Cosa dirvi per darvi il benvenuto durante questa giornata nuvolosa di metà Gennaio? Piano piano qui i ritmi pre-Natalizi vengono recuperati, ma a fatica, e impegni e avvenimenti vari sembrano all’improvviso più giganti di quanto precedentemente pensati. Con maree di sentimenti in petto, direi di lasciarvi con quanta più semplicità possibile ai nostri articoli. Buona lettura!
DuckTales Remastered
(A cura di Alteridan)
DuckTales non solo è stato uno dei miei primi giochi per NES ma è stato anche uno dei primi giochi in assoluto. Assieme a Super Mario Bros. 3 posso dire che DuckTales sia uno di quei giochi che ha fatto scoccare in me la passione per i videogiochi, potete quindi immaginare la curiosità non appena Capcom ne annunciò il remake di cui vi andrò a parlare.
24 anni e non sentirli
Il lavoro di rimasterizzazione di questo grande capolavoro dell’era 8-bit è stato dato a WayForward Technologies, una software house storica ma poco conosciuta al grande pubblico. Si parla di rimasterizzazione e non di remake vero e proprio perché alla fine della fiera il gioco è rimasto sostanzialmente immutato.

Ogni elemento è esattamente lì dove dovrebbe essere.
Wayforward ha infatti migliorato il gioco affinché fosse fruibile sia dai giocatori nuovi che dagli appassionati del titolo per NES (come me, mi sento molto vecchio in questo momento *sigh*). Ma come si può migliorare un gioco che ha fatto a suo modo la storia? L’originale DuckTales non era certo perfetto, e questo va detto subito, quindi di spazio di manovra ce n’era abbastanza ma qualsiasi operazione troppo invasiva sarebbe stata vista quasi come una profanazione quindi Wayforward ha dovuto muoversi con i piedi di piombo.
“Ma che bei paperi!”
La prima cosa che si nota quando si avvia il gioco è ovviamente la rinnovata veste grafica: gli sviluppatori hanno avuto la brillante idea di arruolare alcuni disegnatori ufficiali Disney affinché disegnassero i fondali dei livelli e si occupassero di tutti i personaggi del gioco. Il risulato finale è sbalorditivo: sembra di essere all’interno di un episodio del cartone animato, i livelli sono vivi e per un attimo si riesce a ritornare bambini.

Le animazione sono fantastiche e contribuiscono a rendere l’esperienza unica.
Una volta entrati nello spirito del gioco ci si accorge che il comparto grafico non è solo l’unico aspetto che è stato migliorato: anche l’impianto narrativo è stato modernizzato. La trama del gioco è rimasta pressoché invariata: Zio Paperone trova una mappa che indica sei preziosissimi tesori e dovrà viaggiare per tutto il mondo (e oltre) per recuperarli, il tutto ovviamente con l’aiuto dei nipoti e con l’immancabile Banda Bassotti a mettere i bastoni tra le ruote. Ora però la narrazione si avvale di intermezzi animati doppiati dagli attori americani della serie tv. A tal proposito: il gioco è completamente in italiano per quanto riguarda interfaccia e traduzione ma il doppiaggio resta in lingua inglese.
L’allunaggio paperoso
E per quanto riguarda i livelli? Niente paura: i livelli sono rimasti praticamente immutati, salvo alcune piccolissime modifiche funzionali alla nuova narrazione. Nel livello dell’Amazonia, ad esempio, invece di andare dritti verso il boss finale bisognerà raccogliere degli oggetti necessari per proseguire l’avventura., ma il resto del livello è rimasto immutato (sono presenti tutti i segreti del gioco per NES, ad esempio). Più che modifiche si parla quindi di aggiunte. Parlando di aggiunte, Wayforward ha creato due nuovi livelli: uno che funge da livello introduttivo/tutorial e un secondo che va a sostituire il ritorno in Transilvania sul finale del gioco originale; entrambi i livelli sono stati creati tenendo ben presente i criteri del level design originale, a tal proposito il lavoro svolto per la realizzazione del livello finale è encomiabile.
Le boss fight invece sono state completamente rivisitate: sebbene i boss siano rimasti identici i loro pattern di attacco sono stati modificati, alcuni sfruttano anche l’ambiente circostante.

Per battere questo boss bisognerà prestare molta attenzione all’ambiente.
E la colonna sonora? Wayforward ha optato per una strada ibrida: ha deciso di rimasterizzare la colonna sonora originale mantenendo molti pezzi in 8-bit e di conseguenza fondendoli con rivisitazioni moderne degli stessi. Tuttavia chi ha giocato il DuckTales originale sa che c’è un particolare tema che è diventato quasi un cult per gli appassionati: mi riferisco al Moon Theme che all’epoca fu in grado di fare breccia nei cuori dei giocatori. Come si è comportata Wayforward nei confronti di questo pezzo da alcuni definito addirittura sacro? Ebbene ha deciso di porre rimedio ad una grande mancanza del gioco originale sfruttando proprio il Moon Theme.
DuckTales per NES aveva il difetto di possedere un’ottima colonna sonora che però non era armoniosa ed unita nel complesso: mancava di fatto un tema che facesse da collante. Negli studi di Wayforward hanno quindi ben pensato di unire i pezzi della nuova colonna sonora remixata inserendo in ogni tema della colonna sonora un richiamo all’unico pezzo che a suo modo ha fatto la storia del gioco: il Moon Theme per l’appunto. Intuizione geniale o fanservice? Alla fine della fiera è irrilevante, ciò che importa è che nel complesso la colonna sonora funziona e funziona dannatamente bene.
Livello completato
DuckTales Remastered è la prova che si possono rimodernare giochi del passato senza snaturarli: è sostanzialmente lo stesso gioco uscito più di venti anni fa con un comparto tecnico e narrativo adeguato ai tempi moderni. Attenzione però, questo significa che anche la difficoltà è rimasta sostanzialmente immutata: DuckTales non era un gioco difficile ma visti gli standard dei giochi moderni potrebbe risultare frustrante per più di qualcuno, nonostante Wayforward abbia aggiunto alcune semplificazioni (totalmente opzionali) come un pogo più facile o la mappa dei livelli.

Nel deposito sarà sempre possibile fare una bella nuotatina…
Se siete troppo giovani per non aver mai giocato lo storico DuckTales per NES allora sarebbe il caso di rimediare recuperando questa versione rimasterizzata, mentre se come il sottoscritto siete dei giocatori un po’ più navigati (*sob*) e volete semplicemente ritornare bambini allora DuckTales Remastered è un acquisto obbligato.
Ed ora tutti sulla Luna!
Voto personale: 9/10
L’Infinita Ira
(A cura di Wise Yuri)
ATTENZIONE: ALTO TASSO DI SPOILER SU ASURA’S WRATH.
Se seguite il mondo dei videogames saprete sicuramente di Asura’s Wrath, l’esperimento di Cyberconnect 2 e Capcom che ha diviso l’opinione sia di pubblico sia di critica, visto che come gioco è una montagna di QTE, sezioni action e shooter molto basiche, ma l’obiettivo primario era chiaramente fare un anime interattivo, ed in ciò riesce perfettamente. Il titolo è decisamente una strana bestia che merita di essere discussa più nel dettaglio, ma per quello… ci sarà tempo più avanti. ;-D
Oggi parliamo dello spin-off manga in 2 volumi, Asura’ s Wrath Kai: Il Ritorno, disegnato da Kei Ichimonji e scritto da Kunihiro Okada, edito in italia da Jpop. E già l’idea di fare uno spin-off in forma manga di Asura’s Wrath è un pò discutibile, perchè l’idea di fondo del gioco in sè era appunto fare un anime interattivo, e relegare il tutto a statiche immagini, anche per le spettacolari visuali stile anime “sopra ogni possibile riga”, che un pò perdono nel passaggio da anime a manga. Ma d’altronde lo spin-off lo avrebbero fatto comunque, ed uno sottoforma di anime sarebbe stato di un ridondante incredibile, quindi immagino la scelta sia ricaduta sul formato manga.
Rinnovo l’avvertimento spoiler, il commento finale sarà senza spoiler, ma prima di proseguire nella lettura, consiglio di giocare il titolo (che ormai potete trovare anche a poco) su X-Box 360 o PS3, e poi leggere questi due volumi.
Una cosa che però posso dire è che Asura’s Wrath Kai più che uno spin-off, è l’equivalente di uno sviluppo alternativo della storia originale, in quanto sebbene mantenga diversi elementi identici e si inserisca da circa metà vicenda, aggiunge alcuni elementi non presenti nel canovaccio dell’opera originale, e propone uno sviluppo con diverse differenze. Una sorta di route alternativa nelle visual novel, per rinnovare il parallelo manga/anime e videogame.
RIPETO, PESANTI SPOILER SUL GIOCO E SUL MANGA STESSO.
Un problema grosso di Kai è pero il pubblico a cui si vuole rivolgere. E non mi riferisco all’età dei lettori (la Jpop lo enuncia come seinen, uno per un pubblico per adulto, quando in realtà è più uno shonen manga senza tanti elementi comici o che possono essere molto appetibili ad un pubblico giovane), ma se è pensato per chi ha giocato al videogame prima, o per chi legge manga ma non ha mai sentito parlare di Asura’s Wrath, per fan dell’originale opera o per “nuovi adepti”, non è chiaro. O meglio, lo è, perchè purtroppo diventa lampante che con Asura’s Wrath Kai hanno cercato di coprire entrambi i tipi di possibili acquirenti, volendo rendere possibile la fruizione da parte di chiunque, il che purtroppo (anche se non proprio a sorpresa) si rivela un mezzo disastro per il manga in sè.
Dico così perchè Kai inizia praticamente da metà del videogame (il Kanda 7, per essere precisi), ed inserisce nella storia il personaggio della cittadina divina Upala, un’abitante della Città Divina (praticamente abitata da moltissimi dei, intesi come una razza a sè stante, che vive assieme agli uomini sulla terra) mandata a prendersi cura di un villaggio di uomini, in cui però è sigillato Asura, che si dice fosse un dio malvagio eoni fa.
In linea generale la premessa è la stessa dell’originale, in cui vediamo un’enorme battaglia tra dei ed essere chiamati Gohma, impurità della stessa Terra che portano distruzione ovunque vanno, con in mezzo gli uomini, o meglio le loro anime, che fanno funzionare le macchine da guerra divine, in una lotta durata migliaia di anni tra dei e questa impurità del pianeta, che non viene mai realmente sconfitta, e si limita a sopire per un pò e poi ricomparire a piagare uomini e dei. Il capo dell’elite di guerrieri divini (detta Le Sette Divinità), Deus, escogita un piano per eliminare del tutto i Gohma dalla faccia del pianeta, ma le anime degli uomini non bastano mai, e per compiere il cosiddetto “Fine Ultimo” la figlia di Asura viene rapita, sua moglie uccisa, e lui stesso tradito, marchiato come traditore, e messo a morte dai suoi stessi compagni… Ma l’ira di Asura è infinita, la rabbia che lo consuma capace di non fermarlo neanche davanti alla morte.
Ecco, il punto è che parte praticamente da metà storia, e non dà semplicemente per scontato che già sappiate cos’è successo prima di allora, ma cerca alla buona di riassumervi e raccontarvi cos’è successo nelle “puntate precedenti” via didascalie che spiegano chi è chi, flashback e dialoghi, ma mi secca dirlo, è un cercar di metter pezze, e poco altro, che non riesce neanche troppo bene. Inoltre, sebbene la premessa generale ed i punti focali siano simili, molto situazioni sono affrontate in maniera diversa, o sono proprio diverse e nuove. Il primo volume segue in maniera più o meno fedele l’opera originale, mentre nel secondo cambiano diverse cose. Il che di per sè apprezzo, peccato che i cambiamenti e modifiche apportate allo sviluppo della storia siano per il peggio (per esempio, non fate parlare più volte Asura se non ha nulla di significativo da dire, la sua ira parla per lui in moltissime occasioni), di un dozzinale incredibile, vorrei sapere con che fretta sono stati scritti questi volumi. Il finale poi sembra voler perpetrare un messaggio ecologista, che è esilarante in quanto estremamente fuori posto, assolutamente gratuito.
Per quanto riguarda i disegni e la direzione artistica, sono il linea con quella eccellente del videogame, con questo particolare misto di induismo/buddismo e fantascienza, che rende benissimo anche su carta. Le tavole sono dettagliate, ma non riescono sempre a rendere efficacemente la proporzione e la dinamicità, e l’esagerata natura delle battaglie, ci provano, ma il più delle volte non rendono moltissimo se avete già giocato il videogame, e non sono nulla di speciale
Il problema vero e proprio è che Asura’s Wrath in formato manga non funziona, non riuscendo a replicare l’ampio respiro di questa enorme ed epica storia in stile anime (sopra ogni possibile riga, ma assai godibile anche per questo), in cui gli dei combattono una forza infinita ed usano gli uomini come una risorsa da sfruttare per perpetrare la loro guerra e la loro causa, nè ad essere godibile in sè (anche prendendo le distanze dall’opera originale), in quanto il tutto sembra tirato via, l’intero manga pare andare in fast forward su qualsiasi cosa, cercando di velocizzare sia le battaglie che lo sviluppo dei personaggi per cercare di far rientrare il tutto in due volumi, con risultato un disastro, un manga che probabilmente è stato tirato su in pochissimo tempo per fare da specchietto pubblicitario al gioco. Un peccato perché sarebbe stata un’ottima occasione di espandere l’universo di Asura’s Wrath (con un prequel, magari), ancor più visto che il seguito è stato cannato dalla Capcom causa profitti non eccelsi.
Commento Finale

Una semplice cover promozionale del gioco come questa è già un miglior impiego di tempo rispetto alla lettura di Asura’s Wrath Kai. Sul serio, questa singola immagine vale più i secondi che la osservate che i minuti ore/spesi a leggere il manga.
Asura’s Wrath Kai è poco più che una sorta di riassunto (spesso fatto sommariamente nel tentativo disperato di non lasciare spaesati i lettori che non hanno giocato Asura’s Wrath) della storia del videogame in forma manga, ma con uno sviluppo e situazioni un pò diverse, che non riesce a traslare nel formato manga il fascino dell’originale, e quando non cerca di “correre” attraverso punti importanti o memorabili del videogame, fa modifiche ed inserisce elementi che non aggiungono nulla al mythos e sembrano pensati in fretta e furia per di presentare qualcosa all’editore. Lo stile di disegno è ottimo, ma la dinamicità delle battaglie viste nel gioco raramente viene rappresentata in maniera decente, ed è difficile appassionarsi a qualsiasi cosa, visto che il tutto pare andare di fretta, e nulla ha il tempo di fermarsi e sviluppare qualsiasi cosa, sia la caratterizzazione dei personaggi sia le scene di combattimento, per rientrare a calci in due miseri volumi.
Nel complesso abbiamo un mezzo disastro di spin-off/finale alternativo diAsura’s Wrath sotto forma di manga, che ammonta a poco più di uno specchietto pubblicitario per il titolo Cyberconnect 2/Capcom. Non vale la spesa, consiglio a chi ha già finito il videogame di sbloccare il vero finale, rigiocarci e dare un’occhiata ai DLC (specialmente quelli su Street Fighter), ed a chi non l’ha provato di informarsi ed eventualmente recuperatelo, costa ormai poco. Evitate Asura’s Wrath Kai: Il Ritorno, perchè nel tentativo di piacere a chi ha già apprezzato l’opera originale ed anche a potenziali nuovi fan, non soddisfa nessuno. A meno che non siate dei fan davvero sfegatati e vogliate cercare di spremere sangue da questa rapa marcia.
House of Cards – Season One
(A cura di Alteridan)
Il 2013 è stato un ottimo anno per le serie tv ed House of Cards è sicuramente una delle serie che maggiormente hanno contribuito all’ottima annata.
House of Cards è un political drama prodotto da Beau Willimon per la piattaforma streaming Netflix. La serie narra le vicende di Francis Underwood (Kevin Spacey, figura di spicco del partito democratico americano e majority whip (in sostanza l’uomo incaricato di tenere compatti i membri del proprio partito) al Congresso.
La serie si apre con l’elezione del presidente Garrett Walker (Michael Gill), vittoria dovuta in gran parte proprio grazie al sostegno di Underwood. In base agli accordi di partito, Underwood avrebbe dovuto ricoprire la carica di Segretario di Stato sotto la presidenza di Walker ma all’ultimo momento viene informato che il neo-presidente non ha intenzione di rispettare i patti.
L’intera prima stagione si concentra sui piani di vendetta di Underwood e sulla tela che Frank tesse assieme alla moglie Claire (Robin Wright) e al suo capo dello staff Doug Stamper (Michael Kelly). Underwood si servirà spesso della sua rinnovata posizione di cane da guardia della maggioranza, come viene definito dalla stampa, per influenzare direttamente e indirettamente la presidenza.

Doug Stamper è il braccio destro di Underwood e la persona che più si può avvicinare alla definizione di amico.
House of Cards si rivela un serial ottimamente diretto grazie anche alla geniale rottura della quarta parete: Underwood si rivolgerà spesso direttamente allo spettatore, spiegando per filo e per segno le sue azioni e le sue motivazioni, svelando gli intrighi e le false amicizie delle persone che lo circondano. Tutto questo ha ovviamente successo grazie all’esperienza e alle grandi capacità interpretative dell’attore protagonista, un Kevin Spacey mai così subdolo e cinico (no, neanche in Seven).

Underwood si servirà spesso della stampa per raggiungere i suoi scopi grazie al suo contatto Zoe Barnes (Kate Mara).
Naturalmente non è solo la performance di Kevin Spacey ad essere ottima, ma anche quella degli altri attori, in primis Robin Wright che interpreta una moglie impegnata nel sociale ma, come Underwood, cinicamente spietata all’evenienza, seppur con qualche dubbio morale.
La sceneggiatura è brillante: all’inizio vi sembrerà che molti degli eventi narrati siano di per sé scollegati tra loro, ma man mano che si prosegue con la visione degli episodi si scopre che in realtà è tutto collegato ed ogni singolo accadimento ha un suo posto nella tela di Underwood.

Abituatevi a questo sguardo: quando Underwood vi parlerà direttamente lo farà guardandovi dritto negli occhi.
A completare il tutto ci pensa anche l’ottima colonna sonora che accompagna la visione e delle scenografie realistiche.
House of Cards fa immergere lo spettatore nelle torbide acque della politica americana, un mondo spietato in cui vige la legge del più forte. Se siete appassionati di thriller politici allora House of Cards è la serie perfetta per voi.
E dopo aver recuperato la prima stagione ricordate che il prossimo 14 febbraio verrà rilasciata la seconda.
Asterix e l’Indovino
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Quando penso agli Asterix, e mi riferisco sia agli albi che ai lungometraggi a fumetti, ho sempre l’impressione che siano tutte storie piuttosto recenti, non uscite prima dei anni ottanta. Invece mi stupisco ogni volta, quando faccio ricerca su cosa vi scrivo, che anche questo albo è in realtà del “remoto” 1973, anno in cui non ero neanche pianificato. E ogni altro albo precedente, ovviamente, è stato pubblicato PRIMA di questa data. Pazzesco?
Hmmm…abbastanza, se considero che gli albi a fumetti di Spider-Man recensiti di quegli anni, non mi hanno convinto dal punto di vista dei disegni quanto alcuni di questi albi del duo franco-belga.
Veniamo all’albo stesso.
Panoramix è di nuovo nella Foresta dei Carnuti a partecipare all’annuale convegno tra druidi. E’ in quell’occasione, e in particolare durante una terribile tempesta, che si presenta al villaggio Prolix, più comunemente conosciuto con l’appellativo descrittore della sua “professione”: Indovino.

Qualcuno coglie la citazione artistica di questa vignetta?
Il villaggio, credulone e superstizioso, inizia a credere alle facili previsioni del nuovo individuo, ed è solo grazie allo scetticismo di Asterix e Obelix che Prolix deve trasferirsi nella foresta circostante il villaggio. Per evitare che l’Indovino, spaventato da Asterix ed Obelix, se ne vada, Beniamina convince il marito, Abracourcix, di forzare al duo di rimanere nel villaggio fino al ritorno di Panoramix.
L’Indovino, però, viene catturato dai Romani e portato all’accampamento di Babaorum, giusto quando Asterix va per la prima volta nella foresta da tempo. Beniamina teme che Asterix abbia scacciato l’Indovino, evento che da lui era stato “previsto”, e che se fosse successo, sarebbe stato seguito da gravi sciagure.
Il centurione di Babaorum, minacciando di morte l’Indovino, lo forza a far credere gli abitanti del villaggio che questi siano maledetti e che presto l’aria diverrà irrespirabile. Convinti, Abraracourcix e soci abbandonano il villaggio rifugiandosi su una vicina isola a largo dell’Aremorica, e solo Asterix e Obelix (convinto da Idefix) rimangono nel Villaggio.

Prolix tenta, senza successo, di convincere i Romani che NON è un vero Indovino!
E’ in quel momento che torna Panoramix, che sentendo quanto accaduto, e osservando l’invasione del villaggio da parte dei romani, se ne inventa una delle sue e prepara una pozione che impesti l’aria, forzando i romani a fuggire dal villaggio. Richiamati i propri compagni sull’Isola, Panoramix e Asterix convincono i compagni (e le loro mogli) a reagire e uniti attaccano Babaorum, dove l’Indovino viene “smascherato” e i romani ricevono una sonora batosta, tanto per cambiare. E visto che parliamo di “tanto per cambiare”, il villaggio a fine albo festeggia il ritorno nel villaggio.
Albo niente male, ma mai il villaggio si era comportato in maniera così stupida. Capisco che in antichità i popoli celtici erano creduloni e indovini e sciamani erano davvero considerati dei veri e propri veggenti, ma credo che in questo albo il tutto viene un pochino esagerato.
“Fuggite! Fuggite! E’ l’unico modo di salvarvi! Vi ho avvertiti!”
Viene dato un ruolo un pò più importante alle donne in questo fumetto, cosa davvero nuova per un albo di Asterix, ma le loro doti grige vengono davvero sminuite e l’albo quindi non fa loro chissà che favore. Sono credulone, poco intelligenti e miopi nei loro comportamenti, e sfruttano in maniera negativa la loro influenza sui loro compagni. Comunque sia, l’albo si riscatta nel finale, con un ottima idea romana su come sfruttare Prolix, con la prima “conquista” dei romani del villaggio e con la fuga dei galli sull’isola vicino la costa dell’Aremorica.
Comunque un albo che raccomando, siamo su livelli decisamente buoni! =)
Voto Personale: 8/10
E con questo abbiamo finito per questa settimana, ci rivediamo tra sette giorni! Non scordatevi il contest che abbiamo messo sulla nostra Pagina Facebook! O non vi piacciono i giochi gratis?
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