The Weakly Hobbyt #121

The Weakly Hobbyt #121

In un ottobre italiano in cui scivoliamo (come paese) ancor di più verso il basso, rendendo quasi appetibile  come opzione richiedere residenza in Tanzania, nel mese degli scienziati pazzi, delle mummie (non necessariamente quelle parlamentari), dei vampiri e delle zucche di terracotta (con ben due numeri del Grind Cafè, per celebrare il mese più horror di tutti), siamo pronti ad affrontare orari striminziti, notti insonni, e scrivere con il sangu- insomma, ci siamo anche questa domenica, con il solito fritto misto di film, videogames, ed altra roba. 😀

A Rush And A Push And The Cup Is Ours

(A cura di Wise Yuri)

Rush 2013

Mettiamo in chiaro fin da subito alcune cose: non mi è mai interessata la Formula Uno, nè sono andato mai pazzo per i film sportivi o di corse, per cui non so quanto è romanzata questa biografia su due piloti di Formula Uno in continua e tenace competizione, Niki Lauda e James Hunt. E in certo senso questa storia l’avete già sentita, è la classica rivalità-amicizia tra due personalità completamente opposte ma che condividono un enorme passione in quello che fanno, e sono disposti a sacrifici enormi per vincere, per superarsi l’un l’altro. Ed alcune cose che succedono…. sapete già che succedono, anche per colpa del trailer.

Ecco, ora che abbiamo trattato i difetti, possiamo passare alle cose buone del film, e ce ne sono così tante da far passare facilmente in secondo piano quanto detto fin’ora. Sul serio, ci sono alcune cose che non sono perfette o non nuovissime, ed il tipo di storia, a livello strutturale non è particolarmente originale, ma tutto il resto è a dir poco ottimo. Tipicamente i trailer hanno l’abitudine di raccontarvi un pò troppo nel dettaglio cosa succede nel film (specialmente punti importanti della trama), cercare di vendervi come epici film fetecchia, non raccontarvi nulla (ma proprio nulla), ed in generale il film che rappresentano non è mai all’altezza delle aspettative, o di quello che vogliono farvi credere. Ecco, questo è uno dei rari casi in cui il film è all’altezza di quello che il trailer mostra, adoro queste eccezioni! 😀

La storia appunto mostra la vita di James Hunt e Niki Lauda, la cui rivalità si infiamma fin dal loro primo incontro sulle piste di Formula Tre, e si spande da tardi anni ’60 a fine anni ’70.

Quello che splende del film non è tanto la storia in sè (di nuovo, è la storia degli acerrimi rivali che sviluppano un rapporto fortissimo di reciproci rivalità e rispetto, non è proprio nuova), ma per l’esecuzione spettacolare della premessa e la stupenda caratterizzazione dei personaggi. E visto che parliamo di un film drammatico a fondo sportivo, mi soffermerei un attimo su questi ultimi. Come già scritto all’inizio, non sono un fan della  Formula Uno, e non ho la minima idea di quanto le interpretazioni di Chris Hemsworth (nei panni di James Hunt) e Daniel Bruhl (nei panni di Niki Lauda) sia fedeli verso i piloti veri e propri, ma importa relativamente (da un punto di vista generale), perché sono recitazioni stupende, ed i personaggi che abbiamo sono dei bei personaggi, sono complessi, diversi e con visioni della vita diametralmente  opposte, uniti ed al contempo resi rivali da una forte passione per le corse, che entrambi vedono sotto ottiche diverse, ma per le quali sono disposti a dare tutto.

Rush 2013 showdown

La cosa più importante, l’ingranaggio più solido che permette alla caratterizzazione di essere così efficace, è che sono personaggi realistici, non c’è un ovvio personaggio che venite portati a sostenere, a voler veder vincere, per cui venite “forzati” a simpatizzare, non c’è un “cattivo”, non c’è un ovattato tocco tipico di Hollywood, ci sono solo due persone, e il dramma che si viene a creare risuona meglio con il pubblico perchè persone del genere potrebbero esistere davvero: Hunt è un animale da festa, un “bello”, un donnaiolo, amato da tutti, un talento nato per le corse, instintivo,ma anche un disadattato ubriacone incapace di guardare oltre l’immediato presente o di avere relazioni normali; Lauda invece è un esperto di meccanica, calcolatore, che non è nato con un volante in mano ma ci mette l’anima, serio e capace di inspirare fiducia, ma non piace a nessuno per il suo modo di fare, è sempre serio, ed ha la faccia un pò a topo. A sorpresa ci sono anche dei divertentissimi momenti comici (specialmente quelli in Italia), efficaci quanto lo sono quelli drammatici, un aggiunta all’apparenza piccola ma che vuol dire tanto.

Ottima anche la regia, che sa quanto spazio dare allo sviluppo dei personaggi, e quanto al resto, il film non indulge nel mostrare le corse, lo fa solo quando necessario (con ottime riprese ed angoli d’inquadratura che catturano il realismo e la tensione della F1), in modo da non alienare un pubblico generale (che non è ovvio sia molto interessato in questo tipo di corse), ed anche perchè le gare (che sono comunque interessanti in questo film) sono un semplice mezzo per sviluppare ulteriormente le vicende ed il rapporto di rivalità tra Hunt e Lauda. Un pò come in Rocky il focus non è sulla boxe vera e propria, ma sul vedere il protagonista affrontare una sfida molto più grande di lui, ed il suo enorme sforzo per compiere l’impossibile.

Commento Finale

Rush è uno di quei film che non vi dovete perdere, un grande dramma sotto forma di biografia ambientato nel mondo della Formula 1, la classica storia di rivalità ed amicizia tra due personalità forti ma opposte e diametralmente diverse, ma eseguita in maniera impeccabile e senza filtri Hollywoodiani, in maniera realistica e credibile, con recitazioni stupende di Chris Hemsworth e Daniel Bruhl  nei panni dei piloti James Hunt e Niki Lauda, bei personaggi complessi e realistici, ottimo dramma ed anche dei momenti comici ben riusciti.

Anche se non amate o conoscete minimamente il mondo della Formula 1, Rush è un film da vedere, punto.

Zero Escape: Virtue’s Last Reward

(A cura di Alteridan)

Devo ammetterlo, ho approcciato questo gioco con un misto di scetticismo e curiosità: un po’ perché i giochi giapponesi non mi sono mai andati molto a genio e un po’ perché comunque in numerosi anni di carriera videoludica non avevo mai giocato una visual novel. Tuttavia mi sono ritrovato tra le mani questo titolo grazie all’abbonamento al servizio PlayStation Plus e quindi in un periodo di completo scazzo derivato dall’aver giocato sempre giochi di generi più o meno simili ho deciso di esplorare questo genere a me sconosciuto ed immergermi nel mondo di Virtue’s Last Reward.

Curiosity killed the cat

Virtue’s Last Reward, disponibile per PS Vita e Nintendo 3DS, è il secondo titolo della serie Zero Escape: è infatti il seguito diretto di 999: Nine Hours, Nine Persons, Nine Doors uscito per Nintendo DS nel 2009. Le vicende dei due titoli sono strettamente collegate ma nel corso del gioco i fatti accaduti in 999 saranno spesso raccontati e sarà quindi possibile avere un’idea generale di quanto successo in precedenza anche avendo approcciato la serie solo con questo secondo episodio.

In Virtue’s Last Reward vestiremo i panni di Sigma, un ragazzo che, dopo essere stato rapito nel parcheggio del college, si risveglia in un ascensore accanto ad una ragazza di nome Phi. In questo ascensore Sigma scopre di essere stato rapito allo scopo di partecipare al Nonary Game, una particolare competizione in cui nove persone dovranno sfidarsi (o collaborare) per riuscire a scappare da una struttura chiusa e completamente isolata dal mondo esterno. A tirare le fila di questo gioco vi è un intelligenza artificiale di nome Zero III la quale informerà poi i nove concorrenti che tra di loro si nasconde colui che lo ha creato ed ha dato il via al Nonary Game, ossia Zero Senior.

Il paradosso del gatto di Schrödinger sarà citato spesso nel corso del gioco.

Ne deriverà una trama dalla forte impronta investigativa con un sottofondo scientifico/paranormale: ben presto infatti si scoprirà che Sigma è in grado di viaggiare attraverso lo spazio-tempo per raggiungere diverse realtà parallele. Al giocatore quindi toccherà risolvere il mistero del Nonary Game e scoprire l’identità di Zero Sr. grazie alle informazioni che man mano verranno raccolte nelle varie linee temporali e nelle stanze degli enigmi. E qui mi fermo dato che stiamo parlando di una visual novel e la trama è l’elemento fondamentale del gioco.

9: il numero perfetto

Lo scopo ultimo del Nonary Game è raggiungere un punteggio uguale o superiore a 9, chiunque dovesse raggiungere tale punteggio potrà aprire il Nonary Gate e quindi scappare dal folle gioco di Zero. Ma come si guadagnano i punti? Qui entra in gioco la parte interattiva della visual novel, ossia la risoluzione di enigmi.

Sul finale di ogni fase interattiva avremo quasi sempre a che fare con il dilemma del prigioniero, altro tema portante dell’avventura.

Tra un dialogo e un altro, i vari personaggi dovranno esplorare la struttura all’interno del quale si svolge il Nonary Game. Ogni qualvolta si raggiunge una stanza inesplorata, la porta di ingresso di quest’ultima si chiude e l’unico modo per aprire la porta di uscita sarà ottenere la chiave della stanza, a sua volta chiusa all’interno di una cassaforte. Per ottenere il codice della cassaforte dovremo risolvere i vari enigmi presenti all’interno della stanza.

Gli enigmi saranno quasi sempre di tipo logico-matematico, tutti uno diverso dall’altro (tranne in una occasione giustificata a livello di trama). La difficoltà si attesta su un livello medio: non siamo di fronte a enigmi che ci terranno impegnati per ore ma non sono nemmeno a prova di idiota, necessitano di una buona dose di ragionamento anche se una mente ben allenata può benissimo superare le stanze con relativa semplicità.

Satisfaction brought it back

Il comparto tecnico di Virtue’s Last Reward svolge il proprio lavoro ma si ferma lì, probabilmente a causa della natura multipiattaforma del titolo. Va detto comunque che tutte le ambientazioni, completamente in 3D, sono realizzate in maniera più che discreta con una resa grafica complessiva molto pulita e godibile, nei limiti tecnici dettati dalla versione destinata alla console meno performante. Limiti che però si notano soprattutto nella realizzazione dei modelli poligonali dei personaggi: semplici e piuttosto spogli.

Sebbene il gioco abbia un’atmosfera piuttosto cupa non mancheranno momenti divertenti.

Nel complesso questo secondo capitolo della serie Zero Escape offre un’esperienza di gioco piuttosto longeva, si va dalle 25 alle 30 ore a seconda della vostra velocità nella risoluzione degli enigmi, incentrata su una trama piuttosto solida seppur in un certo senso minata da una caratterizzazione dei personaggi basata sui classici stereotipi giapponesi (abbiamo la ragazzina apparentemente ingenua, la donna in carriera molto provocante, il ragazzo spaccone e menefreghista, e non poteva mancare ovviamente il personaggio mascherato dal passato misterioso). Un ultimo appunto: il gioco non è localizzato in italiano e questo potrebbe scoraggiare più di qualcuno anche perché, visto il tema pseudoscientifico dell’avventura e la quantità enorme di testo, la comprensione dell’inglese utilizzato potrebbe risultare scomoda, il doppiaggio invece è solo in lingua originale (giapponese quindi).

I nove concorrenti del Nonary Game: al centro il protagonista, Sigma.

In definitiva se siete appassionati di puzzle game e non vi dispiace assistere a scene di dialoghi della durata di oltre un’ora allora Virtue’s Last Reward potrebbe essere il gioco che fa per voi; se invece come me siete diffidenti verso questo tipo di giochi potreste comunque dare una chance a questo titolo, alla fine l’ho trovato comunque molto godibile.

Voto personale: 8/10

Asterix alle Olimpiadi
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)

Asterix alle Olimpiadi

Torniamo a parlare di Asterix dopo la pausa estiva (e qualche altro numero di secca) e delle sue avventure create dal duo franco-belga Uderzo & Goscinny! Ci eravamo lasciati, nel Weakly Hobbyt 116, con la bellissima storia riguardante lo scudo di Vercingetorige, e ora che ho a disposizione tutti i numeri di Asterix da allora fino ai giorni nostri, è il caso di continuare! =)

Asterix alle Olimpiadi, come è facile intuire, è stato scritto in un anno che avrebbe ben presto visto delle Olimpiadi, precisamente quelle del 1968 svoltesi in Messico. Nel 45 avanti Cristo, invece, sono Asterix ed Obelix a trovarsi inaspettati partecipanti di gare olimpioniche. Il prestesto è semplice: quando Asterix ed Obelix notano che i romani sono stranemente intenti ad allenarsi in discipline come la corsa e la lotta greco-romana, ed in particolare lo sono il legionaro Claudius Cornodurus e il suo superiore e allenatore Tullius Caparbius, Abraracourcix decide che anche loro debbano partecipare alle gare olimpiche.

Asterix alle Olimpiadi

Cornodurus cerca brighe con Obelix.

In men che non si dica Asterix ed Obelix vengono scelti per rappresentare il paese e tutto il villaggio parte per Atene per fare il tifo ai loro campioni.
L’arrivo dei galli ovviamente rovina non poco l’umore romano, visto che sanno bene che l’uso della pozione magica non permetterà ad alcuno di loro di vincere anche solo uno degli ambiti ramoscelli d’ulivo messi in palio come premio dall’organizzazione greca. Asterix e Obelix, d’altro canto, se la prendono comoda con gli allenamenti e si danno al turismo culturale e culinario.
Questo finchè i romani non scoprono che l’uso di sostanze che aumentino le prestazioni corporee e fisiche di atleti è strettamente vietata. Quando avvisano il comitato olimpionico della pozione magica gallica, Obelix viene scalificato ed Asterix è costretto a gareggiare senza alcun ausilio se non i suoi meriti sportivi veri e propri.
Inutile dire che le gare vanno male. I greci ed in particolare gli spartani vincono ogni competizione, e pare proprio che romani e galli debbano rinunciare a premi di alcun tipo.
E’ allore che il comitato olimpionico, per evitare tensioni con Roma, decide di organizzare una gara extra per soli romani. Non potendo davvero competere con loro, Asterix e Panoramix (con l’aiuto involontario di Obelix) incoraggiano con l’inganno i Romani a fare uso della pozione magica messa a disposizione in una baracca con la porta rotta.

Asterix alle Olimpiadi

L’intero villaggio salpa verso la Grecia. Solo le donne rimangono a casa.

A loro insaputa nella pozione magica c’è un colorante azzurro. Quando il giorno dopo i romani battono Asterix con facilità, Panoramix fa notare ai greci l’uso della sostanza magica e il comitato assegna la vittoria ad Asterix, in quanto tutti gli atleti romani sono squalificati.
Il villaggio torna quindi vittorioso in gallia, non sapendo che Asterix dopo la vittoria ha donato il ramo d’ulivo a Claudius Cornodurus per darla vinta, almeno una volta, a Cesare.

Albo non male ma un pochino noioso e impallidisce al confronto con lo scudo degli Arvenrni. L’idea di fondo non è niente male, ma penso che lo sviluppo un pò scontato, con i soliti Asterix e Obelix unici campioni del villaggio. Perchè non far mettere in luce anche altri personaggi? Magari il fabbro col lancio del martello o il pescivendolo nella lotta greco romana? Altri gallici iniziano a venire conosciuti e riconosciuti dal pubblico e spendere qualche vignetta per le loro gare (ed eventuali sconfitte, ovviamente, contro dei greci molto più allenati di loro) sarebbe stato davvero interessante. Così, invece, far gareggiare solo Asterix mette in ombra tutto il resto del villaggio.

Asterix alle Olimpiadi

Le lingue azzurre sono la dimostrazione dell’uso di sostenze che aumentano le doti sportive degli atleti romani, che quindi vengono squalificati.

L’esclusione di Obelix è okay, anche se potevano in qualche modo “barare”, ma considerando il personaggio di Panoramix, sarebbe stato decisamente contro la sua etica. Comunque, di per sè l’albo è niente male, con un bel pò di sfottò contro la cultura greca ed i loro (moderni) modi di fare anacronisticamente riproposti nel 50 ac. Inoltre mi piace molto anche il finale, con un Asterix benigno che per una volta lascia avere a Cesare almeno l’illusione di una vittoria. Come sempre, belli anche i disegni, che dal primo numero a qui hanno già fatto dei passi da giganti in aventi sia come qualità degli schizzi, sia come colorazione.
Inutile negarlo, l’albo aveva molte più potenzialità. Ciononostante, risulta non essere male.

Voto Personale: 8/10

Ammazzavampiri geriatrici

(A cura di Wise Yuri)

castlevania the adventure gb cover

Prima che i Castlevania in stile Symphony Of The Night diventassero una costante per le portatili Nintendo, c’era Castlevania: The Adventure, il primo titolo di questa serie leggendaria a uscire su console portatili, nello specifico per l’originale Game Boy ( detto “il mattone”). Da fan della serie, c’è sempre stata  la curiosità di provarlo, ed ho avuto l’occasione con la release per la Virtual Console del 3DS del titolo, e questa recensisco (ma siccome è una semplice emulazione del titolo originale con la possibilità di fare quick-save, è come se recensissi il gioco su cartuccia).

Versione Recensita: Virtual Console 3DS

Prezzo: 2,99 € (Nintendo 3DS eShop)

Sviluppatore: Konami

Giocatori: 1

Come Castlevania III: Dracula’s Curse, anche questo è  un prequel dell’originale per NES, e vede un antenato di Simon, stavolta tale Christopher Belmont, intento a fare quello che i Belmont evidentemente sanno fare bene, cioè esplorare castelli, sconfiggere creature della notte ed ammazzare Dracula. Solita storia, ma d’altra parte in sintesi la storia di gran parte dei Castlevania è questa (specialmente quelli pre-Symphony Of The Night), e la saga  non ha mai basato il suo successo sulla storia o su un complesso intreccio, ma sul gameplay.

A questo proposito, l’unico modo giusto di giudicare The Adventure è paragonarlo solo all’originale per NES, mettendo la cosa in retrospettiva, perchè ben pochi titoli per GB rimangono ancora oggi degni di nota (come il superbo Donkey Kong ’94), e confrontarlo con uno qualsiasi dei titoli successivi della serie sarebbe  ingiusto.

Premesso ciò, avevo sentito parlare di questo Castlevania come un dimenticabile e brutto esponente della serie, e… sì, è così. Ma andiamo per ordine, e parliamo del gioco, partendo dal gameplay.

The Adventure sulle prime si rivela essere molto fedele ai titoli per NES, con un sistema di controlli ed un gameplay pressapoco identici, ma con alcune differenze, purtroppo negative. La prima è la mancanza di un’arma secondaria, che onestamente non sembrava impossibile da aggiungere, solitamente le conversioni o trasposizioni su portatili (specialmente durante l’era GB/GG)  dovevano far fronte al fatto che ci fossero meno pulsanti rispetto ai controller delle home console, ma non è questo il caso, in quanto bastava assegnarla alla classica combinazione SU + B, non ci voleva un genio di control design. Ma d’altro canto rimangono alcuni power up  (la frustra potenziata del tutto ad ogni colpo lancia una palla di fuoco, tra l’altro, ed i cuori qui ripristinano semplicemente l’energia, visto che non ci sono armi secondarie) come la croce che rende invulnerabili per un pò di tempo, quindi volendo ci si potrebbe passare sopra.

Castlevania The Adventure

La seconda e la terza, quelle che purtroppo rovina l’esperienza di gioco, e riguarda l’andatura ed il salto di Christopher. Il vecchio Belmont purtroppo si muove ad una velocità minore rispetto a praticamente tutti i suoi successori od antenati, il che non si nota subito, ma diventa un pesante handicap che rende più difficile l’intera esperienza, specialmente in sezioni che richiedono corriate od agiate con molta rapidità. A questo poi si aggiunge il grosso difetto dei salti: Christopher salta in maniera molto rigida, anche per gli standard della serie originale su NES. con un salto che non copre mai abbastanza distanza  e che vi costringe a saltare dal limite estremo della piattaforma su cui siete (ovvero a ritrovarti con mezzo piede del personaggio piantato sull’aria), ed diavolo se è un problema visto che il titolo ha una componente platform molto più prominente rispetto agli altri Castlevania per NES, con funi da scalare, piattaforme che scendono subito verso il basso appena ci mettete piede sopra, e trafile di micropiattaforme che richiedono salti molto precisi (niente scale stavolta, ma è una magra consolazione). Il che, come potete immaginare, porta a molte morti evitabili e  cheap, visto che il vostro salto sarà sempre troppo corto e troppo lento, ed anche se avete buoni riflessi ( i quali vi servono), vi toccherà ripetere più volte alcuni sezioni, specialmente nei livelli finali.

Un esempio perfetto é il livello 3, che consiste al 90 % nel saltare di fune in fune, superare piattaforme cadenti e sconfiggere nemici, facendo il tutto di fretta, perchè dei muri di punte salgono dal basso od arrivano da destra, ed è in quei momenti che vi accorgete bene il problema della velocità e del modo di saltare (specialmente di fune in fune) di “Nonno Belmont”, ed essendo questo livello in gran parte una corsa contro il tempo ed i lati dello schermo che vogliono uccidervi, preparatevi a fare molto spesso un quick save. Ovviamente è una questione di atroce level design, dal quale deriva un’enorme difficoltà artificiale, tante morti e tempo perso per far durare di più il gioco e nascondere il fatto che ci sono solo 4 livelli. Ecco, va detto che i livelli in sè non sono cortissimi, e non sono copie di quelli visti nei giochi principali per NES, sono livelli originali, e non mi aspettavo una caterva di livelli da un titolo GB, ma almeno uno in più poteva starci. perlomeno ci sono continua infiniti, anche se dovete riniziare da capo un livello quando finite le poche vite di stock (2, aumentabili ottenendo 10000 punti o trovando dei 1UP nei candelieri). Il sistema di checkpoint non è orribile, anche se sono molto sparuti, ci sono checkpoint. Peccato che servano a poco, visto che morirete comunque centinaia di volti per i sopracitati difetti.

Sì, in questo caso potete  usufruire del quick-save della VC e potete ridurre molto la frustrazione “quick-savando” via via che procedete, ma non dovreste ricorrere a questo metodo.

Quindi il titolo è una merda, una fetecchia senza qualità lodabili? Non totalmente.

Niente scale, ma un nemico ancora peggio minaccia i Belmont: funi!

Niente scale, ma un nemico ancora peggio minaccia i Belmont: funi!

Tecnicamente non è affatto male per un titolo GB:  la grafica è buona, si distinguono benissimo gli elementi di sfondo e le piattaforme, e non è scarna per il 1989, idem per la musica, con il tema classico della serie riadattato bene ed orecchiabile anche con l’audio di GB. E come dicevo prima, non è un porting/riadattamento monco di un titolo uscito per NES/Genesis, non che conti molto vista la qualità del gioco, ma è qualcosa.

La longevità: abusando dei quick save per evitare di rifarmi interi stage a causa dell’ennesimo salto che il personaggio manca,  ho impiegato 4 ore e 14 min. per finire il gioco, ed anche completarlo, visto che non ci sono altre difficoltà, o extra di sorta (a meno che non siano nascosti). Quella dei quick save è una soluzione barbona, barare, ma dopo esser morti centinaia di volte per scelte di design orribili, come un salto rigido e corto che fa a cazzotti con un gameplay veloce e salti che non perdonano la minima imprecisione (spesso da eseguire in sequenza e che richiedono riflessi più che buoni), non vedo perchè non “barare”, visto che il gioco stesso “bara”. Questo od una difficoltà artificiale che rende il titolo molto più lungo di quanto dovrebbe essere in realtà, scegliete voi.

Commento Finale

Nel complesso abbiamo un Castlevania retrò che mostra fin troppo i segni del tempo, ed é afflitto da grossi problemi che erano tali anche nel 1989, con un protagonista lento e dal salto fin troppo rigido, specialmente per uno spin-off con molta più enfasi sul platforming dal ritmo veloce, e con un level design atroce ma punitivo quanto basta per non rendere il tutto realmente ingiocabile e per farvi ripetere più volte i pochi livelli, allungando artificialmente la longevità con moltissime morti gratuite e scorrette.

Consigliato soltanto ai fan hardcore della serie che vogliono comunque  togliersi la curiosità, o gli vogliono giocare tutti, anche se si tratta di un Castlevania oldschool ma non nell’accezione positiva del termine, piuttosto vecchio, brutto e dimenticabile, che oltre un eventuale fattore nostalgia ha davvero poco da offrire anche ai fan. I quick aiutano a rendere meno peggio l’esperienza, ma lasciate perdere.

3,5 / 10. Un muffoso cosciotto di pollo nascosto in un muro da troppi anni.

P.S. Esiste anche un remake sotto forma di titolo WiiWare, Castlevania: The Adventure Rebirth (che però non è mai arrivato sul Wii Shop europeo, nonostante quanto scritto su Wikipedia, un peccato perchè avrei voluto davvero giocarlo), ed anche un seguito sempre su Game Boy, Castlevania II: Simon’s Revenge, che a quanto pare è proprio l’opposto, una perla, se casomai riesco a metterci le mani sopra, ci scappa una recensione! 😀

Se tutto va bene, ci rileggiamo domenica prossima, e molto prima con le varie rubriche, a presto!

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