E’ una straordinariamente calda domenica di Aprile qui in Germania, dove sono già tornato dopo aver passato delle altalenanti giornate in Italia intorno al periodo pasquale. I temi di cui quest’oggi parleremo spaziano davvero tanto, e spero che li troviate tutti di vostro gradimento in un modo o nell’altro. Come sempre, fatecelo sapere sulle nostre pagine Steam o Facebook! =)
Per quest’oggi mi tengo breve anche io, sappiate solo che ne abbiamo delle belle in cantiere, quindi seguiteci e scoprirete di cosa parlo! =)
Mass Effect 3
(A cura di Alteridan)
Piccola premessa: questo articolo è completamente privo di spoiler.
Spazio, ultima frontiera. Così esordiva ogni puntata di un celebre telefilm che sul finire degli anni Sessanta ha rivoluzionato sia l’ambiente televisivo che quello sci-fi in generale, dando vita ad uno degli universi narrativi più vitali e dettagliati della storia recente.
Nel suo piccolo anche BioWare lanciando Mass Effect ormai sei anni fa ha rivoluzionato il modo di concepire il gioco di ruolo e tutto ciò che è sci-fi nell’ambito videoludico.
Spara, ma con giudizio
Nel corso di tre capitoli, però, BioWare ha anche tentato di rivoluzionare la serie. Dopo essere partita da un Mass Effect molto gioco di ruolo e abbastanza action, e passando per un Mass Effect 2 un po’ troppo shooter e poco ruolistico, la software house canadese in Mass Effect 3 è riuscita a trovare un buon compromesso tra third person shooter e gdr.
Molti dei difetti dei primi due capitoli sono stati corretti in questo terzo episodio della saga, a partire dalle fasi shooter piatte e prive di mordente: se in Mass Effect l’azione era fin troppo caotica e in Mass Effect 2 fin troppo guidata da ripari che costringevano il giocatore alla sequenza “spara → copertura” fino alla fine del livello, in Mass Effect 3 i livelli sono stati sviluppati con più criterio consentendo una maggiore libertà strategica.

La gestione del personaggio è rimasta molto simile a quanto già visto in Mass Effect 2.
Un altro aspetto migliorato riguarda l’equipaggiamento: Shepard e compagni non potranno più portarsi dietro l’intera Santa Barbara ma dovranno scegliere l’equipaggiamento in base al peso (che influisce positivamente o negativamente sui tempi di ricarica dei poteri) e in base ad altri parametri come danno, cadenza di fuoco, e così via; non esistono più armi più forti a prescindere ma ogni singolo elemento va valutato in base alla missione da affrontare, ai compagni e al proprio stile di gioco.
L’unione fa la forza
Le innovazioni però non si limitano a quanto detto fin’ora, vi è un’aggiunta che ai tempi dell’annuncio prima dell’uscita del gioco ha suscitato non poche polemiche. Sto parlando del comparto multiplayer.
Cosa ci fa il multiplayer in un gioco di ruolo vi chiederete; beh come già detto Mass Effect 3 ha una componente tps piuttosto marcata ma lo spara spara online in questo gioco ha un senso. Senza spoilerare nulla a chi non ha ancora giocato nessun capitolo della saga va detto che una volta iniziata una nuova partita in questo ultimo Mass Effect, un determinato parametro sarà fissato al 50% e non potrà scendere al di sotto di questa soglia ma può aumentare, come? Giocando partite online.
A cosa serve questo parametro? Posso solo dire che con il crescere di questa percentuale crescono anche le possibilità di un finale più lieto. Va detto comunque che il multiplayer è completamente opzionale, è possibile sbloccare i relativi finali anche giocando solo l’avventura in singolo.

Nemici più vari costringeranno i giocatori ad utilizzare tattiche più complesse.
Ma in cosa consiste il multiplayer? La modalità di gioco è sostanzialmente un’arena survival ad ondate da affrontare assieme ad altri tre compagni. Multiplayer cooperativo quindi, ma per rendere le cose più interessanti sono presenti sei classi e svariate razze per ognuna di queste esse, ogni personaggio ha delle abilità proprie differenti dagli altri, abilità che sarà possibile potenziare tramite i punti esperienza guadagnati nelle arene. Non è tutto, al termine di ogni partita ci verranno forniti dei crediti virtuali con cui acquistare pacchetti contenenti armi, potenziamenti o persino personaggi avanzati seguendo la filosofia dei giochi di carte collezionabili.
Inutile dire che questo sistema funziona, e funziona anche molto bene, con partite rapide ma adrenaliniche e un pizzico di casualità che spinge il giocatore ad accumulare sempre più crediti per acquistare altri pacchetti.
Realizzazione stellare
Merita alcune parole anche il comparto tecnico nel senso più ampio del termine.
Anche se il motore grafico è rimasto lo stesso dei capitoli precedenti, l’Unreal Engine 3, il lavoro effettuato dagli sviluppatori è realmente magistrale: dimenticati l’eccessivo aliasing e la monotonia delle ambientazioni dei primi due capitoli, BioWare è riuscita a realizzare ambientazioni molto diverse tra loro con una pulizia grafica invidiabile da molte produzioni recenti, anche produzioni che si basano sullo stesso engine.

Nuovi personaggi si uniranno a vecchie conoscenze.
Il comparto sonoro non è da meno: a partire dalle riconferme nel doppiaggio originale, con nomi come Martin Sheen, Seth Green, Tricia Helfer, Yvonne Strahovski, Keith David (alcuni dei quali hanno anche prestato il loro volto per le controparti digitali). La colonna sonora invece riprende molti temi presenti in space opera di altri media, grazie anche all’utilizzo di numerosi strumenti digitali, fornendo un ottimo appoggio uditivo alle vicende e alle situazioni del gioco.
Una degna (?) conclusione
Mass Effect 3 riesce nello scopo di coinvolgere il giocatore e di trasportarlo in un universo fantascientifico estremamente curato e dettagliato, ci riesce grazie ad una narrazione forse fin troppo convenzionale ma efficace e grazie ad un’ottima caratterizzazione dei personaggi che però soffre di una stereotipizzazione piuttosto marcata per alcuni membri dell’equipaggio della Normandy.

Il ponte della rinnovata (per la seconda volta) Normandy.
Mi permetto di fare un appunto personale sul finale, sempre senza svelare nulla. Si è detto tanto sul fatto che il finale non fosse degno della saga, giocandolo però non si può fare a meno di riconoscere che i diversi finali tra cui scegliere siano gli unici finali plausibili dopo le vicende dei tre videogiochi. L’unico appunto che si può e si deve fare a BioWare riguarda una trasposizione delle scelte dei giochi passati nel finale, tramite il passaggio dei salvataggi, non proprio perfetta: tranne in pochissimi casi, si ha l’impressione che le scelte fatte nei capitoli precedenti non abbiano alcun effetto sull’epilogo della serie e questo è certamente un difetto molto grave che va sottolineato.
In conclusione: Mass Effect 3 (e di riflesso gli altri due Mass Effect) è un titolo che dovrebbe essere giocato da qualsiasi appassionato del genere sci-fi, nonostante alcuni difetti tipici della software house canadese (trama scontata e personaggi stereotipati in primis).
Voto personale: 8,5/10
Hitler: The Rise of Evil
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Nel mese di Aprile Adolf Hitler è nato e morto; dei terribili crimini che questa figura austro-tedesca ha commesso all’umanità si sono sentite parole da ogni dove, ma a quanto pare il tema torna ad essere moderno, con la xenofobia dilagante di qua e di là per la paura di perdere il proprio lavoro per colpa di stranieri, partiti di estrema destra che guadagnano punti nelle nazioni in crisi (basti guardare Golden Dawn in Grecia) e il riaffiorare di slogan contro le minoranze etniche. Il fatto che la Germania, poi, torni a farsi egemone dell’aera Europea a questo clima non di certo aiuta, e ne ho già viste alcune di vignette provocatorie che dipingono la Merkel con il baffo da Hitler.
Su discorsi del genere non terrei a prolungarmi, visto che sono lunghi e complessi e non di certo adatti ad un blog come questo, che tenta di allegrare le giornate piuttosto che rabbuiarle. Quello su cui invece vorrei dilangarmi un pochino è il film, che ho visto di recente, di cui vedete titolo e locandina in alto.

Il giovane Adolf durante la prima guerra mondiale, al terribile fronte delle trincee Francesi!
In questo film seguiamo la figura di Adolf Hitler, austriaco di nascita, fin dall’infanzia, con la morte del padre, l’amore stranamente corrisposto della madre che in seguito morirà a sua volta, il rifiuto del suo futuro da artista e il suo ingresso nelle file dell’esercito tedesco nella prima guerra mondiale.
Lì lo vediamo lamentarsi del modo di fare guerra, salire i ranghi in fretta grazie al suo impegno e a spionerie e cambiamenti di dato di fatto, e infine tornare in patria dopo la sconfitta in un mondo infelice e plagiato dalla miseria.

Fritz Gerlich è il protagonista secondario delle vicende; qui a letto con la moglie.
Il giovane Adolf (interpretato da Robert Carlyle) tenterà di nuovo di approcciare la carriera artistica, ma senza fortuna, e costretto a vagabondare per Monaco, inizia a entrare in contatto con i circoli politici della città. Lì, grazie al suo carisma come oratore, viene in fretta ammirato da gente di diversi ceti sociali, dall’ex-militare e picchiatore Ernst Röhm, al presidente del partito dei Lavoratori tedesco, Anton Drexler, fino al giovane borghese con i contatti nei ceti alti Ernst Hanfstaengl (interpretato da Liev Schreiber). Tutti questi avvenimenti vengono narrati e seguiti dallo scrittore e giornalista Fritz Gerlich. In un clima di scontento e violenza, Hitler tenta di prendere il potere una prima volta a Monaco con la forza, ma viene tradito dai suoi “alleati”, Gustav von Kahr ed Erich von Ludendroff, che al contraio di Hitler non vengono ritenuti colpevoli di tradimento verso la patria.

Liev Schreiber nel ruolo di Hanfstaegl; uno dei primi sostenitori di Hitler in Germania.
In prigione, Hitler scrive le sue memorie, chiedendo al suo amico Ernst Hanfstaengl di pubblicarle, e una volta uscitone (con la rabbia di Fritz Gerlich), va in montagna dove incontra la semi-nipote Geli Raubal, ora una giovane donne, di cui si innamora in maniera malata e ossessiva.
Comunque vada, dopo la sconfitta alle elezioni di Ludendroff, Hitler torna attivo in politica, depone Drexler e si fa amico la stella nascente del partito Nazional-Socialista Goebbels, e con una serie di voti e rielezioni, riesce a forzare l’allora Presidente della Germania, Paul von Hindenburg (Peter O’Toole), a nominarlo Cancelliere della Germania. Con il Nazional-Socialismo primo partito del paese, Hindenburg in punto di morte e Hitler ormai dittatore del paese, Adolf si libera delle persone a lui diventate scomode (come Röhm, capo delle SA, temute dal popolo come picchiatori senza controllo), mentre intorno a lui i non convinti si defilano (come Ernst Hanfstaengl). Nel 1934 il suo potere sulla germania è assoluto, e anche le piccole opposizioni rappresentate da scrittori e giornalisti come Fritz Gerlich iniziano a venire deportate nei campi di concentramento…
E’ l’inizio del Terzo Reich, e a breve la seconda guerra mondiale ha il suo sanguiono inizio.
Tutto questo, perchè (così recita la “catch phrase” del film), il bene semplicemente non ha agito, ed il male ha prevalso.

Röhm è il capo delle SA fino al 1931. L'attore Peter Stormare assomiglia più ad Hanfstaegl però...
In realtà, Hitler: The Rise of Evil è una mini-serie TV in due parti, che io però ho visto in un unica sessione ininterrotta di tre ore.
La regia e la sceneggiatura del film sono di ottima fattura, e per quanto ci sono ovviamente delle piccole incorrettezze storiche, tutto sommato il film è estremamente ben fatto.
In particolare Robert Carlyle è stato scelto in maniera ottimale per il ruolo, e interpreta Hitler in modo quasi impeccabile, dai suoi schizzi di irascibilità ai momenti di calma e contemplazione, dal suo modo di parlare carismatico e affascinante, fino al più subdolo tocco di “unrest” che il personaggio storico sembrava avere sempre nella sua anima.

Adolf Hitler durante un'intervista con Fritz Gerlich.
La scelta di Liev Schreiber come Hanfstaengl non mi è piaciuta tantissimo, in quanto i due (personaggio e attore) hanno una differenza fisica notevole, ma come interpretazione ovviamente Liev Schreiber è davvero bravissimo e durante tutto il film non ho notato un secondo in cui la sua maschera è crollata.
Bravissimo anche, secondo me, Peter Stormare nel ruolo di Ernst Röhm, anche se pure qui la somiglianza fisica dei due personaggi è inesistente. Moltissimi ruoli minori sono stati altrettanto scelti bene, sia dal punto di vista dell’aspetto che della recitazione, e l’unico altro personaggio che è uscito così bene da meritare una citazione è proprio Peter O’Toole nel ruolo di Hindernburg, davvero fenomenale.

Alla fine del film segue una carrellata di informazioni storiche su come sono proseguiti i fatti...
Per il resto, c’è poco da dire. Effetti speciali ce ne sono pochi, giusto durante le scene della prima guerra mondiale e del putch a Monaco, i costumi sono tutti molto fedeli all’epoca (anche se ci sono anacronismi di qua e di là), il film nel complesso è un pò pesante da guardare, ma il tema è altrettanto pesante, quindi tutto sommato mi sento di promuoverlo.
Soprattutto in questo clima Europeo in cui ci troviamo, guardarci un attimo alle spalle e vedere quali errori non ripetere, non mi sembra sia poi un’idea così malvagia.
Alla prossima!
Voto Personale: 8/10
Il Parassita Dell’Ammore
(A cura di Wise Yuri)
Ci sono film che li vai a vedere, e sai già a cosa vai incontro, ma riescono comunque a sorprenderti, non sempre in positivo purtroppo. In questa nuova puntata di “autosadismo cinematografico” recensisco The Host, l’ennesimo film basato su roba che Stephenie Meyer dice sono libri, ma su tale definizione mi permetto di avere qualche dubbio. Premetto fin da subito che non andrò nel dettaglio, semplicemente non penso ne valga la pena (per me e per voi, e sì non ho molta voglia in questo caso).
Devo dire che ero tentatissimo di fare una recensione alla Nostalgia Critic e famiglia, perchè obiettivamente questo film si presta tantissimo ad essere preso per il culo, ma facciamo una recensione il più possibile “normale”, e partiamo con la premessa del film.
Nel futuro, tutto è perfetto: niente guerra, niente furti e violenze, pace ed ordine regnano sulla terra, etc. Il problema sta nel fatto che beh, di umani ce ne sono rimasti ben pochi, e la “civiltà perfetta” esiste perchè una razza aliena è arrivata sulla Terra ed ha preso possesso dei corpi delle persone, ed oramai controlla quasi tutto il genere umano (gli umani “posseduti” si riconoscono perchè hanno un anello argenteo nella cornea. Ovviamente ci sono alcune sacche di resistenza, o persone che semplicemente sono riuscite a scappare dagli alieni e cercano di non farsi prendere, tra cui la protagonista Melanie, che viene scoperta da un gruppo di Cercatori, e si butta da una finestra preferendo morire piuttosto che permettere ad un alieno parassita di prendere il controllo del suo corpo. Ma per sua (s)fortuna, la caduta non la uccide e viene portata in un laboratorio dove le “iniettano” un alieno (una specie di lumaca/microorganismo argenteo) che si fa chiamare “Viandante”.
L’idea è far sì che “Viandante” rovisti nella memoria di Melanie per scoprire possibili rifugi di umani, ma il problema è che la volontà di Melanie è fortissima, e quindi nello stesso corpo ci sono l’alieno e la ragazza, che cerca di trovare il suo fratellino ed il suo fidanzato, a cui aveva promesso di tornare, qualunque cosa fosse successa. Ma ovviamente è un problema, vista la situazione in cui si trova.
Ora, voglio essere sincero, non tutto è da buttare: l’idea della doppia personalità nello stesso corpo causa parassita alieno non è così orribile, il film inizia in maniera rapida e non perde tempo a far partire l’intreccio, ed ha qualche momento o scena non male.
Ma sebbene parta sorprendentemente meglio del previsto, The Host quasi subito (passata la mezz’ora, all’incirca) decide di lasciar perdere, ed invece di utilizzare la restante ora e mezzo per fare qualcosina di carino, la usa per asfissiare lo spettatore con esposizione a go-go, dialoghi e scene “romantiche” assurdi (e volendo anche moralmente sbagliati) per titillare le ragazzine presenti in sala, ed un setting fantascientifico abbastanza risibile che sembra qualcosa venuto fuori da una fan fiction (tutti si fidano di tutti, tutto è ordinato, tutti gli alieni dediti allo studio e ricerca degli umani sono vestiti di completi bianchi e veicoli argentati, roba da video dei Rockets), più che altro perchè viene accennato e mai sviluppato, con il risultato che a fine film sapete pochissimo di questi alieni e della civiltà che hanno creato sulla Terra. Non tutta l’esposizione vien per nuocere, ma la maggior parte sì.
Il problema principale è pero che in ben due ore di film non succede quasi nulla (tanta, troppa esposizione, persone che spiegano cose non sempre importanti e quasi mai davvero rilevanti, e pochi eventi), a parte un triangolo (o quadrilatero in questo caso) tra la doppia protagonista e due ragazzi, che diventa assolutamente folle in quanto la protagonista ha… beh, due persone dentro al suo corpo, e sebbene all’inizio paia strano anche ai due contendenti, dopo poco sembra la cosa sia diventata normale per tutti.
Non so voi, ma considerando che dentro la stessa ragazza ci sono due personalità ben distinte, beh, mi farei alcune domande prima di sfoderare la lingua, mettiamola così. La cosa ironica è che il resto del film si lascia guardare, e quando si arriva a queste scene (che sono il vero focus del titolo, non a sorpresa), praticamente il punto centrale del film, The Host peggiora e non poco. Ma il peggio arriva con il finale, che non rivelerò, ma è di un buonismo ed di un ridicolo incredibile, sul serio. Complimenti perchè ci vuole coraggio per fare un finale che praticamente rende quasi superflui tutti i dialoghi, le spiegazioni e le pippe etico-sentimentali fatte fino ad allora. 😀 Evidentemente al regista non è importato molto.
A livello di fotografia e regia il film è ok, c’è un momento in cui sembra che in sala di montaggio abbiano tagliato per sbaglio alcuni secondi, e vi chiedete “mi sono perso qualcosa io o cosa?”, ma a parte questo non ho nulla da dire sul lato tecnico, è ok, nulla di più, nulla di meno, non ci sono inquadrature strane o problemi tecnici.
Commento finale: The Host è l’ennesima dimostrazione che si può fare un film di due ore senza necessariamente avere materiale tale per coprire la durata dello stesso. Noiosetto, assurdo (specialmente nelle scene “romantiche” dove la bizzarria la fa da padrone) , con recitazioni mediocri, personaggi e setting da fan fiction e momenti involontariamente comici. Il setting utopico/distopico ed alcune idee non sono oscene ma rimangono tali e non vengono mai sviluppate, al contrario di tematiche banali, stramelense ed in alcuni casi totalmente assurde. Ma siamo onesti, un film mediocre, ridicolo e risibile (e stramelenso) è quello che molti si aspettavano, ed è quello che The Host è, un polpettone sci-fi-teen romance di dubbia qualità scritto alla bell’emmeglio, ad uso e consumo prevalentemente di un pubblico di ragazze/ine adolescenti.
Voglio chiudere la recensione guardando i lati positivi: è “solo” un film mediocre ” tendente al brutto” (non che ciò giustifichi film di questo tipo, ma c’è davvero tanto di peggio), che tutto sommato nel complesso si lascia guardare , e se non altro si presta tantissimo ad essere preso per il culo (sono curioso di vedere come Rifftrax lo sbeffeggierà :D). Questo è The Host, come sempre la scelta di vederlo o meno è solo vostra, ma il mio consiglio è “no”. Visto che mi sembra il caso, vi lascio con un voto numerico.
4.9/10 Polpettone sci-fi e teen romance dimenticabile, noiosetto ed un pò troppo assurdo, ma a conti fatti mediocre, e basta.
Donkey Kong Jr.
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Ogni tanto, il fine settimana, mi gioco qualche vecchia perla per passare il venerdì sera o la domenica lontano da quelli che sono i miei titoli attuali (in questo periodo, Far Cry 2, Oracle of Seasons e Final Fantasy II). Qualche settimana fa toccò alla versione NES di Donkey Kong, la settimana successiva mi giocai Donkey Kong Jr. nella sua versione NES. Si, potete far partire le scommesse su cosa parlerò tra una settimana! 😉
Facendo un pò di ricerche, ho scoperto che purtroppo anche Donkey Kong Jr., per il Nintendo 8-bit, non è quella con più livelli disponibiole. Pur non avendo subito dei tagli rispetto la versione Arcade, per qualche strana ragione la versione per ColecoVision presenta un livello extra, rendendola l’unica con cinque livelli. Secondo videogioco di cui Miyamoto fu Game Director, oltre a essere Game Designer, Donkey Kong Jr. riprende il “filo narrativo” dove finisce Donkey Kong. Dopo aver liberato la sua Pauline dalle mani di DK, Mario ha messo in prigione il grosso gorilla e ora tocca al suo Junior liberarlo.

Il primo livello del gioco ci introduce ai salti e alle liane!
Il gioco si svolge fondamentalmente in maniera simile a Donkey Kong, con la differenza che non avremo Mario da “pilotare”, bensì il giovane gorilla DK Junior. Questo vuol dire niente più scale, bensì liane da scalare, un movimento leggermente più veloce sulle salite ma soprattutto le discese e livelli meno “artificiali”. Lo scopo del gioco, però, rimane invariato: raggiungere la parte alta dello schermo e nell’ultimo livello, posizionare le chiavi per liberare DK.
Il primo livello presenta semplicemente un paio di liane e piattaforme su cui arrampicarci, mentre dovremo schivare dei coccodrilli simili ai futuri Clap-A-Trap della serie Donkey Kong Country. Sparso per il livello ci sta della frutta che, se raccolta, aumenta il punteggio totale del giocatore per la sua giocata. Per il resto il quadro finisce nel momento in cui il giocatore raggiunge la piattaforma superiore, su cui Mario tiene la cella di Donkey Kong.

Nel secondo livello, il mio preferito, le liane diventano mobili!
Il secondo livello si fa già più difficile, con DK Jr. costretto a fare uso di molle per saltare in alto, con liane mobili e decisamente più corti di quelle presenti nel primo livello. A rallentare la scalata ci pensano inoltre anche degli uccelli, che provano con modi meno ortodossi di impedirvi l’arrivo in cima. Questi uccellacci tentano di beccarvi anche con uno schianto frontale, quindi bisogna evitarli di continuo sulle liane scendendo e risalendole.
Nel terzo livello ci troviamo in uno strano ambiente semi-urbano, in cui al piccolo Junior viene richiesto di evitare scintille e scosse elettriche che corrono lungo tre tubi messi in orizzontale a diverse altezze nel livello. Ad aiutarci nella scalata, solo delle liane messe ai due lati dello schermo, semi ostruite da altri tubi. Livello in cui la difficoltà inizia a farsi sentire anche per la traiettoria non sempre prevedibile delle scintille elettriche, che, a differenza delle scosse rosse, hanno un percorso non prestabilito.

Nella terza schermata Junior dovrà affrontare i pericolio della modernità: elettricità in diverse varianti!
Nell’ultimo livello siamo alla confrontazione finale. Mario dall’alto prova a lanciarci addosso coccodrilli e uccellacci, mentre lo scopo del piccolo Junior è quello di inserire sei chiavi in altrettanti sloti posti ciascuna alla fine (ovvero in basso) e all’inizio (ovvero in alto) di sei delle diaci liane che portano in alto. Le chiavi vengono spinte su semplicemente arrampicandosi sulla liana da sotto la chiave, issandola sù per così dire. Il livello non è difficile come design, ma i nemici e lo scopo extra di portare su sei chiavi lo rende comunque non facile.
A compito concluso, la trave su cui sta la gabbia di DK svanisce insieme alla Gabbia stessa, e Mario e DK cadono, l’uno verso l’apparente morte (con tanto di Aureola sulla testa alla fine, o fiore, non si capisce bene) mentre il gorilla viene salvato dal suo pargolo.
Anche su questo gioco non me la sento di fare pesanti critiche. Il gameplay è ripreso fondamentalmente da Donkey Kong, ed i cambi applicati lo rendono più rapido e maneggevole da giocare. Le musichette sono fatte bene, non altrettanto memorabili ma in maggiore quantità e varietà. La grafica è pressochè invariata, ma più colorata presentando ambientazioni più naturali e meno legate al concetto del grattacielo che viene scalato.

L'ultimo livello non è troppo difficile, solo che la ripetitività del compito tenderà a farvi sbagliare o sottovalutare i nemici che incontrerete!
La longevità è pressocchè uguale a quella di DK, c’è un quadro in più, per fortuna, ma a parte quello siamo comunque di fronte ad un gioco che oggigiorno si finisce in una o massimo due sessioni da 15 minuti. Tecnicamente ci sarebbero diversi record mondiali da battere, con High Score e così via, ma queste sono solo le eredità di un titolo pensato per gli Arcade.
Comunque sia, se ve lo trovate tra le mani, giocateci, è pur sempre un pezzo di storia e sinceramente l’ho trovato leggermente più godibile di Donkey Kong.
Voto Personale: 7/10
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E con questa parentesi scimmesca abbiamo terminato anche per oggi! Vi auguro ancora un resto di domenica sereno e tranquillo, e ci risentiamo qui tra sette giorni! 😉
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