A cavallo di un palloncino rosso, vi accogliamo nuovamente sul Weakly Hobbyt, per l’ultimo numero a due cifre della nostra rubrica, che casualmente coincide con l’inizio della stagione delle fregole. Tra western tarantiniani, Zelda, criminalità spazio-temporale ed eterne lotte per la Soul Edge, vi auguro una buona lettura!
E sì, -1! 😀
Django Unchained
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Era da un bel pò che non parlavamo di un film da poco uscito nelle sale cinematografiche; causa anche il fatto che ultimamente (ovvero, dalla visione dello Hobbit) al cinema non ci sono stato per niente! Avevo intenzione comunque da alcune settimane di invertire questa tendenza, e preso uno dei miei tanti amici greci che ho in Germania, mi sono incamminato per il cinema a vedermi Django Unchained, ultima pellicola di quel matto di Quentin Tarantino.
SPOILERS!
La storia di Django Unchained non è particolarmente complessa e non ha vinto di certo Oscar pochi giorni fa durante la grande notte delle stelle di Hollywood.
Siamo nel 1858, negli Stati Uniti del sud, e Django è uno schiavo; come tale, un essere senza diritti e senza possibilità, che sta per venire portato da una asta di schiavi all’altra. A salvargli la vita e fondamentalmente anche cambiargliela è il Dr. King Schultz, un dentista tedesco che da alcuni anni ha ormai abbandonato la sua carriera preferendo quella di cacciatore di taglie senza grossi scrupoli. Il buon dottore libera Django proprio per una delle sue caccie di taglia; ci sono tre fuorilegge che sono scomparsi e di cui Schultz conosce solo il nome, che tuttavia Django conosce di vista e saprebbe quindi identificare. Il Dr. Schultz decide quindi liberarlo a modo suo (ovvero uccidendo uno degli schiavisti che lo scorta, ammazzando il cavallo di un altro che, cadendogli addosso, gli spappola la gamba, e dandolo “in pasto” ai suoi altri schiavi una volta liberato Django) e di metterlo in seguito a suo agio, con vestiti e cappello.

Il Dottor Schulz cammina versa il suo Oscar, Django lo segue…
Poco dopo decide di mostrargli direttamente in cosa consiste il suo lavoro di cacciatore di taglie, e quando Django accetta infine di aiutarlo, i due si mettono in viaggio verso la fattoria dove lavorano i tre banditi. La tattica di Schultz si rivela presto essere quella di non spacciarsi per quello che è, ma anzi di fingersi qualcun altro fino a quando la sua predo non è ormai impossibilitata a fuggire. Complice di questo sono un ottimo senso della bugia e una mira a dir poco eccezionale accoppiata ad una velocità di reazione non indifferente. Grazie a Django il piano ha successo ed i tre criminali vengono uccisi, due da Django stesso (che si vendica degli abusi da loro subiti mentre era in schiavitù) e uno poi a distanza da Schultz. Grazie ad una forte diplomazia, i due riescono poi a spiegare al proprietario terriero che aveva assunto all’oscuro dei fatti i tre criminali, il motivo delle loro azioni.

Leonardo Di Caprio riesce a interpretare uno stronzissimo proprietario terriero!
Django è quindi finalmente libero, e quando Schultz gli chiede cosa farà, gli racconta di come vuole ritrovare sua moglie Boomhilde Von Schaft, una schiava con un nome tedesco datole dai suoi precedenti padroni che erano, appunto, tedeschi. Quando Schultz sente questa cosa, e narra a Django la parte della saga dei Nibelunghi in cui si parla di Brunhilde, il cacciatore di taglie prova simpatia per Django e gli fa una proposta: per l’inverno i due saranno compagni cacciatori di taglie, e in primavera Schultz aiuterà Django a ritrovare la moglie. L’affare è fatto, e così Django diventa un nero cacciatore di taglie (e si tiene il biglietto della sua prima taglia) ed i due fanno squadra fino alla primavera. Schultz riesce a rintracciare l’acquirente di Broomhilde, che però è nessun altri che Calvin J. Candie, proprietario del più grande consorzio di cotone del sud, Candyland.
L’impresa sembra difficile, ma Schultz ci vuole provare, simulando di essere interessato alle lotte tra Mandingo a cui anche Calvin è interessato. L’idea è di comprare un lottatore e di richiedere come bonus Broomhilde. Il piano sembra funzionare finchè Stephen, l’anziano maggiordomo di famiglia, un nero anche lui, non capisce tramite diversi sguardi tra Broomhilde e Django, quali sono le vere intenzioni dei due. In privato l’anziano servitore avvisa Candie, che arrabbiato disarma Schultz e Django e chiede loro di dargli i 12.000$ offerti per il Mandingo per Broomhilde, altrimenti l’ucciderà. Schultz è costretto a chinare la testa onde evitare la morte della moglie di Django, ma quando Candie vuole addirittura che il tedesco gli scuota la mano, questo non può fare a meno di sparare Candie nel cuore con una Derringer nascosta nella manica.

Calvin Candie contro Django Freeman…tra i due nasce subito una strana antipatia!
In quel momento scatta una sparatoria a Candyland, in cui Schultz viene ucciso e Django preso prigioniero. Il ragazzo viene venduto come schiavo a dei minatori, per passare il resto dei suoi giorni a fare una vita di lavoro e fame. Django però, convincendo i minatori di essere un cacciatore di taglie, riesce a farsi liberare dai minatori e fugge con della dinamite. Giunto a Candyland libera Broomhilda e uccide le rimanenti guardie del corpo di Candie, spara alle ginocchia Stephen e lo imprigiona nella tenuta della famiglia mentre la fa esplodere. Con Broomhilda al sicuro e con gli schiavi di Candyland liberati, Django cavalca via verso la libertà.
Tutto sommato Django Unchained è un film che vi farà passare una serata piacevole. Per quanto la storia non sia nulla di chè, la recitazione, la regia e lo script sono fatti decisamente bene. L’Oscar a Christoph Waltz è più che meritato, considerando la sua immensa bravura nel rappresentare un cacciatore di taglie con la marzialità tipica associata ai miei connazionali teutonici, i suoi modi di fare sono splendidi e le espressioni facciali e la mimica in generale semplicemente fenomenali! Anche il suo aspetto diplomatico e scaltro, il fingersi chi non è, gli riesce decisamente bene, creando tutto sommato un personaggio estremamente simpatico con cui mi sono immediatamente identificato.
Anche gli altri attori del film dicono certamente la loro, a partire da un buon Leonardo Di Caprio (è diventato davvero un bravo attore!) che interpreta l’accativante e cattivo Calvin J. Candie, passando per il buon (anche se forse un pò generico) Django interpretato da Jamie Foxx, e l’altrettanto calaidoscopico Stephen interpretato da un ottimo Samuel “Motherfucking” Lee Jackson. Anche molti degli attori di contorno sono bravi nei luoro ruoli, e tutto sommato il casting mi è piaciuto molto.

Django è un gran figo, se non fosse già chiaro! XD
Un altro aspetto decisamente riuscito del film è la colonna sonora, che tra pezzi nuovi e vecchi di Ennio Morricone (in parte aiutato nella composizione da Elisa), riesce a calare lo spettatore perfettamente nell’ambientazione western tipica dei film italo-americani degli anni “Bud Spender & Terence Hill”. Si, sono anni quelli, okay? =D
Anche la regia del film mi è piaciuta molto, così come la scenografia, è tutto girato molto bene e ricreato in maniera credibile; non siamo di fronte ad un film che vuole essere preso sul serio al 100%, ci sono troppi schizzi esagerati di sangue per quelli (tipici di Quentin Tarantino), ma che vuole rappresentare un mondo serio e al contempo divertirsi e divertire lo spettatore. Ci sono scene di risate e scene di intense sparatorie, e l’azione e la storia vi vengono fatti scorrere davanti gli occhi di buon passo, lasciando davvero poco, pochissimo spazio a tempi morti.

E nei rari tempi morti, Christoph Waltz si gode una meritata birra!
Se non fosse già chiaro, il film mi è piaciuto molto. Se amate Quentin Tarantino, andatelo a vedere, se amate i film western di Terence Hill, andatelo a vedere ugualmente, non è all’altezza di nessuno degli altri due, ma diverte ugualmente e…amerete il Dottor Schultz! Garantisco! =D
Voto Personale: 8/10
Zelda: The Stylus of Truth
(A cura di Wise Yuri)
“Every game has a story, but only one is a legend”. Ovvero, la serie di The Legend Of Zelda, non una serie ma un vero e proprio fenomeno videoludico, con più seguaci di buona parte delle religioni principali. Giusto per fare un’esempio “interno”, anche il nostro celebandune ha dedicato molti articoli dettagliati su giochi della serie. 🙂
Visto che ancora non si sa nulla sui nuovi giochi della serie destinati al 3DS (Ocarina Of Time 3D è un porting), direi che si può fare un piccolo time warp agli episodi per DS, nello specifico a The Legend Of Zelda: Phantom Hourglass per DS, su cui penso di poter dare un parere abbastanza obiettivo, avendolo iniziato e finito due volte.
Phantom Hourglass è un seguito diretto di The Wind Waker, e vede Link e Tetra (o SPOILER come nella traduzione italiana di Wind Waker e questo, Dazel, giusto per rovinare la possibile sorpresa nello scoprire che Tetra è Zelda di questi giochi FINE SPOILER) navigare i mari, finchè non incappano in una nave fantasma. Zelda sale a bordo, e sentendola urlare, Link si lancia verso la nave fantasma per andare a salvarla, ma cade nel mare e si ritrova arenato su un’isola. Qui inizia un’altra avventura marittima per l’elfo in verde….
So che qualcuno di voi sta pensando “ma la linea temporale?”, ma onestamente non me ne frega niente, e sempre onestamente prima di vedere quel video “Zelda timeline” dell’AVGN manco ci avevo pensato ad una linea temporale, voglio dire, chi se ne frega? XD Ogni zelda è un gioco a parte, ed ogni titolo è una storia a parte…. tranne in casi come questi, in cui c’è una sorta di bilogia (o trilogia, se volete contare anche Spirit Tracks, ma questa connessione è un pò sghemba), ed è chiaro come due o più titoli siano collegati a livello di storia e personaggi. Ad ogni modo qui abbiamo un’altro antagonista, Bellum, e niente Ganon, in qualsiasi forma. Molto gradito il nuovo personaggio Linebeck, un simpatico fifone di mare che vi presta il suo battello, sotto promessa di tesori e “danari”.
Ad ogni modo, parliamo del gameplay. La rivoluzione più grande che Phantom Hourglass opera è quella del sistema di controllo, in quanto via i pulsanti, tutto il gioco si controlla con lo stilo, e con il microfono quando richiesto. Sollevare vasi, attaccare nemici, tirare leve, muovere Link, utilizzare gli strumenti, tutto è ora relegato all’accoppiata di stilo e touch screen. E funziona da dio, è molto intuitivo, e semplicemente dopo un’ora di gioco vi dimenticherete che non state usando alcun pulsante. Tra le nuove funzionalità, ora potete disegnare sulle mappe con lo stilo per scrivere appunti utili a risolvere un’enigma, o quello che vi pare. A livello di gameplay, Phantom Hourglass è una via di mezzo tra i classici episodi 2D con visuale a volo d’uccello e gli episodi 3D, ma più del primo che del secondo tipo
Oltre allo stile grafico in cel-shading, da Wind Waker ritorna anche il mondo di gioco composto da isole sparse in un grande grande mare, e con questo la navigazione da isola ad isola via barca, elemento che non se era un difetto del gioco precedente, poco ci mancava, visto che bisognava prendersi un permesso dal lavoro per passare da isola A ad isola B. Non proprio, ma qualcosa del genere. XD Sebbene questa caratteristica sia pressappoco identica anche in Phantom Hourglass, qui è fortunatamente meno fastidiosa, sia perchè il mondo di gioco non è così grande, sia perchè ora basta disegnare la rotta con lo stilo e la barca seguirà in automatico questa. Altra novità è la possibilità di personalizzare il battello, scegliendo quali pezzi (tra pale, prue, etc.) montare, con bonus di resistenza se montate tutti pezzi appartenenti alla stessa serie. E stavolta potete anche pescare direttamente dal battello, oltre che darvi al recupero di tesori ed al bombardamento di navi pirata raminghe! Una novità assurda è quella che non potete nuotare, esilarante in un gioco ambientato in un mondo al 90% MARE, ancor più quando in Wind Waker potevate nuotare. Boh.
Ma purtroppo, non tutte le novità sono belle. Oltre ai classici dungeon e santuari, stavolta abbiamo un grande dungeon principale, il Santuario del Re Mar, situato nella prima isola del gioco, che non può essere esplorato in toto fin da subito, ed la cui esplorazione è legata all’utilizzo della titolare Clessidra Fantasma. Link può rimanere nel santuario per un tot di minuti (sconfiggendo i boss e recuperando i bonus di tempo riceverete più sabbia e quindi potrete stare più a lungo), e perde vita con il passare del tempo, ma fortunatamente ci sono delle zone franche in cui Link non perde vita e diventa invisibile agli Spettri, dei cavalieri in armatura che infestano il santuario, non troppo veloci ma capaci di sconfiggervi con un colpo.
Perché è un problema? Perchè abituatevi all’idea ed al posto, ci tornerete minimo una decina di volte durante il gioco, e sebbene le prime volte non vi dispiacerà (perchè avanzate nel dungeon ed esplorate nuovi piani), verso metà gioco non potrete più di questo eccessivo backtracking. Sì, avrete modo di raggiungere una specie di checkpoint che vi riporta a metà strada, ma ciò non toglie che dovrete spesso rivisitare i soliti piani, magari perchè con gli strumenti ottenuti nell’ultimo dungeon ora potete aprirvi una nuova strada in un piano già visitato. E visto che il santuario stesso è un elemento importante della storia -lo ripeto- ci tornerete tante di quelle volte da averne la nausea. L’idea di fondo del Santuario non era malvagia, ma realizzata così finisce per essere un dito nel c- una spina nel fianco, un qualcosa che il giocatore “teme”. Sarebbe stato preferibile inserire qualche isola e dungeon in più, invece di farne uno “multi-strato” a cui dover tornare più o meno dopo ogni avvenimento importante.
L’altro “problema” di Phantom Hourglass…. è che, sistema di controllo fantastico ed intuitivo (e caratteristiche della serie migliorate grazie a questo) a parte, di eccezionale non ha nulla. “problema” tra virgolette perchè non parliamo di un vero problema insito nelle meccaniche di gioco, ma di come queste siano sempre le stesse che la serie propone da sempre. La Nintendo è famosa per essere molto conservativa con le sue serie storiche, e sebbene usare la stessa meccanica di base non impedisca di fare buoni giochi (la stessa serie di Legend Of Zelda è un esempio), beh, Phantom Hourglass non è uno degli episodi più ispirati della serie, anzi.
Il design dei dungeon, degli enigmi e dei boss è fin troppo tipico (con qualche gradita eccezione), e non aiuta che gli strumenti siano i soliti (arco, rampino, ed un ritorno delle Bombchu da Ocarina Of Time e Majora’s Mask), con nemmeno un nuovo oggetto a rimpinguare l’inventario di Link. Non che non ci siano qualche enigma e sezioni interessanti, specialmente quando viene utilizzata/richiesto di usare la possibilità di prendere appunti sulla mappa, ma in linea generale è la solita solfa di sempre: muri “segreti” da buttare giù con bombe, boss da sconfiggere con lo strumento trovato nel dungeon, porte da sbloccare con chiavi piccole e grandi, boss o nemici che lanciano sfere di energia etc.
Ed è più facile del solito, ma ciò dipende più che altro dal fatto che ormai siete estremamente familiari con la struttura dei giochi della serie, quindi la domanda che vi farete non è “Troverò l’arco?”, ma “troverò prima l’arco o le bombe?”. Ci sarebbe anche da dire che risulta semplificato anche il combattere i nemici, ma ad essere onesti il sistema di combattimento non è mai stato il selling point della serie, quindi non è che si noti tutto questo cambiamento. Se non altro fa piacere vedere la Nintendo stessa che cerca di smuovere e rinverdire la serie, in un Nintendo Direct lo stesso Aonuma (cioè il direttore della serie di Zelda) ha ammesso che la serie ha bisogno di nuove idee, che devono ripensare come fare un gioco delle serie, partendo da capo, il che vuol dire che perlomeno ci stanno pensando.
A livello tecnico non c’è molto da dire, la grafica non è nulla di superlativo per quanto riguarda i modelli poligonali e le texture, e sebbene i titoli DS non abbiano mai brillato per prestanza tecnica, beh, credo che si potesse fare di più. In ogni caso ci si passa sopra perchè lo stile grafico in cel-shading è molto caratteristico, e lo stile è curato e colorato come al solito, ed in linea generale con “grafica” non si intende solo quanti poligoni puoi mostrare a schermo, l’alta definizione non salva una direzione artistica senza ispirazione. Il sonoro presenta i soliti temi classici della serie, con alcuni riarrangiamenti di musiche prese anche da Wind Waker e qualche traccia nuova, come al solito tutto molto gradevole, ma nulla che faccia urlare all’eccellenza sonora.
Molto gradita l’aggiunta di una modalità multigiocatore online (non una novità assoluta per la serie, visto che già esisteva Four Swords, ma la prima volta che uno Zelda usa l’online ) competitiva, in cui a turno un giocatore controlla Link e deve portare delle Gemme della Forza dalla sua parte, e l’altro giocatore controlla tre Spettri, e deve impedire che Link raccolga le gemme. Alla fine di ogni turno, i giocatori si scambiano i ruoli e chi alla fine di 3 turni ha più punti vince. Semplice ma molto divertente come aggiunta, all’uscita ci giocai davvero molto, ora ormai non si trova più nessuno (ma visto che il gioco è relativamente vecchio, non sorprende).
Detto tutto ciò, Phantom Hourglass ha i suoi difetti ma è un buon gioco, ed è bello avere uno Zelda portatile giocabile con due dita (e ho adorato Wind Waker, stile grafico e gameplay, quindi mi ha fatto piacere vedere un seguito diretto), ma è innegabile che ci troviamo di fronte ad un titolo sottotono per la serie, che diverte e preso a parte è un buon titolo, ma vi lascia la sensazione che si poteva fare di più, che poteva essere uno Zelda migliore, e devo dire che personalmente questa sensazione mi è rimasta, anche dopo aver riniziato e finito il gioco una seconda volta. “The Legend Of Zelda è sempre The Legend Of Zelda”, ma Phantom Hourglass è uno dei meno brillanti episodi della serie. Con questa vignetta di Omocat vi lascio al resto del weakly!
Looper
(A cura di Alteridan)
Nel 2074 sarà inventato il viaggio nel tempo ma verrà subito reso illegale. Tuttavia se qualcosa è illegale non è sempre scontato il suo non utilizzo; un’associazione criminale nel futuro si occupa infatti di un business particolare: l’eliminazione di persone tramite il viaggio nel tempo, per l’appunto. Ogni persona nel 2074 sarà dotata di un chip che rende facilmente tracciabile la posizione del corpo, ma questo è impossibile se il corpo si trova in un’epoca differente.
Questo è in breve il senso del discorso introduttivo di Joe (Joseph Gordon-Levitt), un killer del 2044 che fa parte di una società criminale, i looper, incaricata dello smaltimento cadaveri da parte della mafia del futuro. I looper sono chiamati così perché la loro ultima vittima sarà sempre la loro versione del futuro, e uccidendola chiuderanno il loro loop (il cerchio).

Joe attende la sua vittima dal futuro.
Joe, così come la maggior parte dei looper, sembra convivere serenamente con questa realtà fin quando, giorno dopo giorno, vede i suoi compagni chiudere uno dopo l’altro i propri loop.
I problemi iniziano però quando il miglior amico di Joe, Seth (Paul Dano), si presenta nel cuore della notte a casa sua dicendo di aver esitato davanti alla sua controparte del futuro e di averla lasciata fuggire. Impossibilitato a chiudere il suo loop, Seth chiede all’amico di nasconderlo ma ben presto Abe (Jeff Daniels), il boss dei looper, verrà a conoscenza del fatto e costringerà Joe a rivelare la posizione dell’amico.

Seth sta per fare l’errore della vita.
Qualche giorno dopo anche Joe si ritroverà a dover affrontare il Joe del futuro (Bruce Willis) ma quest’ultimo riuscirà a stordire il Joe giovane e si dileguerà. Braccato sia dai criminali al soldo di Abe sia dalla polizia (corrotta dal boss), Joe ben presto scoprirà che la sua controparte del futuro ha un piano preciso che tenterà di mettere in atto a tutti i costi.
Il film scritto e diretto dal giovane (dal punto di vista della carriera) Rian Johnson prende quindi una società distopica del futuro, con tutti i crismi del genere quali povertà e criminalità diffusa, e la shakera con un pizzico di fantascienza. Il risultato è senza ombra di dubbio brillante e più che soddisfacente, merito anche delle performance dei due attori principali: se da un lato Joseph Gordon-Levitt interpreta un Joe impulsivo, dall’altro abbiamo Bruce Willis che ben si presta ad interpretare il ruolo di un personaggio più maturo e ragionato ma che non disdegna gli scontri a fuoco (e Bruce Willis ci ha abituati a questi ruoli). Da registrare anche le interpretazioni magistrali di Emily Blunt e del giovanissimo Pierce Gagnon, di cui preferisco non citare i ruoli per non rovinarvi la sorpresa.

I due Joe a confronto.
Looper è un film che funziona: il mix di azione e momenti di riflessione interiore da i suoi frutti coinvolgendo lo spettatore nelle prime frenetiche fasi del film per poi via via dispiegare una matassa fatta di paradossi temporali e turbe psicologiche.
Tuttavia rimane un certo amaro in bocca per l’assenza di una colonna sonora degna di nota, non vi è alcun pezzo memorabile e nel complesso l’accompagnamento sonoro è piuttosto sottotono. Inoltre alcuni pezzi della trama potrebbero risultare fumosi, soprattutto ad una prima visione del film, e non tutti i paradossi trovano una soluzione nel finale.
Looper resta comunque uno dei migliori film del 2012 (anche se in Italia è uscito solo a fine gennaio 2013), e senza ombra di dubbio uno dei migliori thriller fantascientifici usciti fin’ora.
Per il futuro si vedrà…
Soul Calibur III
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Per quel che mi riguarda, il rilascio di Soul Calibur III è circondato da un’aura di soldi e mistero. Tra le tre versioni di Soul Calibur II, difatti, quella che ha venduto di più è stata quella per GameCube. Inoltre, era anche quella giudicata migliore da critici e dal pubblico. Eppure, quando circolarono sulla rete le prime voci di un nuovo Soul Calibur, fu presto chiaro che sarebbe stata una esclusiva per PlayStation 2. Perchè? Probabilmente soldi e un forte accordo con la Sony, ma questa notizia non l’ho mai sentita confermata ed è più una mia conclusione personale che altro.
Comunque vada, figurarsi se alla lunga non sarei riuscito a mettere mano sul seguito di una delle mie serie di videogiochi preferite. E così oggi parleremo del prossimo gioco della saga, in maniera da poter così dedicarci al penultimo episodio uscito nel centesimo numero del Weakly Hobbyt! =) Giusto per chiudere il ciclo iniziato nel Weakly Hobbyt #1!
Dicevamo, Soul Calibur III. Come anche gli altri giochi della saga, le principale modalità presenti sono quelle per il gioco in singolo (chiamate Cronistoria della Spada, Storia di anime e spade e Competizione Mondiale) e per la modalità in multiplayer, con i Versus semplici o avanzati. Per quel che riguarda il multiplayer, purtroppo scompaiono i Team Battle, e vengono sostituiti con la possibilità di organizzare Tornei con fino a 32 Giocatori. La modalità torneo è ben fatta, indubbiamente, ma nulla che non si potrebbe fare comunque e in maniera più complessa su un foglio di carta.

Maxi prova a dimostrare ad Astaroth che le sue Nunchaku fanno male.
Le più grandi migliorie del gioco vengono invece dalle modalità in singolo.
La Competizione Mondiale è la “meno originale” di tutte, presentando al giocatore un semplice torneo da affrontare con un personaggio a scelta contro altri guidati dalla CPU. Il tutto ha una parvenza di “online”, ma è tutta una farsa ovviamente, non disponendo in alcun modo di connettività a internet Soul Calibur III (e questa, all’epoca, fu una delle grandi critiche al gioco, che però io non mi sento di muovere, visto che modalità online ne uso pochissime). Tutto sommato, questa modalità è paragonabile ad un Arcade Impoverito, visto che non dispone di intro nè outro significanti.
Le due vere chicche del gioco sono invece le altre due modalità.
Partiamo dalla Storia di anime e spade. In questa modalità dovrete affrontare la storia dei singoli personaggi (che scegliete voi di volta in volta, come nella storica modalità Arcade) su una cartina geografica dell’Eurasia in maniera più interattiva che mai. Non siamo di fronte ad un semplice scontro dopo l’altro come picchiaduro ci hanno abituato nel gioco in singolo, ma davanti ad una vera e propria storia, con molti testi e descrizioni di ciò che il nostro Avatar fa in cerca della Spada Maledetta, la Soul Edge. A rendere il tutto ancora più succoso e godibili sono cut-scene fatte col motore di gioco in cui non di rado ci toccherà affrontare un Quick Time Event (riuscirà mai a parlarvi di Shenmue?), grazie al quale potrete affrontare lo scontro con un leggero vantaggio o eviterete di trovarvi in svantaggio. Un esempio? Tutti i personaggi a un certo punto inseguiranno una figura nell’ombra mentre si dirige verso una gigantesca torre con orologio. Giunti al suo interno, l’inseguito proverà a buttarvi addosso un grosso congegno mobile dell’orologio. In alto sullo schermo comparirà un comando da eseguire che, se azionato in tempo, farò scansare il vostro personaggio; in caso di fallimento, verrete colpiti in pieno dalla ruota dentata e inizierete lo scontro con metà vita.

Le ambientazioni di Soul Calibur III sono spettacolari! Qui Taki e Mitsurugi combattono in un cimitero in montagna!
Oltre a questo tipo di eventi, spesso vi verrà anche chiesto di scegliere la vostra prossima meta. Per esempio potrete decidere di investigare due diverse tracce, una che vi porterà verso la Spagna e una che vi porterà in Cina, e a dipendenza delle quali i prossimi scontri saranno diversi. Alternativamente potreste rimanere in uno stesso luogo per partecipare a sfide di difesa, o a lotte in cui molteplici personaggi vi sfideranno in rapida successione.
La modalità è davvero ricca, e offre diversi e molteplici ottimi spunti per venire giocata più di una volta. Aggiungete a questo la presenza di due finali per ogni personaggio, e lotte davvero epiche e difficili da affrontare, a avete il quadro completo di quella che ritengo, ad oggi, la migliore modalità “Arcade” della serie Soul Calibur.
Visto che ho citato i personaggi, in Soul Calibur III ne sono stati aggiunti tre nuovi, totalmente originali e con mosse nuove. Inoltre il resto del cast, in particolare i cloni, sono stati ulteriormente diversificati l’uno dall’altro, purtroppo non sempre al meglio. Vi elenco i personaggi rapidamente, sottolineando quelli nuovi.
- Astaroth: il golem gigante fa il suo ritorno, e promette mazzate e distruzione a tutti con la sua onnipresente ascia gigante. I suoi costumi diventano sempre più assurdi.
- Cassandra: la sorella minore di Sophitia accompagna di nuovo la sorella in viaggio in cerca della Soul Edge, per distruggerla una volta per tutte. Il suo stile di combattimento è sempre basato sulla daga e sullo scudo.
- Cervantes: il grande antagonista della serie torna con vesti più strane e colorazioni improbabili. Ha perso purtroppo alcune delle sue mosse, e altre sono state riposizionate, ma continua ad essere un avversario temibile con le sue due spade, di cui una integrata di pistola!
- Hong Yun-Seong: questo guerriero coreano armato di sciabola torna a stordire i suoi avversari con agilità e una serie di calci invidiabili.
- Ivy: scopriamo in questo episodio che la donna più sexy dell’universo di Soul Calibur è anche un’esperta di alchimia. Il suo vestito la spoglia leggermente meno in questo episodio, ma le sue mosse, soprattutto grazie al ritorno della sua Snake-Sword, continuano ad essere molto sadiste!
- Kilik: anche lui continua un processo di raffinamento dell’aspetto e di diversificazione del parco mosse dalla sua fonte di ispirazione, ovvero Seong Mi-Na. In questo episodio è molto più asiatico che in precedenza (in cui somigliava un pochino al giocatore di calcio Kakà), ma continua ad avere come arma il suo fedele bastone.
- Lizardman: IL Lizardman in questo episodio fa il suo gradito ritorno, con uno stile leggermente diverso. Lo scudo è sempre presente, ma la spada è stata sostituita da una piccola ascia, con cui il capo degli umanoidi lucertoliformi semina il terrore lungo le coste Europee.
- Maxi: il pirata buono torna ancora, e combatte con i suoi fidi compagni Kilik e Xianghua. Oltre che con i suoi calci e temibili nunchaku.
- Nightmare: anche se Siegfried è stato liberato dalla maledizione della Soul Edge e ha appeso al chiodo i suoi giorni da Cavaliere Azzurro, la sua armatura è ora impossessata dallo spirito della spada malvagia e vaga senza pace da un luogo all’altro del mondo per nutrirsi di anime onde evitare di cadere a pezzi. La sua arma è lo spadone a due mani, memore dello stile di Siegfried.
A Seong Mi-Na e Nightmare poco importa che la villa in cui combattono sta andando a fuoco…
- Olcadan: Maestro d’Armi e personaggio “mimica” di questa iterazione di Soul Calibur, Olcadan è uno strano figuro metà umano e metà gufo, che non mi ha particolarmente colpito. Su internet si trovano molti pareri positivi su di lui, ma sinceramente, preferivo Edge Master.
- Raphael: in questo episodio, lo spadaccino armato di stocco originario della spagna ha un aspetto più dark e quasi corrotto dalla Soul Edge. Tutto sommato lo preferivo nella sua versione Soul Calibur II.
- Rock: subisce un’ulteriore differenziazione da Astaroth. Nonostante la loro stazza e parco mosse si somigliano ancora molto, Rock mette da parte l’ascia e combatte ora con una gigantesca mazza ferrata.
- Seong Mi-Na: la veterana fa ancora una volta il suo ritorno, con un bellissimo vestito coreano e la sua fida alabarda.
- Setsuka: uno dei personaggi nuovi del gioco, Setsuka è una ragazza europea crescita in giappone, che ha visto morire i suoi genitori adottivi per mano di Mitsurugi. Armata con una katana nascosta nel suo ombrello, la rapida ma non troppo agile ragazza è determinata a vendicarsi del samurai giapponese.
- Siegfried: ormai libero dalla maledizione della Soul Edge, il paladino del Sacro Romano Impero Germanico viaggia in cerca della sua nemesi Nightmare, cercando al contempo di ristanbilire il suo nome, aiutando tutte le famiglie distrutte dal suo alter ego. Come sempre, combatte con uno spadone a due mani.
- Sophitia: anche questa veterana di Soul Calibur fa un gradito ritorno nel quarto episodio della saga. Con vesti bianche, capelli biondi e occhi azzurri, la giovane madre somiglia sempre più ad un angelo. Un angelo, notate bene, armato di spada corta e scudo.
- Taki: amica di Sophitia e ninja cacciatrice di demoni, Taki in questo episodio indossa una maschera per spaventare banditi e ladruncoli. Nel caso non li riesca a scacciare col suo aspetto, invero molto procace, ci stanno sempre i suoi tanto Mekki e Rekki Maru.
- Talim: la giovane sacerdotessa fa il suo ritorno da Soul Calibur II. L’innocente fanciulla è ancora in giro per purificare dal male ogni luogo contagiato dalla Soul Edge, e combatte, se necessario, con le sue Tonfa Affilate.
- Tira: altro personaggio nuovo, Tira ha una storia molto interessante. La ragazza è stata cresciuta da un culto adorante gli uccelli (in particolare i corvi) e la Soul Edge, e Tira è stata sottoposta a un vero e proprio lavaggio del cervello, che le fa credere di dover servire la spada del male a tutti i costi (e quindi assistere alla sua ricostruzione). La giovane (e strategicamente “svestita”) combatte con un cerchio affilato che usa come se fosse un hula-hoop.
- Voldo: il palermitano sordo-cieco-e-muto fa il suo ennesimo ritrono, e continua la sua ricerca della Soul Edge per il suo defunto maestro Vercci con le sue katar.
- Xianghua: la giovane cambattente coreana continua ad assistere Kilik e Maxi nelle loro ricerche. Come sempre, combatte con la spada cinese senza nome.
Xianghua ha ricevuto un upgrade del guardaroba niente male!
- Yoshimitsu: il famoso ladro continua a cercare la Soul Edge anche in questo episodio, insieme alla sua banda di ladri e armato con la sua fida Katana.
- Zasalamel: in questo epidosio viene rivelato che gran parte degli scontri tra guerrieri nel passato sono stati “arrangiati” da nessun altri che questo uomo che si cela nelle ombre. Zasalamel, per un’antica maledizione, si ritrova a rinascere ad ogni sua morte in un corpo diverso. Adesso, armato di una letale falce, è in cerca della Soul Edge per porre definitivamente fine ai suoi giorni. E non ha scrupoli.
- Abyss: questa versione demoniaca di Zasalamel usa le sue stesse mosse, ed è il boss finale del gioco nella modalità Storia di anime e spade. E’ fodamentalmente una versione potenziata che combatte sempre con la Falce, ma ha anche mosse avanzate di distruzione dalla distanza.
Oltre a questa pletora di personaggi, il gioco vi permetterà di sbloccarne tantissimi altri bonus, che però non sono selezionabili nella modalità “Arcade” e quindi disponibili solo in eventi non legati alla trama. Tra questi personaggi tornano Hwang e Li Long, debutta Amy (la protetta di Raphael), ci stanno le procaci proprietarie del negozio di Soul Calibur III (in cui potrete acquistare nuove armi, armature e oggetti per il museo), ladri, berserker, samurai e così via. Ve ne parlerò più in basso con più dettaglio.
Non abbiamo finito con le modalità single player infatti.
La modalità Cronistorie della Spada aggiunge un’altro peso da novanta sulla modalità in singolo. Questa infatti, basandosi su un ottimo creatore di personaggi, vi metterà al comando di un giovane spadaccino (o lanciere, samurai, ne parleremo tra poco in dettaglio) e vi chiederà di affrontare una serie di battaglie basate sui movimenti di unità da voi comandate su una cartina strategica. L’idea di base è quella della conquista delle basi alleate. Su una cartina in piccola scala ci sono diverse basi (tende, accampamenti, città o castelli) difese da altrettanti avversari e altrettanti basi inizialmente vostre. Il giocatore e la sua piccola truppa di uomini, percorrendo i sentieri che collegano le vostre basi a quelle nemiche, dovrà fermare anzitutto l’avanzata nemica verso le proprie basi, sfidare quindi in duello tipico da Soul Calibur il lottatore avversario (anche questi casualmente generati dal creatore di personaggi) e infine conquistare le basi avversarie fino ad arrivare alla fortezza. Dopo ogni lotta i vostri personaggi guadagnano esperienza, con la quali aumentare loro di livello, riequipaggiarli e così via. Nel caso in cui dovreste perdere una sfida, il vostro guerriero verrà teletrasportato verso la vostra base, dove recupererà l’energia e sarà quindi di nuovo posizionabile in battaglia. Stessa cosa accade ai guerrieri avversari, che quindi alla fine si ritaneranno tutti nella loro fortezza base, per una lotta finale davvero ostica. Mano mano nella storia il vostro esercito comunque aumenterà, con nuove reclute, e le battaglie saranno sempre più intense.

Ecco uno screenshot dalla modalità Cronistoria della Spada, per darvi un’idea della mappa strategica.
L’aspetto strategico, per essere un gioco di lotta, è estremamente curato e l’idea di base semplicemente geniale. Questa modalità presenta venti missioni circa di difficoltà sempre maggiore, e tutto sommato rappresenta un’ottima alternativa alla modalità Storia di anime e spade.
E dico alternativa solo perchè sono cosciente del fatto che non a tutti può piacere una componente strategica in un gioco di lotta.
L’altro aspetto “innovativo” di Soul Calibur III è la modalità di creazione del personaggio. Qui avrete la straordinaria possibilità di lasciarvi andare alle vostre più disparate creazioni artistiche e forgiare l’avatar dei vostri sogni. La ricchezza del creatore di personaggi è impensabile per un gioco PS2.
Avrete la possibilità di creare personaggi maschili e femminili, e in seguito decidere a che “classe” di personaggi questi appartengano. Le classi iniziali a disposizione sono Barbaro, Ladro, Ballerino, Ninja, Monaco e Santo, ma se ne sbloccano molte altre in seguito. La classe determina il tipo di armi che potrete equipaggiare, e l’arma quindi determina lo stile col quale combatterete.

Le cut-scene del gioco sono realizzate col motore grafico in-game. Tira incontra Ivy.
Gli stili disponibili non solo sono presi da quelli dei personaggi del gioco (elencatio sopra), ma ce ne sono anche una decina di altri, liberamente creati a partire da una determinata arma. Il Ladro, per esempio, userà le bombe e un pugnale, e quindi è stato creato uno stile (non curato come quello dei personaggi principali, ma quasi) che si basa su queste armi; il Barbaro usa per esempio una lancia, e quindi è stato creato uno stile per le lotte con la lancia. Gli stili alternativi sono diversi, e presentano interi parchi mosse che si rivolgono all’uso di: spada cinese, pugnale e bombe, scarpe lamate, spadone a due mani, lama cinese, katana, katana e shuriken, doppio kunai, lancia, doppio nunchaku, scimitarra, ventaglio di acciaio, bastone snodabile, falce snodabile, spada e scudo, due tamburini e doppia spada ondulata.
So che molti stili sembrano “ripresi” dai lottatori standard, ma fidatevi, sono tutti stili originali e diversificati e incredibilmente interessanti da sperimentare.
La stessa cura che è stata riposta negli stili, è stata riposta nella varietà di vestiario; da gilet ad armature, da gonne a pantaloni, fasce, sciarpe, scarpe, stivali, la quantità di vestiti ed equipaggiamento vario è notevole e permette una grande capacità di customizzare l’aspetto del vostro lottatore, che poi sarà ulteriormente definito dalla forma del viso e dal tono di voce.
Un creatore di personaggi fatto come si deve, insomma, orginale, diversificabile e in cui si vede che è stato speso un sacco di tempo e buona volontà.

Un esempio per farvi capire quanto è geniale il creatore di personaggi.
Avrete ormai capito che la modalità single player ha ricevuto una cura maniacale, e per quanto è assente una modalità similie e vasta come quella Edge Master di Soul Calibur II, il seguito riesce tranquillamente a far perdonare questa notevole assenza con la pura quantità di altra roba che ci viene lanciata incontro.
Il gameplay, come già vi dissi, è rimasto immutato da Soul Calibur II. La grafica ha subito un passo in dietro e uno in avanti. Per quanto i modelli dei personaggi sono rimasti con lo stesso livello di dettaglio, forse leggermente superiore, lo stile generale del gioco secondo me ha fatto un passo indietro. Certo costumi di alcuni personaggi (Cervantes in particolare) non sono belli quanto in Soul Calibur II, mentre altri sono davvero assurdi (Astaroth). Gli outfit nuovi di alcuni personaggi femminili ci hanno guadagnato, in particolare Xianghua e Seong Mi-Na, ma in generale mi sento di dire che i “costumi” di Soul Calibur II erano migliori.
Discorso diverso va fatto per le arene, che hanno uppato di uno la propria qualità, spettacolarità e interattività. In tutti gli scenari adesso, difatti, nel momento in cui butterete per terra il vostro avversario, noterete come il terreno si rompe o vengono creati buchi nel terreno. Questi non influiscono più di tanto la lotta, ma diverso è il discorso se vi annuncio che la stessa cosa si può fare anche con ringhiere e simili paratie presenti in alcune arene. Nel momento in cui un personaggio sbatteva contro un muro, in Soul Calibur II, vi rimaneva paralizzato un attimo contro per poter subire un’altra mazzata, ma al muro, robusto o fragile, non succedeve nulla.
Non qui. Se un personaggio viene sbattuto contro una ringhiera cedevole, questa dopo un paio di botte o una particolarmente violenta, si rompe, danto in seguito la possibilità (per tutta la durata di quella battaglia) all’avversario di buttare il malcapitato fuori dal ring da lì. Aggiungete a questa una caraterizzazione delle arene davvero niente male (cimiteri, arene nella lava, giardini in fiore, piattaforme vicino cascate con tanto di schizzi d’acqua, palazzi con fontane e cantieri mobili in egitto) e avete il quadro di quello che considero il migliore set di arene fino ad ora disponibile in un Soul Calibur, superiore anche, seppur di poco, a quello stupendo di Soul Calibur II.
Da ciliegina sulla torta a questo meraviglioso compoarto tecnico ci pensa un audio con tracce decenti e discrete e un distinto tema principale che vi accompagnerà nei menù, nell’avventura strategica in singolo e in alcuni momenti topici della storia di anime e spade. Nulla di eclatante, di certo, ma non posso che ammettere che il reparto sonoro fa il suo lavoro e cala bene nell’atmosfera. Commentatore escluso, quello inizia a dare un pò fastidio.

Ecco una recluta della modalità Cronistorie della Spada
Difetti di Soul Calibur III? Purtroppo ci sono.
Nel mettere in tavola così tanti lottatori la Namco purtroppo ha dimenticato a casa il bilanciamento degli stessi. Così ci si ritrova con alcuni lottatori che senza alcune mosse di Soul Calibur II e/o con aggiunte stupide in questo gioco si ritrovano all’improvviso più difficili da utilizzare o più scarsi in generale. Sicuramente la “colpa” è anche quella di aver voluto aggiungere così tanti stili nuovi in una volta sola, ma il risultato purtroppo non si può cambiare: i lottatori sembrano sbilanciati e l’ottimo equilibrio che era presente in Soul Calibur II è stato perso.
Per di più, ho l’impressione (ma forse quello è il controller PS2, con cui non sono mai andato al 100% d’accordo, soprattutto in giochi di lotta) che i comandi dati in input vengano processati e trasferiti più lentamente in mosse o movenze che nella versione GameCube del prequel. Il che da al gioco una leggera sensazione di “pesantezza” che Soul Calibur secondo me non dovrebbe affatto avere.
A questo vorrei aggiungere che per quanto questo sia il più ricco dei Soul Calibur da me giocati, come mole di roba presente e/o sbloccabile nel gioco, alcune richieste sono così assurde, che difficilmente riuscirete a sbloccare tutto quanto il gioco ha da offrirvi. Ne vale la pena, e sono certo che mano mano che il tempo passerà continuerò a giocare Soul Calibur III (ammetto, per quanto abbia finito le modalità in singolo con tutti i personaggi, non ho sbloccato ancora tutto lo sbloccabile in questo gioco, come invece ho fatto da tempo con Soul Calibur II) per sbloccare personaggi bonus (ovvero gente pre-arrangiata con pezzi del creatore di personaggi), vestiti, artwork, arene e chi più ne ha più ne metta. Mentre, però, con Soul Calibur II la sfida era più naturale e “ben voluta” dal giocatore, qui ci troviamo di fronte a roba che solo i così detti “completionists” vorranno vedere. De gustibus, insomma.

Kilik sfrutta Cassandra per distruggere una ringhiera del nascondiglio di Verci.
Questo non rende di certo Soul Calibur III un pessimo gioco. Ripeto, l’aspetto grafico del titolo avrà i suoi alti e bassi, e il cast di personaggi è lontano dal perfetto bilanciamento ottenuto con Soul Calibur II, ma le ricche modalità in singolo, la quantità di arene spettacolari e le tonnelate di roba extra, lo rendono, a mio parere, il secondo migliore episodio della serie. E solo di poco, e in diversi campi, inferiore al suo illustre predecessore.
Se avete una PS2, prendetelo. Ne vale davvero la pena.
Settimana prossima riprendiamo il discorso da qui. 😉
Voto Personale: 8,5/10
Grazie ancora, questo è stato il Weakly Hobbyt Neun-und-neunzig, settimana prossima segnerà un traguardo non male per noi, quindi leggeteci (peffavore)! ;D
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