e riunendo le prove poi per formulare le accuse al sospettato numero uno. In secondo luogo le fasi action non sono poi così entusiasmanti, le sequenze a bordo di un’auto sono fortemente scriptate, così come gli inseguimenti e i pedinamenti, per cui a lungo andare possono annoiare; fortunatamente possono essere saltate in qualsiasi momento non essendo centrali per il gameplay.

Ogni prova verrà registrata nel taccuino di Cole e sarà sempre possibile consultarlo.
Il terzo difetto, probabilmente il più significativo, riguarda una trama che stenta a decollare nelle prime ore di gioco, ore in cui tutti i casi sembreranno completamente slegati tra loro (e alcuni lo sono realmente). I casi della sezione traffico saranno quindi un lungo tutorial per il gioco vero e proprio che inizierà con la promozione nella sezione successiva, ossia la omicidi. In ogni caso, sulle scene del crimine saranno spesso presenti dei giornali che, una volta letti, sbloccheranno dei filmati sul passato di Phelps e dei suoi commilitoni, un passato che tornerà spesso nelle fasi più avanzate del gioco.
Los Angeles sotto la pioggia
Il punto di forza di L.A. Noire rimane comunque l’utilizzo di decine di attori in carne ed ossa, molti dei quali affermati in ambito televisivo e cinematografico. Questi attori ci regalano performance che raramente si vedono in un videogioco: basti pensare al protagonista, interpretato da Aaron Staton (noto per il suo ruolo nel serial Mad Man), oppure a John Noble (famoso per aver interpretato Walter Bishop in “Fringe” e Denethor ne “Le due torri” e “Il ritorno del Re”).

La quasi totalità dei casi che ci verranno assegnati avranno inizio con un briefing nella stazione di polizia.
L.A. Noire rimane comunque un gioco pieno di difetti: a partire dalla ripetitività fino alle evitabili sezioni action. Non mancano neanche i problemi tecnici: su console è possibile che si presentino dei freeze mentre la versione pc soffre di una realizzazione approssimativa che rende il motore di gioco pesante minandone la giocabilità anche su sistemi più performanti.
In ogni caso, se riuscite ad ignorare queste mancanze, L.A. Noire è un gioco che regala ore di divertimento attraverso un’ottima trama, forse un po’ lenta a carburare, e una colonna sonora jazz che ben si adatta al contesto e all’ambientazione di una Los Angeles riprodotta fedelmente.
Voto personale: 7,5/10
Gomu Gomu No Musou!
(A cura di Wise Yuri )
Anime/manga e videogiochi: due universi quasi simbiotici, tra anime che diventano videogiochi, videogames basati su serie manga/anime di successo, anime che citano sempre più spesso i videogames, videogames con stile grafico da anime, e continui riferimenti a varie serie, etc. In generale, sono due media con moltissimo in comune, e figuriamoci se le varie compagnie non hanno cercato di spremere i vari franchise, con tremila adattamenti videoludici su tutte le console del creato, merchandise, etc.
Premesso ciò, mi sembra quasi paradossale che una serie di anime/manga come One Piece (considerabile il Dragon Ball moderno, ma che onestamente è molto meglio per varie ragioni) non abbia avuto così tante trasposizioni videoludiche, o meglio, ne abbia avute parecchie (delle quali mi ricordo per esperienza personale un gradevole platform per GBA ed un divertente clone di Power Stone, ovvero OP: Grand Battle per Gamecube e PS2), ma meno rispetto a serie come Naruto (già su PS2 uscirono paccate di picchiaduro basati sulla serie del ninja biondo, ed altrettanti su PS3/360). O almeno, per una serie che anche da noi macina copie nell’edizione cartacea, ed ha un enorme fanbase (più radicato di quello di altra manga simili visto che One Piece è iniziato molto prima di -ad esempio – Bleach…. blhh, Bleach…), fa strano che siano arrivati molti meno videogame su licenza rispetto a serie più nuove, almeno in europa.
Ad ogni modo, oggi sono qui per parlarvi di One Piece: Pirate Warriors, esclusiva PS3 sviluppata dalla Namco Bandai assieme alla Tecmo-Koei, nello specifico dal team di sviluppo della serie Dinasty Warriors. Devo ammettere che ero molto scettico all’idea di vedere/giocare quello che in pratica è un Dinasty Warriors basato sull’universo di One Piece, non avevo mai giocato un titolo della serie, principalmente perchè sembrava portarsi dietro i soliti difetti che ormai la caratterizzano: ripetitività di fondo estrema, ed enorme button mashing. Ma dopo aver letto alcune recensioni che ne parlavano molto bene, soprattutto sul fatto che stavolta erano riusciti a dare maggiore varietà alla formula di gioco con sezioni platform che fanno uso delle abilità di Luffy, ho deciso di fare un tentativo, e devo dire che sono rimasto molto soddisfatto del gioco, sia come grande fan di One Piece, sia come videogiocatore.
One Piece: Pirate Warriors offre diverse modalità, e non starò a descriverle tutte nel dettaglio (ma mi soffermerò un pò di più , ma c’è il Diario Principale, il Diario Secondario, le Sfide e l’Online. Il Diario Principale è pressapoco la modalità storia del gioco, e vi fa rivivere la storia di One Piece dalla saga di Bugy il Clown fino a quella dell’arcipelago Sabaody (prima del timeskip di 2 anni, anche se l’inizio e la fine prendono luogo sempre nell’Arcipelago Sabaody, ma DOPO il timeskip) nei panni di Monkey D. Luffy, e nelle sezioni adeguate, anche nei panni dei vari membri della ciurma di Cappello di Paglia.
Prima di continuare a parlare del Diario Principale, voglio fare una breve disgressione sul discorso “fedeltà al manga/anime” e sull’adattamento/traduzione. Come i fan sanno, One Piece (come molti shonen) è diviso in saghe o archi narrativi, spesso identificabili dal “nemico finale” dello stesso arco, e Pirate Warriors tratta i seguenti: quello di Orange Town (Bugy), quello di Baratie (Don Creek), quello del Villaggio di Coco (Arlong), quello dell’isola di Drum (Wapol), quello di Alabasta (Crocodile), quello di Water 7 ed Enies Lobby (CP9), quello dell’Arcipelago Sabaody (Kizaru), ed infine quello di Impel Down e Marineford (Magellan, QG Marina).
“Manca qualcosa?” Infatti non ci sono nè Skypiea (che invece sarà in Pirate Warriors 2, il trailer lo conferma) nè Thriller Bark, oltre a piccoli archi narrativi minori (come quello del Davy Back Fight e quello in cui incontrano Usop ed la ciurma ottiene la Going Merry), ed in generale il gioco è molto sbrigativo nella narrazione, concentrandosi sui momenti salienti delle saghe (quelli appunto più adatti ad un gioco action come questo, che riprende molto fedelmente), saltando a piè pari molti eventi (spesso riassunti nella premessa del capitolo), dando per scontato che sappiate già cosa succede (od è successo prima). Ciò ha senso per i fan (ed in fondo, perchè mai dovreste giocare un titolo ispirato a One Piece se non vi interessa/non seguite la serie?), ma se vi aspettavate una corposa ed estentiva ricreazione degli eventi della serie, beh…. andatevi a leggere il manga o vedere l’anime. XD Oddio, il gioco ha anche una corposa enciclopedia interna sui personaggi, gli oggetti, le armi, etc., ma non è la stessa cosa, ovvio.
Per quanto riguarda l’adattamento, il gioco presenta le voci originali giapponesi con i sottotitoli in italiano (e i testi sono tradotti benino, con alcune traduzioni “fin troppo dirette” da inglese ad italiano che si notano, ma nulla di gravissimo), il che sarebbe perfetto se non fosse che alcune scelte di traduzione sono le stesse fatte nella versione italiana dell’anime, con Luffy/Rufy che diventa Rubber, so che è una lamentela minore, ma da fan mi fa proprio schifo “Rubber”, tanto vale chiamarlo Monkey D. Condom il personaggio, a sto punto.
Tolto di torno questo argomento, parliamo di come è strutturato ‘sto Diario Principale. Com’è dicevo prima, giocate principalmente nei panni di Rufy, e il diario è diviso in episodi, che possono essere di 3 tipi: Azione, Musou e Boss.
In quelli Azione combattete sì orde di nemici, mini-boss ed un boss finale, ma sono presenti sezioni in cui dovrete utilizzare le abilità di Rufy di allungarsi per attraversare zone inaccessibili, saltando di appiglio in appiglio, evitando ostacoli od interagendo con elementi dello scenario per aprirvi la strada. Queste sezioni platform sono gestite via QTE, nel senso che dovrete premere il/i tasto/i indicato/i (solitamente Quadrato) per procedere verso il prossimo appiglio/oggetto o saltare, e quindi sono guidate, ma non sono infallibili (in tal caso sarebbe stato inutile averle queste sezioni), ed in alcuni capitoli dovrete risolvere dei piccoli puzzle ambientali o scappare da alcune trappole. In ogni caso, sono molto gradevoli come sezioni ed aiutano a rendere il gioco più vario, il che migliora moltissimo l’esperienza di gioco.
I capitoli Musou invece sono strutturati (almeno per quanto ho capito) in classico stile Dinasty Warriors, con la mappa divisa in territori da conquistare (eliminando gran parte delle truppe che gli occupano e battendo i capi che arrivano come ultima difesa del territorio), eventi occasionali e missioni da compiere (che si concretizzano in “occupa territorio”, “sconfiggi mini-boss”, “proteggi alleato” e poco altro), prima di combattere il boss della mappa. I capitoli Boss…. beh, sono tutti incentrati sulle battaglie contro i boss, non c’è molto da dire a riguardo. Le boss battles in sè sono ben fatte, ed il punto forte del gioco. Inoltre sono spesso fedelissime, e si prendono pochissime libertà rispetto all’anime/manga, ma quando lo fanno ha un senso.Volendo essere proprio puntigliosi, alcune battaglie che potevano essere riproposte benissimo in questo videogioco non ci sono (per esempio, non combattete tutti i membri del CP9 nell’assalto ad Enies Lobby), ma in linea generale hanno scelto le battaglie ed i nemici più importanti, quindi va più che bene.
Il Diario Secondario invece vi permette di giocare gli episodi con tutti gli altri membri della ciurma di Cappello di Paglia (che controllate tutti in brevi sezioni del Diario Principale), oltre ad Ace, Barbabianca, Boa Hancock e Jinbei, in mappe nello stile di gioco Musou, ma con obiettivi e nemici diversi. Oltre ad un buon totale di personaggi giocabili (il che già basterebbe ad un fan), c’è da dire che invece di fare un lavoro mediocre, si sono dati da fare per rendere i personaggi diversi da controllare, ognuno con il proprio stile di combattimento e relative mosse/abilità speciali tipici (Chopper si trasforma attaccando, Robin ha molti attacchi a lungo raggio con le sue mani, Usop usa principalmente la fionda, etc.), il che è una manna per i fan, di non “doversi” accontentare di personaggi in teoria diversi ma all’atto pratico identici. Ottimo lavoro, Omega-Force. 🙂 Inoltre, le mappe sono giocabili assieme ad un’altra persona in locale.
La modalità Sfida è…. una serie di sfide (cos’altro?), ma in realtà non c’è molto a questo riguardo, a meno di comprare i DLC, che sbloccano sfide e costumi specifici per i vari personaggi. Non per giustificare questa pratica spesso atroce dei DLC (che in questo caso ammontano a 20 € in totale, 15 € se prendete tutto il pacchetto), ma in tutta onestà il gioco offre molto contenuto anche senza le sfide extra da comprare, quindi potete farne a meno, volendo. per questa modalità c’è anche una classifica dei risultati online. Ultima ma non ultima, la modalità Online vi permette di giocare in cooperativa online con un’altro giocatore le mappe/missioni del Diario Secondario. Purtroppo non ho avuto modo di provarla, ma ne ho letto bene. Detto ciò, parliamo del gameplay in generale e del sistema di combattimento.
Il sistema di combattimento è sorprendentemente rifinito (sebbene meno rispetto ad un beat ‘em up tipo DMC o God Of War), con molte mosse a disposizione, tra combo ed attacchi speciali dai vari effetti, tutte perfettamente ricreate dall’anime/manga, tra Gom Gom Bazooka e compagnia bella. Inoltre certe mosse e combo hanno effetti extra (come dare fuoco, distruggere scudi, ridurre la difesa nemica, etc.), quindi c’è stata decisamente cura a questo riguardo, ed imparare ad utilizzare le mosse utili alle varie situazioni diventa naturale (ed utile, appunto!), se non essenziale alle difficoltà superiori. Utilizzati bene i QTE, per aumentare la spettacolarità degli scontri e delle boss battle, e l’immersione generale nel mondo di gioco.
L’unico problema vero sta appunto nella difficoltà, visto che a Normale non è difficoltoso farsi strada tra esplorazione e sterminio dei nemici, ma i Boss offrono una buona sfida. A Difficile anche le unità normali possono darvi filo da torcere (il che è ottimo se giocate titoli del genere cercando un’alto livello di sfida), ma con i boss hanno esagerato, in alcuni casi (specialmente contro Wapol) sono davvero troppo potenti e subiscono fin troppi colpi, rendendo un’impresa anche solo ridurgli di poco la barra della vita, mentre possono prosciugare la vostra di energia con pochissimi colpi. Quindi (anche se come me giocate agli action alla difficoltà più alta fin da subito), consiglio di giocare a difficoltà Normale, almeno la prima volta, perchè questi aumenti di difficoltà improvvisi possono essere molto fastidiosi, ed il gioco sarebbe stato quasi perfetto senza essi.
Grafica, grafica. Pirate Warriors, come immaginabile, utilizza un ottimo cel shading (anche se mi sarei aspettato qualcosa un pizzico più rifinito da un gioco del tardo 2012), curato e ben definito, che era l’unica scelta giusta per catturare il feeling anime/manga. Inoltre, il gioco nelle scenette di intermezzo (quando non sono presenti sotto forma di filmato) spesso ricrea le pagine del manga con lo slide delle tavole e con tanto di onomatopee, una chicca che mostra una certa cura dei dettagli. La colonna sonora è molto azzeccata e fornisce un’ottimo accompagnamento, ma uno o due motivetti in più non avrebbero fatto male. Come già accennato prima, il titolo mantiene le voci doppiate in giapponese (stessi doppiatori dell’anime), ed a prescindere dal fatto che molti preferiscono il doppiaggio giapponese… a prescindere, è molto buono.
Giudizio finale: One Piece: Pirate Warriors si conferma come un’eccezione alla regola del tie-in, un titolo molto ben fatto che una volta tanto non lascia i fan della serie con l’amaro in bocca, a contentarsi di mediocri interpretazioni videoludiche che oltre a riproporre fedelmente il manga/anime non offrono nulla che valga la pena di essere giocato. Riprendendo la struttura dei Dinasty Warriors e migliorando la varietà di gioco, Pirate Warriors è anche molto immediato da giocare e molto fedele all’opera di Eiichiro Oda, con molta carne al fuoco, ed un acquisto obbligato per i fan di One Piece, se dovete prendere un gioco di One Piece, prendete questo.
Inoltre arriverà presto il seguito, One Piece Pirate Warriors 2, per PS3 e PS Vita (anche se non è certo che la versione Vita arriverà in europa, già si sa che non uscirà in america), previsto per l’estate qui nel vecchio continente, e che comprenderà le saghe del Nuovo Mondo (oltre a quelle saltate nel primo). Chiudo dicendo come sia un peccato che l’unico gioco di One Piece veramente valido sia un’esclusiva PS3-PS Vita, io le console attuali le ho (più o meno) tutte e perciò non mi tange, ma sarebbe stato bello rendere il gioco disponibile anche per X-Box 360. Boh.
Asterix Gladiatore
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Dopo la bilogia sul Bosco dei Carnuti, in questo numero Asterix e Obelix ne vivono di tutt’altre. Un fumetto ambientato nell’epoca romana, in cui ancora non si è vista roma? La cosa sta per cambiare.
Il prefetto della Gallia arriva a Petibonum, e vuole regalare a Cesare uno degli indomabili galli. Volendo evitare di scontrarsi con i pesi massimi del villaggio, il capo di Petibonum suggerisce di rapire Assurancetourix, il bardo del villaggio, mentre va nel bosco a esercitarsi con la sua lira. Il piano, dopo alcuni tentativi falliti, riesce, e il bardo viene imprigionato dai romani e mandato con una galera fino a roma. Un giovane gallo però assiste alla scena e avvisa Asterix e Obelix della questione. I due avvisano il capo, Abraracourcix, che decide di vendicare questa offesa e liberare il bardo attaccando petibonum in massa. L’attacco ovviamente è un successo grazie alla pozione di Panoramix, ma Asterix e Obelix scoprono che il bardo è ormai in direzione roma. I due quindi decidono di partire a loro volta verso roma via mare. Casualmente dal loro villaggio passa una galera fenicia, che da loro un passaggio.

Ecco la scena del rapimento del bardo Assourancetourix (nell’originale francese)
Salvando i fenici e la loro merce preziosa da dei pirati, il capitano della nave, Grandimais, decide di NON venderli come schiavi al prossimo porto come inizialmente pensato, ma di portarli davvero a roma. Dopo un lungo viaggio il duo arriva, mentre il bardo, visionato da Cesare, viene mandato in prigione per venire mangiato dai leoni nei prossimi giochi nel circo. Quando Asterix e Obelix arrivano a Roma, vanno in un ristorante gallico dove cercano informazioni sul bardo; il proprietario ne sa qualcosa e da loro appuntamento a casa sua quella stessa sera. Durante il giorno i due invece vanno nelle terme romane, dove attirano l’attenzione di Caius Obtus, allenatore dei gladiatori, che, impressionato dalla loro forza e dalla stazza di Obelix, dice di volerli “avere”. La sera i due vanno dal proprietario del ristorante gallico, che dice loro del triste fato del bardo gallico, e consiglia loro di lasciarlo perdere e tornare in gallia, poichè vengono ricercati come gladiatori, essendo arrivata fino a roma la fama degli “imbattibili galli”. Usciti dalla casa del loro informatore, Asterix e Obelix vengono attaccati dai tirapiedi di Caius Obtus, ma sfrecati malamente. Per la notte si cercano una locanda vicino al colosseo, dove il mattino dopo scoprono l’ubicazione della cella di Assouracetourix.
I due quindi assaltano il colosseo, ma la cella del bardo è vuota e scoprono che è stato trasferito in una cella sotterranea, poichè nessuno riusciva più a sopportare i suoi canti. Caius Obtus nel frattempo manda tutti i suoi uomini a cercare e incatturare il duo gallico, ovviamente senza riuscirci, fino a quando Asterix decide che i due diveranno gladiatori. Si recano quindi nelle terme di Gaius Obtus, che quando li vede è preoccupato che i due si vendichino di lui. Il romano è totalmente sorpreso quando scopre che i due vogliono diventare gladiatori volontariamente, e li inizia ad addestrare. L’addestramento non va però come Caius se lo aspetta, e in men che non si dica Asterix rivoluziona l’arena, insegnando ai gladiatori giochi di parole e logici, invece che nuove tecniche di lotta. Inoltre i due non hanno per niente voglia di rimanere chiusi nell’arena, e si fanno fare da Gaius Obtus un giro turistico a roma, nell’attesa per i giochi, il cui programma già pende ovunque sui muri. Cesare, in particolare, minaccia Gaius di fargli avere dei giochi stupendi, o ne pagherà con la vita.

I giochi che Asterix propone a Cesare al posto delle lotte all’ultimo sangue non sembrano essere di gradimento all’imperatore!
Quando i giochi si avvicinano, i gladiatori vengono portati al colosseo, dove Asterix e Obelix insistono di voler vedere il bardo; così facendo gli danno la certezza che non è stato abbandonato dal villaggio e che lo salveranno dai giochi. Quando questi iniziano, Asterix e Obelix se ne rendono principali protagonisti. Prima vincono la gara coi cavalli, e dopo che Assouracetourix ha cacciato, oltre agli spettatori, anche i leoni dal colosseo, il duo rende a Cesare il più strano combattimento tra gladiatori mai avvenuto; un combattimento di parole. Caius Obtus è messo male e Cesare, irato, manda le sue migliori truppe contro Asteix e Obelix, che però li fanno a palate. Per fortuna del duo gallico, al pubblico piace questo tipo di spettacolo, e felice di aver reso “unico e memorabile” a suo modo questi giochi, dona ai tre galli la libertà, e quando Asterix lo richiede, da loro “in prestito” anche Gaius Obtus, che da solo fa remare la galera di Grandimais da Roma fino all’aremorica. Tornati a casa, il villaggio organizza una grande festa, e Assourancetourix è legato e bendato, come sempre!
Dopo il trio di storie iniziali, Asterix Gladiatore è una delle prime storie non legate al “ciclo del bosco dei Carnuti” da inizio saga.
La cosa non è male, e le vicende sono divertenti (soprattutto alcune delle scene parodiche a Roma) e si sfaldano bene. Tutta la storia è molto interessante e originale, e porta il nostro duo finalmente nella città Caput Mundi del momento storico in cui si trovano. Roma stessa non viene mostrata tutta nella sua interezza, ma per lo più le zone circostanti il circo massimo, visto che era lì che il bardo doveva essere star induscusso dello spettacolo di Cesare.
La lunghezza e complessità della storia è niente male, e vengono introdotti diversi personaggi memorabili. Tra questi in primo luogo Caius Obtus, il responsabile della scuola di gladiatori, che crede di avere il suo asso nella manica con Asterix e Obelix nel suo show, ma fin troppo tardi si rende conto dell’imprevedibilità dei suoi “prigionieri” galli. Anche il personaggio di Grandimais è divertente è buffo, e il suo equipaggio altamente inappropriatamente democratico.
A parte questi, è anche bello come finalmente ha un ruolo importante per la storia un personaggio che non sia Asterix, Obelix o Panoramix. Il bardo Assourancetourix è un buono spunto per la vicenda, e viene mostrato il suo carattere schifo ma per niente non-gallico, coraggioso e strafottente delle minacce romane, e intenzionato solo a spargere la sua musa musicale per le genti romane (dal suo punto di vista, l’apparizione nel Colosseo, è la sua grande opportunità!).
Unica nota “stonata” visto che parlavamo fino a poco fa del bardo, è il fatto che i disegni mi paiono meno curati che nel numero contro i Goti. Tolto quello, però, un albo tutto da lodare e leggere.
Voto Personale: 8/10
E con questo è tutto. Un altro teh alla menta marocchina è finito nel mio stomaco e sperando che finalmente settimana prossima riesca a presentarvi la mia recensione di Prometheus, vi saluto, vi auguro buona fortuna per la settimana prossima e…ci si rivede qui, puntuali! =)
27 gennaio 2016 alle 18:20
[…] per completa chiarezza, già recensii questo gioco anni fa per il Weakly Hobbyt (il numero 94 per la precisione), ma quella che state per leggere è una recensione in gran parte nuova! […]