Passato un felice San Valentino o San Faustino? =P
Spero di si, quest’oggi parliamo difatti di tutto fuorchè di amore! Anzi, Satanisti, Vampiri, Draghi rapitori di Principesse e nativi americani sono sul nostro settimanale elettronico, sempre attivo, sempre vivo. Non indugio in altro, visto che la tesi mi reclama.
The Paganist
(A cura di Wise Yuri)
Come promesso, ecco qui la recensione di The Satanist, il nuovo album dei Behemoth, ed una fresca release a cura della nota label tedesca Nuclear Blast.
A 5 anni di distanza da Evangelion, arriva un album che non mi sarei davvero aspettato di vedere, a causa della terribile lotta del leader/frontman Nergal (nome d’arte di Adam Narski) contro la leucemia, ma avendone già parlato nella “preview“, eviterò di ripetermi, e quindi facciamola corta e parliamo dell’album in sè.
Questa nuova fatica del gruppo polacco – che difficilmente poteva scegliere un titolo più banale e stereotipato per un disco death/black metal se ci provava – sceglie sì il tema più banale associabile da chiunque ad un disco metal (solo “Pagan Uber Alles” poteva essere più banale), ovvero il classico “satanismo da spettacolo”, ma ciò non dovrebbe farvi partire prevenuti, perchè se fosse per quello, gran parte della musica metal andrebbe buttata via solo per poca originalità delle cover art e dei titoli (un bafometto lì, qualche croce strana o divelta là, qualcosa di “estremo”, etc.).
Ma oltre un “concept” a dir poco banale abbiamo uno dei migliori album del gruppo, per diversi motivi. Per quanto mi piaccia il gruppo, non nego che per lo più gli album dei Behemoth non siano mai spettacolari nel complesso, più validi per metà delle canzoni contenute nell’album che il disco nella sua interezza. Beh, il gruppo è decisamente cresciuto con The Satanist, che è solido, coerente e riesce a creare un atmosfera sorprendentemente sinistra, ed in cui nessuna traccia sembra fuori posto od eliminabile. Il che è aiutato da una stupenda produzione ed un cantato tipico del genere ma – a sorpresa – il testo è comprensibile pur mantenendo il suo tono gretto e black, quello che vi aspettereste. Ma potete capire le lyrics, cosa che spesso non posso dire di album di questo genere. E sono solide, sebbene non eccelse o particolarmente originali, anche per il tema scelto.
Ma una produzione da 10 e lode servirebbe a poco se la musica in sè fosse poco ispirata; fortunatamente questo non è il caso, con un disco colmo di energia ed intensità (notabili la title track, e l’opener usata anche come singolo, Blow Your Thrumpets Gabriel), e che riesce ad offrire un sound un pò più vario del previsto, con maggiore varietà e tempistiche, alternando le parti growl e gli infernali “tappeti” di batteria a passaggi più atmosferici e “calmi” – alcuni quasi solo parlati, a mò di cerimonia sinistra- , spezzando in parte la classica formula che vede una massimo due piccole instrumentali a fare da ponte tra pezzi intenti e che non danno respiro. Notabile la parte di “In The Absence Of Light” in cui viene citato un passaggio del dramma “Il Matrimonio” dello scrittore polacco Witold Gombrowicz, ma questo lo so da wikipedia, perchè anche sapendo dell’opera di Gombrowicz, la citazione ( in polacco, il che ha senso vista la nazionalità del gruppo) non l’avrei comunque capita (non sapendo niente di polacco).
Quello che significa è che il tutto è più compatto – cosa accentuata anche dalla tracklist non immensa e durata delle single tracks – ed onestamente è per il meglio, almeno personalmente preferisco (per questo genere) traccie più intese e meno dilungate possibile (con alcune eccezioni, ovvio). Non sembra fatto più corto per barbonaggine, o per mancanza di idee, anche se una traccia in più sarebbe stata gradita.
La cosa più interessante è che The Satanist è il possibile inizio di una vera e propria emancipazione della band dalla sue radici nei leggendari Nile, dei quali il gruppo è sempre sembrato l’ovvio e naturale erede – nel bene e nel male -, ed ecco, questo album non dà più questa sensazione di stare a sentire un gruppo che è praticamente “i figli dei Nile”, non sembrano più emuli dei loro maestri (i quali onestamente hanno perso un pò di smalto con gli ultimi album). Se questo album è un’eccezione o risulterà l’inizio di una nuova fase per il gruppo è ancora da vedere, ma le premesse ci sono.
Parlano dei dettagli, molto bello il libretto con le lyrics, che sono scritte come deliranti incisioni apocrife su un foglio di appunti (il che però le rende illeggibili), ed hanno anche un commento/spiegazione del testo, il tutto intervallato da delle spettacolari illustrazioni curate dall’autore della cover (però quella del cd stesso non è quella fatta circolare su internet, che è a frontespizio del libretto interno, è molto più banale), il pittore russo Denis Forkas. Questo per la versione standard del disco, visto che non saprei cosa farmene di ostie per messa nera e rosari “satanici”.
Commento Finale
The Satanist è un album che non mi aspettavo, solido, compatto ed energico, capace anche di variare un pò il sound tipico della band (senza però rivoluzionare il genere, sempre di black/death metal parliamo, e di buona qualità, per giunta), anche grazie a passaggi atmosferici molto azzeccati ed una produzione di alto livello che permette anche la rarità di un cantato in growl di cui si può capire il testo (nella maggior parte dei casi), e che mostra una band letteralmente resuscitata, carica, e capace di distinguersi per sè, senza seguire necessariamente alla lettera le orme dei Nile (oltre a fare album migliori, e non album con ottime tracce da estrapolare ed altre dimenticabili). Nonostante la tematica scelta più banale, generica e stereotipata possibile per un disco black metal, l’esecuzione è ottima e convince oltre ogni possibile dubbio. Ovvio che non convincerà mai chi al genere non si è mai avvicinato ne si vuole avvicinare (non che debba, siamo chiari), ma è un ottimo album, degno di nota.
I Behemoth sono tornati, ed a piena potenza, non fate l’eresia di perdervi The Satanist.
Asterix in America
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Conosciuto in Francia con il nome di “La Grande Traversée”, ho alzato un sopracciglio quando ho visto che era davvero “Asterix in America” il titolo italiano dell’opera. Come spoilerare l’albo col titolo, insomma. Mi ricorda quei video su Youtube dove la battuta finale di una battuta sta nel titolo. Semplicemente idiotico.
Passiamo oltre e veniamo alla storia stessa.
Sicuramente la preparazione della pozione magica abbisogna di condizioni davvero strane. Volta dopo volta si scoprono nuovi ingredienti sempre indispensabili per la sua riuscita.
Questa volta, Panoramix ha bisogno di pesce, e pesce fresco per di più, non potendo quindi fare affidamento alla merce che Ordinalfabetix si fa spedire da Lutetia.

L'assenza di pesce fresco, come spesso accade, è al centro delle discussioni del villaggio.
Asterix e Obelix, ovviamente, si offrono volontari per farsi una gita in barca per pescare, ma come la Legge di Murphy prevede, se c’è qualcosa che può andare male lo farà, ed una tempesta fa perdere ai due rete da pesca e orientamento. Scampando a fortuna alla sete e alla fame, alla fine il duo approda in una strana terra che inizialmente fanno fatica a riconoscere. Obelix riesce a sfamarsi tramite animali a lui poco conosciuti come Tacchini e Orsi, ma è in quel momento che Asterix viene rapito da niente popò di meno che nativi americani. Il duo è approdato, a sua insaputa, in America!

La tribù indigina rapisce Asterix mentre Obelix è a caccia di Tacchini.
Obelix libera Asterix e presto i due vengono adottati da un tribù locale, con la quale cacciano e vivono, ma quando il capo tribù propone il matrimonio tra Obelix e a figlia, Asterix inizia a voler tornare a casa. I due pensa di essere in qualche territorio romano esotico, e che il capo tribù altro non sia che un centurione romano mercenario, che comanda una legione intera di mercenari cretesi o della tracia. Ma non sapendo comunque bene dove siano, decidono di rubare una canoa e tornare in gallia così. La canoa, tuttavia, è rotta, ed i due non arrivano che su un’isola poco fuori la terra ferma. Per loro fortuna, tuttavia, il vichingo Erik e la sua truppa giusto in quel momento approda lì e pensandoli nativi di un continente nuovo e lontano, li porta con sè in Norwegia.
Lì Asterix e Obelix incontrano un gallico prigioniero, che giustamente liberano e col quale tornano in Gallia. Deus ex machina vuole che questo prigioniero abbia anche una barca e sia pescatore; con tanto di pesce fresco, il villaggio festeggia il ritorno dei loro eroi, avventuratisi si “qualche isola da quelle zone lì”.
Panoramix si gratta la testa, poi scuote le spalle.

Uno dei momenti più belli dell'albo è proprio quando, durante i tentivi di comunicazione con i Vichinghi, si sfonda il quarto muro.
Bella vicenda, secondo me, con uno dei viaggi più lunghi del duo gallico fino ad ora. Mi piace il fatto che una banalità, come andare a pescare davanti la costa dell’aremorica, si possa trasformare con le giuste sfighe, in un’avventura transcontinentale. Molto belle, come sempre, le idee narrative di Goscinny.
La parte che Asterix, Obelix e Idefix vivono sul continente nordamericano è molto ispirata, con tanto di disegni reminescenti un pochino le vicende di Lucky Luke, e una bella “parodia” della Statua della Libertà, quando Asterix con una fiaccola cerca di attirare l’attenzione di Erik e il suo gruppo di Vichinghi.
Anche la parte con i Vichinghi, anche se più corta, è divertente e ben fatta, e la storia tutto sommato fila ed è divertente.
Non sarà uno dei migliori albi di Asterix in assoluto, me tiene alta la media; ha bei disegni, uno svolgimento coinvolgente e sufficienti “citazioni” e satire da divertire. Consigliato!
Voto Personale: 8/10
Castlevania: Lords of Shadow 2 – Demo
(A cura di Alteridan)
Versione giocata: PC
L’articolo contiene spoiler sul capitolo precedente della serie.
A pochi giorni dall’uscita del nuovo episodio della storica serie Castlevania, in arrivo il 25 febbraio, Konami e MercurySteam hanno deciso di dare un piccolo antipasto ai fan in attesa di questo nuovo episodio di Lords of Shadow. Su PC la demo pesa poco più di un gigabyte ed è facilmente scaricabile tramite Steam attraverso la pagina dedicata al gioco nel negozio della piattaforma, ma la stessa demo è disponibile anche per PS3 e Xbox 360.
In Lords of Shadows 2 vestiamo nuovamente i panni di Gabriel Belmont il quale ha rinunciato al proprio nome e al proprio lignaggio per diventare il principe delle tenebre, Dracula in persona. Già nella scena dopo i titoli di coda del precedente capitolo veniamo informati che Gabriel è diventato un vampiro, ma è nel corso dei due DLC che si assiste alla trasformazione in Dracula.

La demo si apre con questa scena: Dracula apre il grimorio e ricorda gli eventi passati.
La demo ci farà giocare parte di un livello, l’assedio al castello di Dracula, lo stesso assedio presente nei primi trailer del gioco in computer grafica. In questo livello veniamo introdotti alle fondamenta del combat system: una versione riveduta di quello à la God of War del precedente Lords of Shadow in cui possiamo sferrare un attacco diretto ed uno ad area per ognuna delle tre armi a disposizione del protagonista: le mani/artigli di base, la Spada del Vuoto in grado di risucchiare la vita dei nemici, e gli Artigli del Caos per attacchi così potenti da distruggere gli scudi dei nemici più corazzati.
In linea di massima il combat system funziona, nonostante l’ovvia mancanza di varietà di nemici presenti nella demo (solo due tipi di soldati umani e un mini-boss). Il passaggio dalla telecamera semi-fissa del primo Lords of Shadow a quella completamente mobile di questo seguito porta però con sé alcuni problemi: la telecamera è fin troppo ballerina e spesso non riesce ad inquadrare l’azione nel complesso, di conseguenza nelle fasi più concitate potrebbe non essere raro ricevere colpi da nemici fuori dallo schermo. Nonostante l’ovvio disclaimer ad inizio gioco dica che la demo in questione non rappresenta la qualità finale del prodotto è difficile pensare che nel frattempo la telecamera sia stata aggiustata nel gioco completo.

Il sangue scorrerà a fiotti a causa del livello di violenza particolarmente elevato.
Lasciano perplessi le fasi platform: i salti sono gestiti automaticamente, basterà semplicemente premere il pulsante d salto e spingere la levetta nella direzione generica in cui si vuole che vada Gabriel/Dracula, come se non bastasse il percorso da seguire (l’unico disponibile aggiungerei) è anche costantemente indicato da un piccolo stormo di pipistrelli, e se anche questo non dovesse bastare con la pressione di un tasto possiamo evidenziare ulteriormente l’intero percorso. Un gioco a prova di idiota praticamente, tanto valeva mettere dei filmati con quick time event che sostituissero le fasi platform.
Sul comparto tecnico Lords of Shadow 2 si attesta su livelli più che buoni: il motore grafico sembra essere ottimizzato benissimo, la qualità grafica è al pari delle produzioni attuali e la direzione artistica pare molto ispirata. Sono presenti tutte le opzioni grafiche del caso, cosa non sempre scontata quando si parla di giochi non pensati esplicitamente per PC, tuttavia la demo ha solo le indicazioni a schermo per i comandi da controller (quello della Xbox 360) anche se è comunque possibile giocarla con mouse e tastiera (personalmente lo sconsiglio). Si spera che nel gioco completo ci saranno anche le indicazioni per i comandi da tastiera.

Il livello giocabile riprende la scena dell’assedio presente in vari trailer, con tanto di scontro con il golem gigante.
In linea di massima sono rimasto positivamente impressionato da questa demo nonostante avessi delle aspettative bassissime per questo gioco. Nonostante la presenza di una citazione a quel capolavoro di Symphony of the Night (la celebre frase “What is a man?”), resto dell’idea che dare il nome Castlevania ai Lords of Shadow sia un insulto ai titoli originali della saga ma al di là del nome siamo di fronte ad un discreto action occidentale con delle pessime fasi platform (sperando che siano poche) e una forte predisposizione alla spettacolarizzazione dell’azione. Vi consiglio in ogni caso di provare la demo, anche se siete scettici come lo ero io prima di passare una ventina di minuti in compagnia di Dracula.
Super Mario Bros.
(A Cura di Celebandùne Gwathelen)
Come già sapete, avevo intenzione di recensire Super Mario Bros. sul numero 120, semplicemente perchè associo questo numero a Super Mario in genere. Ma tra tutto il casino che sta accadendo intorno a me ultimamente ho sempre meno possibilità di scrivere, meno che meno i lunghi e dettagliati articoli che tanto adoro e che il Weakly sarebbe dovuto evitare si venissero a scrivere. Essendo però i maestri del nostro proprio ritmo di lavoro, alla fine finiamo per voler essere tutti dettagliati piuttosto che toglierci davanti giochi che ci piacciono con pochi commenti.
Stessa cosa con Super Mario Bros.. Non volevo scrivere solo due righe dicendovi, si, questo gioco è vecchio ma merita ancora di venire giocato al giorno d’oggi semplicemente perchè è un classico. E come tale, il tempo passa più lentamente per Mario.

I primi momenti di questo gioco sono stampati a fuoco nella memoria di ogni videogiocatore che si rispetti.
Quindi?
Super Mario Bros. è la definizione degli anni d’oro dei videogiochi del genere plaform 2D. Ogni gioco, con ridefinizioni più o meno marginali, ha preso tutto da questo classico dei videogiochi, e la gran parte delle convenzioni da Miyamoto introdotte in questo gioco, sono tutt’ora presenti nei moderni platform. Detto questo, com’è Super Mario Bros. al giorno d’oggi?
Bello, direi.
Non voglio neanche tediarvi con la “storia” di Mario. Bowser (King Koopa all´epoca) ha rapito Peach (allora, Princess Toadstool) e Mario la deve salvare. Per farlo deve attraversare tutti i livelli di otto mondi prima di affrontare Bowser una volta finale e raggiungere la principessa.
Il controllo di Mario è forse diventato molto più preciso col passare del tempo, ma sinceramente c’è poco di cui lamentarsi. Con la croce direzionale muovete Mario verso destra o sinistra, oppure lo farete abbassare, mentre con A saltate e B correte/sparate palle di fuoco nel caso in cui abbiate l’apposito Power Up. Tutto qui. Il resto è tutto un correre, saltare su nemici per farli fuori, evitare di cadere negli abissi, evitare nemici subbacqui, arrivare alla bandierina in tempo e procedere per il prossimo livello.
Parliamo dei livelli…
Come già detto, siamo di fronte ad otto mondi, e ogni mondo è composto da quattro livelli. A dispetto delle produzioni odierne, allora i mondi non erano divisi in temi; non esisteva il mondo del deserto o quello acquatico. I temi esistevano già, ma venivano messi alla rinfusa nel gioco, e così piuttosto che dei mondi tematizzati, abbiamo dei livelli tematizzati. I temi sono fondamentalmente suddivisibili nelle seguenti categorie:
- Pipe Stage: In inglese semplicemente perchè “Livello a Tubi” suonava brutto. Questi sono i mondi standard di Super Mario Bros., e quindi anche i più frequenti. Seppure ci siano leggere variazioni tra gli stessi (alcuni hanno nello sfondo un cielo azzurro, altri un cielo nero, alcuni hanno cespugli come vegetazione predominante, altri alberi), direi che si lasciano accomunare dal fatto che non abbiamo alcuna caratteristica comune alle altre categorie. Alcuni di questi livelli hanno un solo tubo al loro intorno, ma mancando di altre caratteristiche per le quali aggregarli, li ho messi in questa.
Come già detto, livelli standard, vi verranno addosso Goomba, Koopa Troopa e più avanti anche dei Koopa Paratroopa e Bullet Bill (sparati da appositi cannoni), scalerete piccoli o grandi piramidi e potrete entrare, di tanto in tanti, nei suddetti tubi per scoprire livelli bonus; in alternativa questi si possono trovare anche sopra le nuvole (ci arriverete grazie a delle piante rampicanti nascoste) o sotto le acque. Inutile dirvi che questi livelli diverranno sempre più difficili e ostici, con salti sempre più millimetrici, nemici abbondanti e sempre più sessioni per le quali dovrete davvero sapere bene i meccanismi di gioco. L’ultimo di questi livelli, l’8-3, si trova poi sotto le mura di King Koopa, e vi sputerà addosso pallottole, Hammer Brothers e Buzzy Beetles. Tutto sommato degli stage molto versatili per i programmatori, nei quali calare la guardia non è mai consigliato. Stage di questo tipo sono 1-1, 2-1, 3-1, 3-2 (anche se c’è un solo tubo!), 4-1, 5-1, 5-2 (anche se è presente una parte subacquea), 6-1 (anche qui c’è un solo tubo!), 6-2 (anche qui c’è una parte subacquea!), 7-1, 8-1, 8-2 e 8-3Gli Hammer Bros. sono sicuramente ostici, rispetto alla media dei nemici del gioco.
- Undergournd Stage: Continuo in inglese a questo punto. I livelli sotterranei sono famosi quanto i primi, direi, soprattutto negli ultimi anni poi sono diventati oggetto di studio data la scoperta del mondo “- 1”. Vi stupirà sapere, probabilmente, che sono solo due: solo l’1-2 e il 4-2! Ovviamente non sto tenendo conto del fatto che in molti livelli ci sono delle parti sotterranee, accessibili se scenderete in alcuni appositi tubi. I livelli sotterranei, comunque, hanno la piacevole sorpresa di contenere delle micidiali Warp Zone, che se scoperte e usate, permettono di terminare Super MArio Bros. con una quantità di livelli alle proprie spalle davvero ridicola. Per di più non sono particolarmente ostici, fate attenzione ad alcuni salti nel secondo dei due e alle Piante Piranha e starete salvi.
- Platform Stage: In questi livelli non esiste un terreno solido su cui sperare di atterrare cadendo, e Mario dovrà destreggiarsi quindi tra salti e saltelli per attraversare queste piattaforme più o meno sospese al vento, con carrucole e impalcature mobili posizionate qua e là. Le piattaforme stesse sono o terreni rialzati o funghi giganti o vette di montagne innevate, e sono livelli abbastanza piacevoli in globale, seppure pericolosi. I mondi 1-3, 3-3, 4-3, 5-3 e 6-3 fanno parto di questa categoria.
- Water Stage: I tanto odiati mondi acquatici fanno la loro prima comparsa nel secondo mondo, e tornano solo come tema principale nel settimo, ma piccole sessioni sotto marine continuano ad apparire in maniera più o meno regolare nei livelli standard. Fanno parte della categoria i mondi 2-2, 7-2 e ovviamente il “misterioso” -1. Il gameplay cambia totalmente in questi scenari, visto che Mario non può saltare sui nemici e che l’unico modo per rendersi offensivo sono le palle di fuoco, se Mario le possiede. Il tasto di salto viene usato per nuotare in alto, e il movimento stesso di Mario è meno preciso e leggermente ostacolato dall’acqua. Livelli ostici, secondo me, che però con molta pratica sono conquistabili.
Anche i livelli Underground sono famosissimi ormai.
- Bridge Stage: Stage molto rari, e soprattutto poco ripetuti anche come sottozone di altri livelli. Troviamo questi “ponti” infatti in un solo altro livello, oltre che essere il tema principale dei mondi 2-3 e 7-3. Come il nome fa intuire, sono dei lunghissimi ponti lungo i quali correre a perdifiato è la miglior strategia per sopravvivere. Da sotto il ponte spesso salteranno verso l’alto dei pesci che tenteranno di impedire il vostro arrivo dall’altro lato. Livelli molto facili, secondo me.
- Bowser’s Castle Stage: In quest’ultima categoria, come è lecito aspettarsi, troviamo tutti i livelli numero 4 del relativo mondo (e quindi parliamo di 1-4, 2-4, 3-4, 4-4, 5-4, 6-4, 7-4 e infine 8-4. I livelli di Bowser sono sempre il culmine di quanto appreso nel mondo, e presentano ostacoli ostici tra cui piattaforme mobili, pozzi di lava ardente da cui salgono palle di fuoco letali, catene di fuoco e alla fine, ovviamente, King Koopa stesso. Per quanto batterlo non sia difficile una volta appresa la giusta strategia, la tensione prima di ogni combattimento è innegabile. Nessuno vuole dover rifare tutto il livello per arrivare fino a lui. L’ultimo dei suoi livelli, poi, giustamente è un labirinto senza scrupoli. Un ottimo modo di finire ogni mondo.
Come avete visto, roba da giocare ce n’è parecchia.
Per quanto la grafica e il comparto tecnico in generale sia ormai antiquariato puro, non ho assolutamente nulla di negativo da dire. Mario è caratterizzato bene, il mondo viene identificato alla perfezione, blocchi sono blocchi, nemici sono nemici, nuvole sono cespugli e non c’è nulla da dire a riguardo della grafica. Davvero. E’ solo vecchia, ma per il resto è perfetta nella sua semplicità.
Stessa cosa riguardo la musica. I motivetti sono pochi, ma tutti dei classici, e per quanto si ripetano in pattern prevedibili, sono fischiettabili, remixabili e bellissimi. Anche gli effetti sonori sono classici, da quelli dei salti ai rumori che “producono” i nemici quando li calpesterete. Se non fosse chiaro, insomma, sul comparto tecnico del gioiellino firmato Miyamoto c’è poco da dire.

La palette limitata di colori non limita affatto la genialità di questo platform degli anni storici del genere.
Come c’è poco da dire su tutto il resto: i nemici sono unici e carismatici (come dimenticare e smettere di odiare Lakitu!), gli stage sufficientemente vari e studiati davvero benissimo, il gioco in generale è di una onestà e qualità tecnica superiore…c’è davvero poco di cui lamentarsi. Un classico a tutti gli effetti, magari un pochino difficile qui e lì, ma che ricompensa sempre!
Voto Personale: 8/10
Vi auguriamo una felice domenica, uscite a prendervi il sole se potete, a meno che non piove, in tal caso, statevene al calduccio a casa. A settimana prossima!
17 luglio 2016 alle 13:01
[…] lontano Weakly Hobbit #138, Alteridan vi portava le sue impressioni della demo di questo gioco. Io qualche mese fa ho finito e […]