Dormito stanotte? No, eh? L’ora in meno si fa sentire in ogni dove? Godetevi un bel Cafè allora presso il vostro Checkpoint preferito, e godetevi un paio di articoli a temi notturni, russi, americani, gallici, romani, cibernetici, virtuali…ce n’è per tutti i gusti!
Buona lettura!
Castlevania
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Dopo aver giocato e finito Super Mario Bros. continuavo ad avere voglia di giochi a 8-bit, e quindi mi son detto: “Perchè non provare Castlevania?”. Perchè proprio Castlevania? Non so, la serie mi ha sempre interessato ma ad oggi avevo solo giocato l’episodio omonimo su Nintendo 64 e come al mio solito, ho pensato che non sarebbe male partire dall’inizio. D’altronde bisogna conoscere il passato per capire il presente.
Castlevania è un platform 2D, ma è molto più orientato all’azione rispetto a Super Mario Bros., e quindi lo definirei quasi un Action Platform. A differenza di Super Mario Bros., infatti, Castlevania fa relativamente poco uso del tasto A per saltare, e molto più uso del tasto B per usare la frusta del protagonista, Simono Belmont.
La situazione è la seguente: Simon Belmonot fa parte di una famiglia di cacciatori di vampiri, che ogni 100 anni devono impedire a Dracula di svegliarsi dal suo sonno per evitare, ovviamente, che renda schiava prima la Transilvania e poi il mondo intero. Per arrivare a Dracula, Simon deve attraversare tutto il castello del vampiro, inclusi cortile e sotterranei vari.

Castlevania inizia con Simon Belmont già davanti le porte del Castello di Dracula!
Dal punto di vista del gameplay, questo si traduce in sei livelli ben definiti, in cui si avanza per lo più da sinistra verso destra, ma con eccezioni, in cui, si va anche da sopra verso sotto e da destra verso sinsitra. I livelli, a differenza di Super Mario Bros., non sono linearmente definiti dal punto di vista direzionale, anche se comunque esiste un solo tragitto dall’inizio A alla meta B.
Parliamone un attimo…
Come già detto, l’intero gioco si svolge all’interno del Castello di Dracula. Le diverse aree non hanno nomi ufficiali, da quello che ne so io, per questo ne darò io per differenziarle. Un pò di creatività la domenica mattina non guasta mai!
- Ingresso del Castello: Zona divisa in quattro parti, di cui la prima ancora all’esterno del Castello di Dracula e totalmente priva di nemici. Anzi, lì è possibile recuperare una serie di power up per la propria frusta, e le prime “munizioni” a forma di cuore. Una volta nel castello (la cui porta si chiuderà alle vostre spalle) si potranno incontrare i primi nemici, dei patetici ghoul/fantasmi facilmente assassinabili o evitabili. Inoltre, lì giunti, si potranno salire le prime scale, una delle meccaniche forse meno riuscite del gioco, che però sono usate con estrema frequenza durante le fasi più difficili del titolo Konami. Segue una breve sezione nelle fogne, dove si incontreranno i primi uomini-pesce non dissimili ai mostri inventati dalla Hammer nella seconda metà del secolo scorso. Infine, tornati di nuovo a pian terreno, bisogna affrontare il primo boss di gioco, un gigantesco pipistrello. Un buon inizio per un gioco che fin da subito mostra i suoi punti di forza (atmosfera, nemici ostici, molto attacco e pochi salti) e purtroppo anche i punti deboli (le scale, salti non sempre ottimamente calibrabili).
I primi momenti nel Castello non sono particolarmente ostici, ma questa prima apparenza del gioco inganna.
- Colonnato del Castello: Chiamo questa zona così perchè una serie di colonne è sempre presente nello sfondo del livello. Quasi rivoluzionariamente, il personaggio in questa zona deve andare prevalentemente da destra verso sinistra, facendo chiaramente capire al giocatore che non sta giocando Super MArio Bros.. Per di più dovrà fare così anche salendo scale in continuazione, lottando per la prima volta contro cavalieri (o le loro armature) che lanciano asce e le DANNATE TESTE DI MEDUSA VOLANTI. Non insieme però, la quantità di nemici che attacca il giocatore al contempo è sempre modesta. Boss finale, una gigantesca testa di medusa, non troppo difficile da battere, sinceramente.
- Mura del Castello, primo livello quasi totalmente ambientato all’esterno, con tanto di lugubre notte priva di stelle nel sottofondo. Simon Belmont è costretto a scalare le mura esterne del castello, affrontando i primi gobbi (Hunchback), che sorprendentemente sono di un’agilità sovrumana (e che odio più delle DANNATE TESTE DI MEDUSA VOLANTI), ed i primi guerrieri scheletrici del Conte. Esteticamente un livello davvero bello, che mette molta enfasi su salti tra le varie piattaforme e con scale e scalinate di varia grandezza che collegano le diverse zone delle mura. Appaiono anche statue di drago che sparano palle di fuoco, e cornacche che vi attaccano se le avvicinate troppo. Molto suggestivo, infine, il momento poco prima della stanza del boss, in cui nello sfondo si vede il torrione di Dracula, nostra meta dall’inizio del gioco. Boss di fine livello sono due mummie, decisamente fuori tono con la bellezza del resto del livello. Anche poco azzeccate in un Castello di un Vampiro… Non sono neanche particolarmente ostiche, poi.
Medusa non è un boss particolarmente difficile, nè particolarmente azzeccato come ambientazione.
- Sotterraneo e Cortile del Castello: Forse il livello più corto del gioco, escluso quello iniziale. A inizio livello Simon cade dalle mura del castello e va a finire nelle fogne/sotterranei del castello. Con stalattiti e stalagmiti sullo sfondo, dovremmo attraversare grotte piene di teschi (innocui), pipistrelli piccoli e uomini-pesce non poco aggressivi. L’acqua, inutile dirlo, è vostro mortale nemico.
Usciti dai sotterranei, sarete nel cortile del castello, pieno di colonne rotte e piante (di edera?) rampicanti onnipresenti. Delle antipatiche cicogne volanti portano gobbi nel livello, che affrontare mi ha creato non poco mal di testa. Prima di poter affrontare il boss finale, dovrete rientrare nel castello e affrontare tre teste di drago lancianti palle di fuoco con un lungo collo mobile che le rende non poco ostiche. Boss finale è il mostro di Frankenstein, con tanto di gobbo che lo rende imune ai vostri colpi di frusta. Uno dei primi boss davvero ostici del gioco! - Carceri del Castello: La massiccia presenza di grate, catene, manette e quelli che ho interpretato come strumenti di tortura hanno ispirato questo nome, anche se pure “zona di terrore” non sarebbe stato un titolo poco adeguato. Il livello inizia con alcuni gobbi che vi vengono addosso, salendo scale incontrerete scheletri che lanciano le loro armi addirittura attraverso il pavimento , e attraversando le stanze seguenti dovrete difendervi dai due nemici insieme. Uscendo dalla prima zona, ai primi due nemici si aggiungeranno anche di nuovo le armature di cavaliere, sempre letali con le loro asce da lancio. Dopo dei lunghi corridoi pieni di armature, scheletri e teste di drago sputa palle di fuoco, arriviamo alla vera e propria “sala del terrore” di Castlevania (e non sono l’unico a pensarla così). Se non avete seguito il link, beh, siamo di fronte ad una lunga sala piena di DANNATE TESTE DI MEDUSA VOLANTI che vengono da destra e da sinistra, che non fanno che complicare la lotta contro due armature di cavaliere che vi lanciano asce su diverse altitudini. Se riuscirete a passare quella zona senza morire, complimenti. Avete passato troppo tempo a giocare a Castlevania, ma complimenti.
Tra un livello e l’altro, il giocatore vede la cartina del Castello di Dracula, per capire quanto è ancora distante il bosse di fine gioco.
Segue quello che è forse il boss più tosto del gioco, il Grim Reaper, anche conosciuto come “La Morte”. Difficile da colpire perchè quasi sempre a mezz’aria, capace di lanciarvi falci a non finire in sei direzioni diverse, capace di infliggere un sacco di danni e subirne dieci volte tanto, la fine del quinto livello è decisamente la parte peggiore dell’intero gioco. Se passate quella, avete praticamente già quasi vinto. Quasi…
- Torrione del Castello: Livello finale del gioco, che inizia in bellezza: un lungo corridoio esterno (sulle mura quasi totalmente distrutte del castello) pieno di Pipistrelli giganti da cui difendersi (o da cui scappare). Si, i Pipistrelli giganti sono identici al primo boss di gioco. E ce ne sono cinque. Di fila.
A fine segmento, entrerete letteralmente nelle fauci del leone, ovvero una porta con tale forma. Segue un segmento in salita con scheletri, e una zona centrale pieno di ruote dentate e strani meccanismi infestata da cicogne ed i loro odiosi gobbi. Gli spazi sono molto ristretti e la loro densità è elevata, garantendo morti senza fine. E poi…le scale verso la sala di Dracula.
Dracula stesso non è un bosso troppo difficile, basta colpirne la testa mentre lui cerca di lanciarvi addosso tre palle di fuoco; ma inutile dire che l’impalatore della transilvania ha una forma alternativa ancora più forte e temibile. Non rivelerò strategie per quello che considero di buon diritto un boss finale esteticamente mal riuscito, ma dalla difficoltà davvero elevata.

Sulle mura del castello i gobbi non vi daranno vita facile.
Come visto, ogni livello, e non uno ogni quattro, contiene un boss finale da sconfiggere, e ciascuno è diverso dall’altro, forzandovi a batterlo con modalità leggermente diverse l’uno dall’altro.
Il confronto con Super Mario Bros. fatto fino ad ora durante la recensione per lo più regge, ma ad un certo punto è ovvio che si deve fare una differenziazione. I livelli di Castlevania sono più grandi di quelli del gioco di Mario, e presentano diverse sottosezioni, da affrontare in sequenza e non in alternativa (come le bonus zone di Mario). Mentre “Jumpman” deve affrontare sempre Bowser a fine dei quattro livelli che compongono il mondo, Simon Belmont affronta a fine di ogni livello un boss diverso, che richiede ovviamente una strategia diversa per affrontarlo.
Inoltre, mentre l’arma principale di Mario è il salto (oppure le sue letali scarpe…), Simon Belmont non sarebbe nulla senza la sua fida frusta. Questa, con alcuni power up trovati nei livelli, può essere resa più lunga e fiammeggiante, in modo da colpire più lontano e fare più danni. E la userete tanto tanto tanto spesso, fidatevi.
Nemici, infatti, vi attaccheranno fin dall’inizio da ogni direzione, sotto forma di zombi, spettri, scheletri, DANNATE TESTE DI MEDUSA VOLANTI, cavalieri che lanciano asce (o erano in Zelda II quelli?), pipistrelli, pantere, draghi e chi più ne ha più ne metta.
La vostra energia farà presto una brutta scivolata verso il basso, e le uniche cose in grado di ristabilirla (a parte una lotta col boss di livello completata con successo) sono dei vecchi tacchini arrosto nascosti nei muri del castello di Dracula. Non sto scherzando. E non fatevi ingannare da cuori che potrete trovare distruggendo candelabri e nemici…questi altro non sono che la valuta del gioco. Oppure munzione.
Si, munizione; per fortuna Simon Belmont può trovare nel suo tragitto alcune armi che possono venire usate come attacchi secondari. Ce ne sono diverse, da coltelli da lancio, ad asce, ad acqua santa, e ogni utilizzo vi “ruberà” dei cuori. Un sistema strano, certo, ma una volta capito, non ci farete più caso.
Tutto sommato il nostro cacciatore di vampiri, dal punto di vista del reparto offensivo, è ben messo.

Tra pipistrelli e mostri acquatici, sarete felici quando avrete messo i sotterranei alle vostre spalle.
Di contro, però, Simon Belmont non è certo agile come Mario, ed i suoi salti sono meno controllabili e precisi di quelli dell’idraulico italiano. Non per questo, però, dovrete farne meno affidamento, anzi, ci sono molti corridoi in cui se i salti sono temporeggiati male, la vostra fine si farà più prossima.
Parlando di vite…come in ogni gioco dell’epoca, queste erano molto limitate e limitatamente ricaricabili, e se dovreste avere la sfortuna di morire troppe volte durante le vostre peripezie, la schermata di Game Over vi saluterà, facendovi capire che dovrete fare tutto daccapo. Non di certo bello. Sicuramente frustrante, fidatevi. Soprattutto perchè Castlevania è di buon diritto nell’olimpo dei giochi più difficili che ho giocato fino ad ora, insieme a Zelda II ed Ikaruga, e tra le sue DANNATE TESTE DI MEDUSA VOLANTI e boss di fine livello piuttosto ostici, vi farà bestemmiare più di qualche volta. Fidatevi anche su questo.
Però, e qui entra in gioco l’ottimo gamedesign di Castlevania, riuscire nell’impresa e finalmente capire il gioco, è incredibilmente soddisfacente. Mettersi d’impegno e finirlo, è stato incredibilmente appagante, e vi darà un senso di “accomplishment” che pochi altri giochi di quell’epoca mi hanno dato. Se ripenso ora, a un pò di tempo da quando il gioco l’ho propriamente finito, a Castlevania, mi vengono in mente i momenti difficili, ma anche quelle sensazioni provate quando gli ostacoli li ho finalmente superati. Quindi direi a tutti voi che anche oggi giorno, giocare e finire Castlevania è un’esperienza che ne vale decisamente la pena.

Le carceri sono un ambientazione suggestiva per il quinto livello di gioco.
A ciò, si aggiunge il fatto che, sempre per l’epoca, la grafica del gioco è davvero riuscita e solo in poche occasioni avrete il dubbio se alcuni elementi fanno parte del background o siano effettivamente piattaforme tangibili e quindi percorribili. Questi dubbi sono tutti nel secondo livello, come già accennato sopra, e le emozioni negative associate a certi momenti sono presto scordate.
La colonna sonora, poi, fa la sua porca figura ancora oggi, e la quantità smisurata di remix presenti in ogni dove della stessa, dovrebbe essere indice solo della sua qualità. Castlevania è memorabile quanto è, anche per le sue melodie di sfondo, incredibilmente ben riuscite. Ascoltare per credere.
Tirando le somme? Giocate Castlevania. Per cultura e per sfida. Ne vale la pena.
Voto Personale: 8/10
The Americans – Season One
(A cura di Alteridan)
Anni ’80. Guerra fredda. Spie. Unione Sovietica.
No, non è l’incipit di un vecchio film di James Bond, è la formula alla base di una nuova serie creata dal network televisivo statunitense Fox e mandata in onda sul canale via cavo FX. Questa nuova serie narra le vicende di una coppia di spie sovietiche infiltrate negli Stati Uniti all’epoca della presidenza Reagan, nelle fasi finali e più intense della lunga guerra non convenzionale che ha visto contrapposti Stati Uniti e Unione Sovietica.
Elizabeth (Keri Russell) e Philip Jennings (Matthew Rhys) sono due spie sovietiche del “Direttorato S”, una segretissima sezione del KGB formata da agenti sotto copertura che svolgono attività sul suolo americano. I Jennings hanno raggiunto clandestinamente gli Stati Uniti quando erano poco più che ragazzi, circa quindici anni prima gli eventi narrati in questa prima stagione, con l’ordine di formare una famiglia da sfruttare come copertura.

I Jennings giustificano le loro azioni sotto copertura facendole spesso coincidere con la loro occupazione fittizia: sono entrambi agenti di viaggi.
Il lavoro dei Jennings è sempre stato impeccabile ma i problemi iniziano quando Stan Beeman (Noah Emmerich), un agente dell’FBI dedito al controspionaggio, si trasferisce nel loro stesso quartiere nella casa dall’altro lato della strada. A peggiorare ulteriormente le cose ci si mette anche il rapporto con i loro figli, ignari della vera identità dei genitori e cresciuti in un ambiente fortemente capitalista, e il deteriorarsi delle relazioni tra USA e URSS che spingerà il Direttorato S ad assegnare missioni via via sempre più rischiose ai coniugi Jennings.

L’agente Beeman utilizzerà spesso Nina Sergeevna (Annet Mahendru), una dipendente dell’ambasciata sovietica, come fonte.
Basato su avvenimenti realmente accaduti, come l’attentato al presidente Reagan o l’avvio del progetto dello scudo spaziale antimissili atomici, The Americans non fa mai mancare quell’azione tipica delle spy-story ponendo però l’accento soprattutto sui rapporti interpersonali tra i due protagonisti della serie non facendo. Proprio sul rapporto tra Elizabeth e Philip si basa quasi interamente la serie, un rapporto che per quindici anni è stato solo di facciata ma che nel periodo preso in oggetto dalla serie inizia fin da subito a diventare qualcosa di reale basato su sentimenti concreti.
Il punto di forza della serie è senz’altro quell’aria di anni ’80 che emana costantemente: rock psichedelico, personaggi con occhiali enormi, automobili brutte e con colori ancora più orrendi, incontri in bar con tavoli Pac-Man, abbigliamento sgargiante ed esagerato, ombrelli avvelenati e cimici della dimensione di comodino. Tutto questo, unito al fatto che segue anche eventi riprodotti con una discreta accuratezza storica, fa sì che l’intera serie possa risultare credibile agli occhi dello spettatore.

Il passato di Philip ed Elizabeth viene narrato tramite l’utilizzo di flashback della loro vita in Russia.
Altro particolare importante per la riuscita della serie è sicuramente la caratterizzazione dei personaggi e la loro messa in scena da parte degli attori: abbiamo ad esempio una Elizabeth molto più legata all’ideologia comunista che tenta in più modi di influenzare lo sviluppo dei suoi figli, mentre Philip è un uomo a cui piace vivere in America ma che resta comunque fedele alla madrepatria; dall’altro lato della strada troviamo invece Stan, un uomo del controspionaggio con un passato da agente sotto copertura e con un matrimonio in piena crisi.
The Americans è una serie con una sceneggiatura solida, forse un po’ scontata in alcuni passaggi, che sa intrattenere lo spettatore con un buon mix di intrighi internazionali, crisi familiari e missioni top-secret. Se siete appassionati di spy story allora dovreste pensare di dare un’occhiata a questa promettente serie di cui è iniziata da poco la seconda stagione oltreoceano.
Ghost In The Shell-O-Rama: The PS2 Gig
(A cura di Wise Yuri)
Non siete ancora sazi di Ghost In The Shell? Fortunelli, perchè oggi abbiamo la recensione di Ghost In the Shell: Stand Alone Complex per Playstation 2, sviluppato da Cavia (software house che potreste aver già nota per titoli su licenza di anime e Resident Evil: The Darkside Chronicles) e lanciato nel tardo 2004-2005. Da non confondere con l’altrettanto omonimo videogame per PSP, che non è un porting, ma un titolo completamente differente, di cui parleremo più avanti (magari assieme al Ghost In The Shell per PS1, a trovarlo ad un prezzo decente).
Ispirato alla serie televisiva omonima, gli eventi del gioco prendono luogo tra la prima stagione dell’anime e la seconda (nota come The Second Gig), ma non avendo visto più di 4 episodi della prima stagione (devo recuperare, lo so), non posso dire quanto bene si integra, ma la caratterizzazione ed il cast è lo stesso della serie (ricordo che quasi ogni opera o saga di Ghost In The Shell è sé stante, con elementi comuni ma trame e caratterizzazioni diverse dei personaggi ricorrenti), ed il cast di doppiatori è lo stesso della versione americana. Buon doppiaggio, tra l’altro.
La trama in sé fortunatamente è seguibile anche se non avete visto la serie TV (il che ovviamente aiuta), e verte su attacchi di terrorismo collegati ad una città stato indipendente e quasi completamente chiusa al mondo esterno. …. Eeeed è tutto quello che vi dirò, c’è tutto quello che vi aspettate da Ghost In The Shell: terrorismo, cybercriminali, intrighi politici, cervelli elettronici, e macchine con ghost. E la trama in sé, sebbene non spettacolare a questo giro, non è affatto male per un videogame, anzi.
E siccome di un videogame si tratta, parliamo del gameplay. Il gioco è uno sparattutto in terza persona vecchio stile (quindi niente sistema di copertura, niente minimappa e salute rigenerante, evitate di farvi sparare addosso il più possibile), ma con alcuni accorgimenti moderni (per l’anno d’uscita di sicuro), ed uno shooter solido tra l’altro, non ci troviamo di fronte al solito titolaccio di merda fatto per spremere i portafogli dei fan di un brand o franchise. Il gioco è diviso in 11 missioni, che vi mettono alternatamente nei panni del Maggiore e di Batou (più una sezione in cui controllate un tachikoma), con alcune differenze di gameplay. Sebbene in ogni caso il gioco sia un tps abbastanza lineare, in esplorate aree, eliminate nemici, attivate macchinari ed interruttori ( il tutto senza minimappa ma con un indicatore di direzione), le sezioni con Makoto hanno più enfasi sul platforming e l’hacking (sarebbe Ghost In The Shell senza?), mentre quelle con Batou sono più dirette, con più scontri a fuoco senza mezzi termini, com’è giusto che sia. Il che fornisce una discreta varietà di gameplay ed obiettivi. Decente IA, ma anche se siete abbastanza navigati e bravi con i tps, consiglio di provare la difficoltà standard e poi rigiocarlo a Difficile, perchè alcune cose cambiano (per esempio a Difficile non avete l’indicatore d’obiettivo).
Mi ricorda un pò Oni (sempre per PS2), ironico, visto che era un titolo chiaramente ispirato a Ghost In The Shell (il film del 1995 di Mamoru Oshii, nello specifico), che Bungie e Rockstar chiaramente apprezzarono, visto che sebbene il gioco in sè non fosse così simile, il character design e la storia…. un pò tanto. Non un brutto titolo, tutt’altro (anzi, impressionante per un titolo di prima generazione PS2). Ma torniamo a Ghost In The Shell-
In ogni caso avete a disposizione un buon armamentario tra mitra, fucili, granate, pugnali (il tutto però con un inventario à-la Halo), una buona manovrabilità, la possibilità di hackerare alcuni nemici per fargli combattere contro i suoi alleati, agili schivate e il caro vecchio corpo a corpo, perchè tecnologia evoluta quanto ti pare, ma calci e pugni (specialmente sferrati da un corpo bionico) fanno sempre male. I controlli sono buoni ma vi consiglio di fare il tutorial per prima cosa, perchè alcune difficili sezioni platform che richiedono complesse manovre e balzi a muro potrebbero farvi infuriare se non sapete che potete aggrapparvi a sporgenze e fare acrobatici salti a muro per raggiungere piattaforme elevate. Ed il gioco non vi tartassa con pop-up che vi dicono cosa premere per fare cosa, quindi prima prendete mano con i controlli.
L’unica vera lamentela che mi sento di fare è come un titolo su Ghost In The Shell rileghi l’hacking ad un mini-gioco (quel tipico “premi x al momento giusto quando gli anelli combaciano”), ad essere onesti più difficile e frustrante del dovuto, più che altro perchè avete poco tempo per farlo, e spesso ci sono multipli livelli da passare. Il che è eccessivo visto che comunque non potete abusarne, perchè dovete prima ottenere un modulo di hacking da un nemico sconfitto (e non sapete chi lo possiede) e potete hackerare solo i nemici con un triangolo blu lampeggiante sopra la testa. Capisco evitare che una meccanica del genere rovini il resto del gameplay, ma così si ottiene l’effetto opposto, ovvero che non la vogliate usare proprio perchè quasi impraticabile.
Onestamente a parte un paio di volte nei primi livelli (in cui è necessario farlo per eliminare cecchini), ho lasciato quasi perdere l’hacking del tutto perchè diventa presto una fatica in più, invece di darvi vantaggio effettivo nei combattimenti, il che toglie il senso di inserire l’hacking se poi deve ricoprire una parte così marginale nel gameplay, e siete deincentivati ad usarlo. Ancor più in Ghost In The Shell, una serie che pone moltissima enfasi sul hacking (spesso tematica centrale od importanti di film ed episodi delle serie TV), è un’enorme occasione sprecata, ancor più perchè avrebbe reso il titolo più unico e più vario. Il potenziale c’era.
A contornare il tutto c’è un buon sistema di checkpoint che non fa pesare molto il morire (magari non sapendo che non potete nuotare, è pur sempre un vecchio gioco), ed un autosalvataggio dopo il completamento di ogni missione. Sarebbe davvero bello un sistema di autosalvataggio che permette di riprende la missione dall’ultimo checkpoint, ma è un gioco PS2 del 2004, inutile fargli le luci a questo riguardo e pretendere funzioni da PS3/X360, per quanto ormai l’autosalvataggio sia una comoda abitudine.
Oltre alla modalità storia che richiede attorno alle 7 ore per essere finita, c’è una modalità multigiocatore in stile deathmatch (che non ho avuto modo di provare) e rigiocare il titolo a Difficile (immaginando che l’abbiate giocato a Normale), con dei collezionabili che appaiono a gioco finito e permettono di sbloccare armi e personaggi extra per il multigiocatore, quindi la rigiocabilità c’è (anche se dubito a qualcuno importi del multigiocatore, ma c’è e non c’è bisogno di un online pass per provarlo).
Ultimo ma non ultimo, il lato tecnico, che liquido velocemente: ottimo comparto grafico per un titolo PS2 del 2004 (anche se nelle cutscene in CGI i personaggi sembrano un pizzico troppo di plastica, ma dettagli), sia per le texture che per i modelli dei personaggi e nemici (anche se in alcuni casi alcuni ambienti sono molto simili tra loro e possono confondervi , ma nulla di gravissimo), ottimo doppiaggio inglese (niente opzione per l’audio originale in giapponese) ed effetti sonori. Cos’altro…. tempi di caricamento molto buoni per un titolo PS2.
Commento Finale
Non è un capolavoro, o nulla di spettacolare o veramente speciale, ma tolta la licenza di Ghost In The Shell, c’è un obiettivamente buon shooter in terza persona vecchio stile, e messa la licenza, c’è un buon tps con i personaggi ed una storia nell’universo di Ghost In The Shell, che i fan della serie potranno facilmente recuperare a pochi spiccioli usato, e magari sorprendersi del fatto che ogni tanto i titoli su licenza (di anime, poi) sono fatti con cura e rispetto del brand che utilizzano, e non scaracchiati sul mercato per spennare i fan di quello o quell’altro franchise. Non particolarmente consigliato a chi non conosce la serie, però, perchè di shooter in terza persona non c’è carestia alcuna, specialmente ora, e sarebbe falso dire che non è un titolo solo per i fan (perchè lo è). Ma è un buon titolo solo per i fan, una volta tanto. Salite sul vostro Tachikoma ed andate a recuperarlo nel cyberspazio, mentre aspettate news sull’imminente FPS con enfasi sull’hacking Ghost In The Shell Online (basato sempre sull’universo di Stand Alone Complex), e sperate che non facci schifo.
O come me, speriate che prima o poi facciano uno stealth game od un titolo open world con enfasi su hacking e personalizzazione. Mai dire mai.
Il figlio di Asterix
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Non so bene come introdurre questo albo. Già l’immagine di copertina mi è sempre dispiaciuta, con un gigantesco bebè ed un piccolissimo Asterix su di essa. E la storia non è che mi sia mai particolarmente entrata nel cuore.
Comunque sia, ennesimo tentativo di Albert Uderzo di tentarsi con la sceneggiatura di un albo di Asterix. Vediamo di cosa si tratta…
L’albo inizia proprio con la scoperta, davanti casa di Asterix, di un bebè. Inutile dire come Asterix non abbia la più pallida idea di come sia finito lì, nè di cosa farne.
Anche se Beniamina aizza delle voci contro lui che forse il bebè sia nato da una relazione extraconiugale, Asterix chiede al consiglio del villaggio cosa fare adesso del neonato. Abraracourcix, Panoramix e gli altri decidono che per il momento dovrà vedersela Asterix.

Se Asterix avesse saputo, forse quel giorno non si sarebbe svegliato…
Nel frattempo scopriamo che Bruto, figlio adottivo di Cesare, vuole assolutamente recuperare quel bebè, e viaggia con il prefetto romano gallico Spinadicactus verso l’aremorica. I romani tentano di infiltrarsi nel villaggio per rapire il bebè, prima con un soldato semplice travestito da venditore di giocattoli, poi con Spinadicactus stesso travestito da tata.
Inutile dire che la comparsa di quest’ultimo aumenta le voci sul rapporto della “donna” con Asterix, che pur di non dare addito a queste voci, si trasferisce da Obelix mentre la “tata” sta con il bebè. Il momento del rapimento, però, non avviene, principlamente perchè Obelix in precedenza aveva dato al piccolo latte da una borraccia di Asterix che conteneva ancora dei resti di pozione magica. Con questa, il bebè è diventato superforte, e oltre ad adorare di sfondare le porte del villaggio, ha anche la tendenza di “giocare” con le persone attorno a lui. L’effetto peggiora quando il piccolo cade a sua volta nel paiolo con pochi resti di pozione magica. La “tata” viene malmenata e fugge disperata.

Improbabile nella vita reale, accade di continuo in questo albo…
Quando Bruto nota che tutti i suoi piani sono inutili, decide infine di fare quello che Cesare non ha mai tentato di fare: attaccare il villaggio con armi da guerra e fuoco. Fa questo di notte, mentre il villaggio dorme, e riesce così a rapire il bebè mentre il villaggio attacca le sue legioni. Bruto viene recuperato dalla sua galera, ma Asterix ed Obelix lo seguono e recuperano ancora una volta il piccolo. Cesare compare all’improvviso davanti al villaggio chiedendo cosa sia successo. E’ solo allora che il mistero sul piccolo viene rivelato, e cioè da Cleopatra stessa. Il piccolo altri non è che Cesarione, figlio di Cesare, e allora l’imperatore non può che ringraziare i galli, ricostruendo il loro villaggio bruciato quasi totalmente dalle baliste di Bruto, mentre Cleopatra li invita a festeggiare, come unicum, la fine della loro avventura sulla sua nave. E tutto è bene ciò che finisce bene.

Bruto does what Ceasar don’t. Mettere a fuoco e fiamme il villaggio.
Sinceramente, l’albo mi lascia con sentimenti contrastanti. Da un lato spezzare la tradizione è un bene, e Bruto è davvero un avversario ostico che UNICO riesce a dare quasi un colpo di grazia al villaggio gallico, distruggendolo fisicamente. Il finale con Cesare riconoscente e la festa sulla nave di Cleopatra pure sono ottimi modi di spezzare un pochino con la tradizione.
Quello che però non mi piace dell’albo è tutta la storia intorno a Cesarione, ovvero il piccolo bebè. E’ ridicolo il fatto che, anche se con la pozione, il bebè riesca ad evitare il rapimento così a lungo. Non sono un fan di storie in cui personaggi apparentemente innocui riescano a stra-terrorizzare persone tecnimanete molto superiori ad essi. Questo accade sia col “venditore di giocattoli” che con la “tata”. E, come già detto, questo tipo di roba non mi piace, in genere.
Per il resto, però, l’albo non è troppo malvagio, i disegni belli come sempre e il tutto ancora apprezzabile! =)
Voto Personale: 7,5/10
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Indovinate a quando vi darò appuntamento?
E poi non dite che non sono un pazzo, con un mese per consegnare la tesi io sto addirittura pensando di proporvi ben cinque articoli settimana prossima e non quattro. Farò questa pazzia? Dipende tutto da come va questa settimana con la scrittura della tesi…
Ci sentiamo ad Aprile! =)
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