Altro weakly, altra feature di copertina “freschissima”, con la recensione di Valiant Hearts – The Great War, ma non solo: il nuovo titolo dai creatori di Bastion, Transistor, recensito dal nostro redattore in prova CapRichard, ed altro ancora! Come ninja scivoliamo rapidi nelle ombre estive e vi auguriamo buona lettura!
Hearts of War
(A cura di Wise Yuri)
Nel caso di questo titolo, ho voluto tentare un’acquisto “alla cieca” e d’impulso, senza informarmi dettagliatamente o leggere opinioni di altri, un’acquisto fatto solo perchè il titolo nelle occasioni in cui è stato mostrato ha sembrato possedere un fascino suo, quello di un “videogioco d’autore” da Ubisoft, non quello di un franchise od IP munto fino alla morte ed oltre. Vediamo se la scommessa ha pagato, che dite?
Versione Giocata: XBLA (X-Box 360)
Disponibile anche per: PSN (PS3 e PS4), XBLA (X-Box One), PC
Detto ciò, parliamo del gioco in sé, siete qui per questo. Valiant Hearts – The Great War (sviluppato da Ubisoft Montpellier) racconta la storia di quattro anime, unite e divise dagli eventi della prima Guerra Mondiale, che reclama uomini da ogni dove ed ogni lato del conflitto per servire la guerra, distruggendo e dividendo innumerevoli vite. Il focus è su una famiglia franco-tedesca divisa e messa contro dalla guerra, un soldato americano con un obiettivo da perseguire, una ragazza belga che fa l’infermiera di trincea, ed un piccolo cane, tutto nel contesto geografico delle prime linee franco-inglesi contro le forze tedesche-austriache.
Valiant Hearts utilizza l’engine Ubi Art, lo stesso di Rayman Origins e Rayman Legends, ed il recente Child Of Light, ma in maniera diversa, per replicare lo stile di un fumetto (con animazioni che ricordano vagamente i lavori di Terry Gilliam o Matt Stone e Trey Parker, e ribadisco vagamente perchè a tratti sono un po’ “tagliuzzate”), con l’uso di vignette e baloons per narrare in maniera molto diretta la storia ed i dialoghi, sorretta da una narrazione vera e propria (anche in italiano) molto ben fatta e capace di mettervi dell’umore giusto per quella che è una storia di guerra, una storia matura di morte, amicizia, fedeltà e destino, raccontata in maniera davvero cruda e realistica, con alcune licenze permesse dallo stile fumettistico, ma comunque una storia toccante e non melensa di uomini e nazioni, degli orrori delle trincee, dei sacrifici di molti, e dei successi di pochi.
Tutto accentuato da una curata enciclopedia interna che propone vere foto di guerra, voci storiografiche sulle battaglie, sugli eventi e sulla tecnologia, e collezionabili come un posacenere fatto con il guscio di una munizione per fucile. Non sono un appassionato della materia, ma ho trovato ciò molto affascinante, ed un buon modo di inculcare (vista l’occasione) un po’ di cultura e storia che male non fa.
La paura che potrebbe venire, vista la fortissima impronta narrativo/atmosferica del titolo, è che ci si trovi di fronte ad un nuovo Beyond: Two Souls, che abbiamo per le mani una graphic novel interattiva, con gameplay talmente ridotto all’osso da rendere dubbia la scelta del videogioco come medium.Ma fortunatamente non è questo il caso.
A livello di gameplay Valiant Hearts è un puzzle/adventure 2D vagamente reminescente di vecchi titoli come Flashback od Another World, ma con maggiore enfasi sulla parte puzzle/adventure che quella platformer. Con ciò intendo che venite messi in controllo di personaggi realistici, niente doppi salti (o salti proprio) o manufatti dai potere mistici, dovete usare quello che trovate ed avete a disposizione per superare ostacoli o semplicemente sopravvivere alla situazione. L’abilità più utile in questo gioco è il lancio degli oggetti, sarete sorpresi nel vedere quanto può essere utile un ramo d’albero in più occasioni.
Un’ottima cosa è che gli enigmi sono perfettamente integrati nei singoli eventi, e sono tutti logici, niente polli di gomma con carruccole, se dovete superare un posto di blocco vi servirà una distrazione od un mezzo adatto alla fuga, perchè se venite colpiti da un proiettili in petto, siete morti, pochi discorsi. Sarò franco, gli enigmi di per sé non sono spettacolari od innovativi, ma offrono un perfetto equilibrio tra risoluzione logica ed uso creativo delle risorse. E se non sono particolarmente complicati, visto che la libertà datovi o lo spazio in cui potete muoversi sono in genere piccoli, ristretti, richiedono che pensiate, non potete sbattere il capo a caso ed aspettarvi di procedere, ma ragionarci un poco sopra, e vedrete che la soluzione è spesso logica ma non stupida.
L’unica cosa che realmente vi impedirà di proseguire sono alcuni bug relativi alla progressione, ne ho trovati 3 e principalmente sono accaduti durante le sezioni di cura dei feriti in stile rhythm game, in cui non vedete la parte che indica i pulsanti da premere a ritmo e gli indicatori del “tempo”. Tutti facilmente aggirabili uscendo dal menù principale e riprendendo la partita, ed altrettanto facili da risolvere in una futura patch.
E la progressione lineare non è un difetto, visto come gameplay e storia sono legati, la transizione da una cutscene ad un livello vero e proprio è “indolore”, vista anche la mancanza di icone di sorta. Narrazione e gioco vero e proprio si susseguono in maniera naturale, rendendo l’immersione in questo crudo fumetto di guerra pressochè perfetta.
Parlando di enigmi ed immersione, per godervi appieno il titolo e non venire presi per mano (DAVVERO presi per mano), consiglio di attivare fin da subito la modalità Veterano dalle opzioni, che disattiva gli indizi e non illumina gli oggetti con cui potete interagire. Anche perchè non sono davvero “iperdifficili”, ed in molti casi avere un aiuto ulteriore diventa una facilitazione patetica, della serie “puoi giocare anche tu, con una patata al posto del cervello”.
Vista la relativa semplicità strutturale dei puzzle, potreste temere che il tutto diventi ripetitivo presto, ma il gioco riesce a mantenersi vario, alternando a sezioni molto dirette e frantiche altre che richiedono un po’ di esplorazione e maggior ragionamento, sezioni di guida divertenti ed anche un bel po’ di stealth. Comunque alcune parti sono obiettivamente un po’ più ripetitive del dovuto, specialmente quelle in cui dovete curare i feriti, visto che tutte le volte dovete compiere un mini-gioco in stile rhythm game.
Ed il livello di sfida è più che decente, dipende dalla vostra esperienza con titoli di questo tipo, ma a prescindere Valiant Hearts ha momenti che richiederanno impegno, ragionamento o pazienza, che capiate perchè state fallendo, ed è sempre colpa vostra perchè vi vengono dati tutti i mezzi necessari per procedere/vincere.
Parlando di longevità, per vedere la fine del gioco ci vogliono circa 6/7 ore ad occhio (di nuovo, un altro gioco senza un timer interno che mi permette di dirvi con precisione quando ci vuole a finirlo), e ci sono dei collezionabili, molti li potrete trovare alla prima giocata dando un’occhiata extra lì e là, ma ne mancherete quasi sicuramente un buon numero. A parte i collezionabili ci sono alcuni trofei che non vengono sbloccati in automatico proseguendo nel gioco, ma nel complesso non ci caverete più di un paio d’ore extra, circa. Il che per un gioco venduto a 15 euro di listino, è comunque un ottimo rapporto prezzo-qualità-durata.
Commento Finale
Valiant Hearts – The Great War racconta in maniera matura ed emozionale una storia all’insegna della guerra, di anime perse, divise, unite e distrutte dalla prima guerra mondiale ed i suoi orrori, filtrata ma non rovinata od “omogeneizzata” da un curato ed eccellente stile grafico da fumetto. Ed al contrario di alcuni esempi recenti, oltre ad essere un’esperienza con una forte narrativa, è anche un buon puzzler/adventure con un eccellente equilibrio tra logica e creatività, ed una discreta varietà di gioco, con un’unione pressochè perfetta tra narrativa e gameplay ed una discretà longevità.
Valiant Hearts è il prodotto di una Ubisoft in qualche modo diversa da quella degli Assassin’s Creed, di una Ubisoft dedita a creare titoli con passione ed idee, che prende il rischio di creare giochi “d’autore” che non sono seguiti di seguiti, e non di una compagnia dedita a mungere vacche morte ed interessata solo al profitto a prescindere dalla qualità, a creare un titolo solo se sono garantiti tremila seguiti mediocri. Un’affascinante mosca bianca di una Ubisoft quasi irriconoscibile, che merita decisamente la vostra attenzione ed ogni centesimo richiesto. Caldamente consigliato.
Surge Deluxe
(A cura di Alteridan)
Puzzle game, bella storia: ne esistono a milioni e ogni minuto ne spunta fuori uno nuovo, soprattutto su dispositivi portatili. Potevano quindi mancare su PlayStation Vita? Certo che no, anche la portatile Sony deve avere la sua buona dose di puzzle game.
È proprio di uno di questi giochi che voglio parlarvi quest’oggi: Surge Deluxe. Il titolo è sviluppato da FuturLab, gli autori di Velocity e relativi seguiti, un piccolo studio specializzato in videogiochi frenetici, con un gameplay tipicamente mordi e fuggi.

Blocchi colorati, migliaia di punti, ritmo frenetico, si può volere di più?
Surge Deluxe è un titolo innovativo, mettiamolo subito in chiaro, ma non è nuovo. Sì, lo so che sembra un ossimoro, il gioco era già stato pubblicato sotto forma di titolo PlayStation Mobile con il nome di Surge, a distanza di un paio di anni dalla prima uscita, è stato completamente rivisto e ripubblicato come gioco per PS Vita, con l’aggiunta di quel Deluxe nel nome.
Lo scopo del puzzle game del team inglese è semplicemente quello di unire dei blocchi colorati dello stesso tipo, tracciando linee di collegamento sul touchscreen al fine di farli scomparire dallo schermo prima dello scadere del tempo. Tutto qui? Non proprio, questa è solo la base. A complicare le cose ci si mettono un numero enorme di variabili.

All’inizio di ogni livello viene scelto un colore, tutti i blocchi di quel tipo otterranno una stella e varranno più punti.
Per prima cosa bisogna sempre tenere d’occhio gli indicatori di tensione ai due lati dello schermo: se si riempiono per intero è game over. Per far calare la tensione bisogna premere degli speciali interruttori su ogni riga, peccato però che questi vengano sbloccati solo una volta liberata completamente la relativa fila di blocchi. Questi pulsanti fanno anche altro, fortunatamente qualcosa di buono per noi: ogni interruttore possiede un colore specifico, una volta premuto farà aumentare i punti ottenuti dall’unione dei blocchi di quel colore, fornendo bonus considerevoli al punteggio finale del livello.
Potevano poi mancare dei blocchi speciali? Certo che no. Oltre a bonus di vario tipo, come i moltiplicatori di punteggio o i blocchi che permettono di collegare mattoncini di colore differente, vi sono anche quelli che ci complicano la vita, come dei blocchi che cambiano colore ogni secondo.

Se attivati su entrambi i lati, gli interruttori dello stesso colore portano a bonus ancora maggiori.
Surge Deluxe è un puzzle game fenomenale: le partite sono sempre molto frenetiche e, grazie alle innumerevoli variabili da tenere a mente, il game over è sempre dietro l’angolo. Se poi vi stancate della modalità classica, c’è sempre la possibilità di imbarcarsi in sezioni rompicapo dal ritmo più lento e ragionato. L’impianto tecnico, poi, è di prim’ordine e viene esaltato dall’hardware della portatile di casa Sony, con colori accesi ed effetti speciali realizzati in maniera perfetta. L’unico difetto potrebbe essere rappresentato da una colonna sonora sì ottima, ma alla lunga ripetitiva, con un riciclo evidente dei pezzi elettronici.
Ciò nonostante, Surge Deluxe è forse il miglior titolo mordi e fuggi presente nel catalogo digitale di PS Vita: se siete appassionati di questo tipo di giochi, non potete lasciarvi sfuggire questa piccola perla di game design.
Voto personale: 8,5/10
Transistor
(A cura di CapRichards)
Versione giocata: PC
Disponibile anche per: PS4
Transistor è il secondo gioco dei Supergiant Games, famosi per aver portato alla luce il gioco Bastion, ammaliatore di pubblico e critica per la sua visione artistica e per la sua narrazione unita al gameplay.
Transistor è un “more of the same” o qualcosa di più?
Quella nuvola somiglia a….
Il gioco si apre in medias res. La protagonista, Red, si troverà ad estrarre una spada luminosa e parlante dal corpo di una persona. La spada in questione è il titolare Transistor, cardine centrale della narrativa.
La città dove il gioco è ambientato è chiamata CloudBank ed è una città dove tutto è possibile, dove ogni cosa può essere plasmata con grande facilità. Una città senza passato, dove la popolazione non si adatta al mondo, ma dove il mondo si adatta alla volontà della popolazione. Un’ambientazione unica che sembra reale ed onirica allo stesso rempo.
La città è sotto attacco dal Processo, un gruppo di robot intenzionata a distruggere tutto. Perché? Quando? Dove?
Il gioco inizia con tantissime domande, con il giocatore ignorante di tutto e tutti. Ogni elemento della storia ed ambientazione verrà svelato ad un ritmo adeguato, lasciandovi abbastanza informazioni per formulare ipotesi, ma non abbastanza per sapere tutto, così da spingere il giocatore ad avanzare per pura curiosità. Il finale del gioco è estremamente potente e possibilmente divisorio. Riesce a concludere l’avventura in modo netto e preciso e allo stesso tempo a lasciare abbastanza punti aperti che il giocatore è chiamato a chiudere con la propria immaginazione.
Un impatto audiovisivo da urlo
La prima cosa che vi colpirà, violentemente e ripetutamente, di Transistor è la sua presentazione audiovisiva.
Il gioco è letteralmente fantastico. La cura per il dettaglio, le scelte cromatiche, le animazioni fluide: tutto forma un insieme straordinario, superiore a quello visto in Bastion. Lo stile è un mix tra il Cyberpunk e l’Art Déco, mai scontato e visivamente di forte impatto.
Anche l’audio è fenomenale. Logan Cunningham ritorna a dare la sua voce, questa volta in modo leggermente diverso. Invece di un narratore fuori scena, questa volta la sua voce è quella del Transistor. Quindi più che narrare, commenta quello che succede in tempo reale, con un tono molto più personale rispetto al narratore di Bastion.
Le musiche sono ancora una volta composte da Darren Korb con la voce di Ashley Barret nella tracce cantate. Sono sempre perfettamente integrate nell’azione del gioco e sottolineano ogni emozione. “We Will all Become” è il singolo del gioco ed è un bellissimo pezzo di musica e rappresenta l’intero tono del gioco.
Praticamente questo gioco è un: “squadra vincente non si cambia”. Questo rafforza ancora di più l’unicità dello stile e dell’esperienza offerta dai Supergiant games.
Tante Battaglie
Il gioco è un insieme lineare di livelli che vengono attraversati per esigenza di trama. Questi livelli sono composti di zone dove si svolgono battaglie contro mostri di vario tipo. Questi combattimenti sono visti come incontri separati, con tanto di schermata di ricapitolazione al termine di ognuno ed è necessario completarli tutti per poter avanzare.
Il sistema di combattimento può sembrare a prima vista un qualcosa di riciclato. Si hanno attacchi assegnati ai vari tasti, ci si muove sul campo di battaglia con l’analogico ed è una questione di attaccare e schivare. In realtà il gioco è più complesso di questo, per via di un paio di meccaniche che sono invisibili ad uno sguardo superficiale.
Per prima cosa abbiamo un personaggio non predisposto al combattimento, quindi incapace di effettuare schivate e lento nel muoversi nel campo di battaglia pieno di nemici infinitamente più agili. Questa anomalia per un action moderno è corretta dalla seconda caratteristica: la “pausa tattica”. Premendo un apposito pulsante il tempo si ferma e si ha un certo carburante da usare per pianificare movimenti ed azioni. Alla ripressione del pulsante, tutte le azioni da noi programmate verranno eseguite a velocità altissima. Dopo questo si rimarrà brevemente vulnerabili per qualche secondo, con l’impossibilità di eseguire qualsiasi azione. Quindi si arriva ad alternare momenti di offensiva fulminea pura a momenti di fuga per il cooldown. Il ritmo che si crea è particolare e non è mai frustrante.
Il sistema è alquanto complesso da spiegare in modo semplice onestamente, ma giocandoci è estremamente chiaro ed immediato.
Il sistema di skill è anche molto complesso. Il Transistor assorbirà le anime di persone decedute che si trovano lungo i livelli e le convertirà in abilità.
Ogni abilità può essere usata in 3 modi diversi. Il primo modo di utilizzo è come abilità attiva, in uno dei 4 slot a disposizione. Quando sono attive esse sono attacchi eseguibili alla pressione dell’apposito comando, ognuno con un suo cooldown. Un altro modo è come modificatori delle abilità attive, cambiando danni, gittata, velocità di attacco o aggiungendo effetti particolari. Oppure ancora come abilità passive, che conferiscono bonus a Red. Le varianti sono davvero tante e mano a mano che si aumenta di livello si sbloccheranno più slot di customizzazione.
Ogni volta che userete le abilità in un nuovo modo, scoprirete nuove informazioni sulla persona legata a quella abilità. Questo è il modo con il quale scoprirete molti aspetti del background e anche alcune storie e personaggi davvero interessanti. Il gioco oltre alla trama principale offre un New Game Plus e delle arene dove mettere alla prova le vostre abilità.
Tutto questo è bello a spiegarlo, ma come si traduce per l’utente?
In divertimento. Tanto divertimento unito all’emozione della scoperta. Cercare le combinazioni che più piacciono, massimizzare attacco e difesa, ottenere effetti e combo particolari e provarli su campo è davvero appagante ed il sistema è estremamente ben bilanciato, con meccaniche dei nemici che variano fino a metà gioco, introducendo un qualcosa di nuovo che vi costringerà a cambiare strategia per poter risultare vittoriosi, oppure a trovare il miglior attacco da spammare all’infinito.
Supergiant Games riesce a bissare il risultato del loro primo titolo con un gioco unico, dalla forte estetica e dal gameplay solidissimo. Unica vera pecca è la durata. Davvero molto breve, si attesta sulle 5 ore. 5 ore indimenticabili sia chiaro, ma pur sempre 5 ore.
Voto Personale: 9/10
Quando il cielo gli cadde sulla testa
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Era un pò che vi stavo dicendo, mano mano che proseguivano le vicende di Asterix, che le trame di Albert Uderzo, inizialmente solo disegnatore delle avventure galliche, si assottigliavano di volta in volta. Non nego che oltre a questi assottigliamenti di trama, continuavano ad esserci idee niente male o per lo meno parzialmente divertenti, ultima quella di Asterix e Latraviata.
Con questa storia, però, vi avverto, Uderzo ha toccato il fondo.
Tutto comincia quando Asterix ed Obelix vanno a caccia. e trovano tutti gli animali del bosco fermi e immobili, come se fossero pietrificati. Spaventati, i due tornano al villagio, dove con orrore notano che lo stesso è accaduto anche ai loro compaesani, tutti fermi e immobili dov’erano. Per loro fortuna Panoramix è ancora “vivo e vegeto” e presto Asterix immagino che loro sono stati risparmiati dalla “pietrificazione” per via della pozione magica (apparentemente Obelix ne aveva dato un pò anche a Idefix). All’improvviso il gruppo vede una enorme sfera gialla sul villaggio, da cui esce un alieno di nome Toon che gli spiega di venire dal pianeta Tadsylwein grazie alla sua sferica astronave. Il gruppo non sa come reagire, finchè Asterix non perde la pazienza e aggredisce il piccolo alieno. E’ in quel momento che dall’astronave esce un “superman”. che viene presto spiegato essere un superclone, super forte e in grado di volare, un super eroe insomma (diamine come mi sento strano a parlare di alieni e supereroi in un Asterix). Comunque, Asterix, Panoramix e Obelix chiedono a Toon di “sfreezare” il loro villaggio e di spiegargli il motivo della visita. L’alieno acconsente e dopo aver depietrificato gli abitanti (fermati nel mezzo di una scaramuccia tra loro) e dopo che si è ricreata la calma per l’arrivo del duo cosmico (l’alieno e il superclone), l’ospite spiega loro che è venuto sulla terra per prendere la loro “arma segreta” per evitare che finisca nelle mani dei pericolosi alieni dal pianeta Gmana.

Asterix, Obelix e Panoramix cercano di fare il punto della situazione sulle pietrificazioni, a inizio albo.
E’ proprio durante questi avvenimenti che il razzo di Nagma, un alieno del pianeta Gmana, atterra sull’accampamento romano, dove viene a sapere che sono i galli del vicino villaggio ad avere “l’arma segreta”: subito si avvia lì, incontrando sulla strada Obelix. L’alieno gli “invisibilizza” i cinghiali catturati e Idefix, e se ne prende di santa ragione. Obelix torna al villaggio spaventato di non vedere il suo Idefix, e così Nagma scopre l’ubicazione del villaggio. Segue una lotta a colpi di supercloni di Toon e robottoni di Nagma, che però finisce in parità. I galli iniziano ad essere seccati di questo intervento extraplanetario, e Panoramix decide di dare a ciascuno un’anforma della pozione magica. Purtroppo, però, sembra che su Nagma la pozione non abbia l’effetto desiderato, e quando vuole acchiappare un menhir scagliatoli, viene colpito in pieno. L’alieno vuole vendicarsi e manda di nuovo i suoi robottoni, ma Obelix li distrugge a colpi di menhir. Purtroppo, però viene rapito Panoramix, ed è solo grazie ad un nuovo intervento dell’astronave di Toon e di un superclone, che il druido viene recuperato sano e salvo. Toon convince Nagma di non fare mai più ritorno sul pianeta terra, e il duo alieno si appresta a partire. E’ allora, però, che attaccano i romani, che vedendo partire il razzo dell’alieno di Gmana dal villaggio, pensano che i galli siano infine stati sconfitti. Inutile dire che aspetta loro una bella batosta. In seguito, Toon vuole infine abbandonare la terra, quando cresce a dismisura. A quanto pare la pozione magica su lui aveva effetti un pò diversi che sugli umani. Nulla che Panoramix con un paio di pozioni non possa mettere a posto, comunque. Toon, quindi, abbandona la terra, ma non senza prima cancellare la memoria sui fatti a tutti gli abitanti del villaggio e tutti i romani.
La voglia di festeggiare una vittoria, comunque, al villaggio rimane, e così sotto le stelle si consuma una nuova grigliata mega-galattica.

L’arrivo di Toon e dei supercloni (a destra) e di Nagma e dei suoi robot (a sinistra) sconvolge non poco l’universo di Asterix!
Leggere (e parlare di) questo albo è stato, senza ombra di dubbio, un’esperienza a dir poco…alienante. L’idea di Albert Uderzo era di omaggiare Walt Disney e di fare citazioni della cultura quotidiana in forma satirica… ma sono convinto che proprio l’universo di Asterix non era adatto a questo tipo di satira. A che pro inserire elementi totalmente strani e assurdi come alieni, astronavi, hot dog, supereroi e robot nell’universo, fino ad ora molto coerente e ben pianificato, dei gallici del 50 a.C.? La storia, poi, nella sua assurdità, non è neanche sempre coerente a se stessa, e robe come l’attacco dei romani al villaggio a fine albo sembrano quasi messi lì per rispettare dei canoni che ormai sono comunque tutti saltati. Anche l’inutile prolungamento della storia con Toon che diventa gigante per via della pozione magica, e poi ha bisogno di ben due diverse pozioni per tornare ad essere quello che era in origine sembra solo messa lì tanto per allungare un brodo che già di suo era mal cotto, con ingredienti strambi e servito in maniera pessima.
E per finire, Toon ovviamente cancella la memoria degli eventi ad Asterix e il villaggio, e quindi la storia, effettivamente, per i protagonisti non è mai avvenuta. Peccato che l’effetto “cancella la memoria” non si possa applicare anche a noi dopo la lettura dell’albo…
Non che tutto nell’albo sia pessimo, chiaro, ma tutto, e davvero tutto, sembra essere fuori luogo e fare acqua da qualche parte. Se c’è qualcosa che si salva sono i disegni, ma che Uderzo fosse un disegnatore d’eccezione non c’erano dubbi a partire da Asterix e lo Scudo degli Arverni. E’ davvero evidente che le storie del disegnatore non sono davvero all’altezza della qualità a cui ci aveva abituati Goscinny. E, difatti, questa sarà l’ultima vera e propria storia originale che Uderzo ha fabbricato per Asterix ad oggi.

Nagma tenta di rubare Panoramix… l’alieno non la farà di certo franca!
E che pessima uscita che ha fatto. Conosco persone appassionate di Asterix che dopo la lettura hanno realmente buttato l’albo nella spazzatura. Io non arriverei a tanto, ma sono d’accordo che questa sia una storia nella lunga e per lo più gloriosa serie di Asterix che si può tranquillamente saltare.
Voto Personale: 4/10
Quindi… a settimana prossima, cari lettori, ormai sapete come va! 😀
5 ottobre 2014 alle 14:24
[…] dai talentuosi ragazzi di FuturLab. Degli stessi FuturLab vi parlai qualche mese addietro di Surge Deluxe, già in quella occasione vi dissi che questa software house ha una certa maestria nel confezionare […]