Orchi, elfi, nani ed hobbit, oh my! Assieme al capitolo conclusivo della trilogia cinematografica de Lo Hobbit (recensito in questo numero) il Weakly Hobbyt si congeda, sì, questo è l’ultimo numero del 2014, ma non l’ultimo articolo del blog, c’è come sempre la dose di horror natalizio con il prossimo numero del Grind Cafè. Quindi vi ringraziamo per averci seguito anche quest’anno, noi ci prendiamo un pò di pausa, ci vuole allenamento prima dei bagordi natalizi e di capodanno! E come sempre, buona lettura! 😀
The Hobbit – The Battle of the Five Armies
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Tredici anni di viaggi nella terra di mezzo sono (o dovrebbero essere) adesso alle nostre spalle, con Peter Jackson che conclude questo Natale il suo viaggio nel mondo inventato da Tolkien (sperabilmente) per sempre. Dopo tre capolavori usciti nei primi anni del nuovo millennio e due film di cui vi ho già parlato con toni semi-positivi e semi-negativi due anni fa e l’anno scorso, è giunto il momento di valutare anche questo ultimo capitolo della trilogia di film ispirati al libro che iniziò il fantasy: Lo Hobbit – La Battaglia dei Cinque Eserciti.

Bard davanti ad armate elfiche al suo comando...
La trama, che non riuscirò a non spoilerare almeno un poco, ma cercherò di trattenermi, visto che il film è ancora nei cinema ovunque, segue fondamentalmente tre storie, che si andranno ad unire ben presto per terminare in una gigante e gloriosa battaglia a cielo aperto. Anzitutto ci sta il problema presso la Città sul Lago, attaccata dal Drago Smaug. I cittadini sono in fuga, ma Bard riesce, grazie all’aiuto preziosissimo di suo figlio Bain, a recuperare l’ultima freccia nera, proiettile in grado di ferire un drago, ed uccidere la bestia gigante. Viene festeggiato da tutta la popolazione, che però ora è senza città, e si dirige, dopo un pò, presso Dale, la città ai piedi della Montagna Solitaria. Lì i nani guidati da Thorin cercano l’Arkenstone, che però è in mano a Bilbo. Thorin impazzisce giorno dopo giorno, pensando addirittura che i suoi compagni lo stiano tradendo. Kili, Fili e gli altri nani, rimasti indietro dopo gli eventi del primo film, raggiungono i loro compagni nella montagna, narrando delle gesta di Bard l’arciere. Bilbo, invece, inizia a temere l’ira e la follia di Thorin. Gandalf, invece, è ancora prigioniero a Dol Guldur, dove Sauron si è rivelato a lui. Galadriel, però, chiamata da Radagast, lo aiuta a fuggire. All’improvviso i due vengono circondanti dai nove, ed è solo grazie all’intervento di Saruman, Radagast ed Elrond che Gandalf viene portato in salvo. Galadriel, poi, scaccia Sauron da Dol Guldur, devastando parzialmente il luogo.

Sauron si manifesta a Dol Guldur
Gli umani, giunti a Dale, vengono aiutati dagli Elfi di Thranduil, mentre questo si accinge ad attaccare la Montagna Solitaria. Legolas e Tauriel, dopo che a questa Kili confessa il suo amore, viaggiano verso Gundabad, fortezza degli orchi, per notare come Bolg, figlio di Azog, stia ammassando un esercito di suoi simili pronti ad attaccare la montagna ora che il drago è morto. Il duo torna indietro ad avvisare il padre, che però espelle Tauriel dal suo reame per avergli disobbedito (nel secondo film). Thorin, invece, che rifiuta di negoziare con Bard per dare alla città denaro sufficiente per permettere ai cittadini di ricostruirla, chiama i suoi cugini dalle Montagne Ferrose, capitanati da Dain II. Così, gli eserciti di uomini, nani ed elfi stanno per attaccarsi a vicenda, quando arriva Gandalf che invita Thranduil, Bard e Dain ad unirsi ed attaccare gli orchi di Azog che giusto in quel momento giungono dal nord. Così la battaglia imperversa, ed infine, con l’aiuto di Thorin, Bilbo, Legolas, Bard e Gandalf, le forze del bene trionfano ancora e Bilbo torna nella propria dimora nella Contea.

Thranduil (Lee Pace) trolla Bard e prende il comando in battaglia, finchè poi non gli passa la voglia..
La Battaglia dei Cinque Eserciti riesce a concludere in maniera piuttosto buona i fili narrativi aperti, anche se da forse troppa importanza ad alcuni e poca ad altri. LA questa di Gandalf, ad esempio, viene, secondo me, conclusa con troppa fretta, mentre la pazzia di Thorin si forma in maniera troppo improvvisa. Al contempo, scompare anche in maniera forse un pò forzata, ovvero quando al film fa comodo, e questo fa pensare un pò troppo alla frase “Deus Ex Machina” durante la visione del film.
Film che, nel complesso, è godibile, ma non in quanto incredibilmente epico e fantastico, ma in quanto ad alternanza epico e quasi parodico della sua epicità. PEr ogni momento Wow! c’è un’acrobazia al limite del possibile di Legolas, per ogni morte tragica, ce n’è una altrettanto stupida o priva di significato. Lo Hobbit, insomma, fa tante cose bene in questo film che – per fortuna – si estende per soli 140 minuti circa, ma ne fa altrettante in maniera non proprio adatta. La trama, ad esempio, è molto banale e per chi non ha visto i precedenti film, assolutamente priva di spessore. I personaggi non vengono dettagliati più di quanto non siano stati approfonditi nei precedenti cinque film, e per quanto splendano per antitesi personaggi come Thranduil e Dain, si viene anche di nuovo ad apprezzare l’ottima recitazione di Sir Ian McKellen nel ruolo di Gandalf, Sir Christopher Lee nel suo ruolo di Saruman e Martin Freeman nel suo ruolo – ridottissimo – di Bilbo Baggins. E il resto del cast, secondo me, è ad un solo gradino al di sotto di queste ottime performance.

Gandalf dopo aver rubato il bastone a Radagast...la scena però manca nel film. Aspettate la Extended Edition con 30 minuti extra.
Gli effetti speciali, che ve lo dico a fare, sono il massimo del massimo, e si vede come gli extra sei mesi anno che hanno avuto per lavorare su questo film siano stati sfruttati alla perfezione. Fuochi digitali, personaggi in CGI – forse troppi – ed effetti magici a destra e manca rendono questo Hobbit forse il più “fantastico” dei film ispirati alle storie di Tolkien. C’è chi si lamenterà, c’è chi lo amerà; personalmente, dopo il triangolo amoroso tra Kili e Tauriel e la stupiderrima battaglia tra nani e Smaug all’interno della Montagna Solitaria, non avevo più aspettative alte, ed in quanto tale, non sono stato deluso più di tanto.
Forse la colonna sonora poteva essere un pochino migliore, e davvero non mi spiego che fine ha fatto la splendida musica del primo dei tre film sullo Hobbit, ma ci sono comunque abbastanza temi belli, presi dal secondo film o dalla trilogia originale, che fanno da sfondo al tutto. In particolare il tema Feast of Starlight di Tauriel è riuscito benissimo. Forse l’unica cosa riuscita del personaggio, che personalmente avrei del tutto tolto dai film, anche se in questo film non rovina troppo l’esperienza.

Smaug - con la voce prestata da Benedict Cumberbatch - fa una piccola comparsa all'inizio del film
One Last Time recita il motto del film. E ci sono tanti motivi per cui questo è quanto di più adeguato Pete Jackson poteva scegliere come motto per The Battle of Five Armies. Ce ne sono talmente tanti di Last Time, che alla fine il film vale la pena di venire visto, anche per innamorarsi ancora una volta della bellezza in real life della Terra di Mezzo, degli Elfi, delle arti metallurgiche dei Nani e della forza degli umani. Dopo questo film, ovviamente, i fan chiederanno un’adazione cinematografica del Silmarillion, ma dubito questo avverrà mai, ed è giusto così. Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens, Dan Hannah, Richard Taylor e tutti gli attori dei film hanno fatto quello che dovevano per la Terra di Mezzo ed è giusto che ora dicano addio alla loro opera. Anche in quanto tale, forse, The Battle of Five Armies va visto per concludere questi 13 anni di fantasy Tolkieniano. Fatevi questo favore, non aspettatevi troppo dal film, ma fatevi questo favore… One Last Time.
Voto Personale: 7.5/10
PS. Mi è stato detto di dirvi che tra le scene migliori del film c’è quella in cui un gigantesco troll, con un casco di pietra a forma di martello, sfonda un muro di Dale per permettere agli orchi di entrare in città. Personalmente, il film ha fatto di meglio, ma lascio a voi il compito di scrivere, magari nei commenti, qual’era il vostro momento più bello o più ridicolo del film. Vi aspetto più sotto per un altro film con Martin Freeman.
Michael Bay Evil SIX
(A cura di Wise Yuri)
É difficile approcciare un titolo celeberrimo come Resident Evil 6 e cercare di dirvi qualcosa che anche il cane-mascotte di una qualsiasi testata di recensioni videoludiche non abbia detto.
Quindi farò il bravo, farò finta di essere il primo a recensirlo, e vi dirò cosa ne penso io, dopo aver giocato a fondo quello che comunque è il perfetto esempio di come bastardizzare un franchise contro ogni buon senso e ben coscienti della reazione negativa crescente dei fan. E farlo male.
Come solitamente si usa fare, partiamo dalla storia…. o quello che c’è attorno ai continui set-pieces di esplosioni od elicotteri che si schiantano su qualcosa. Ora, prima di criticare la trama di Resident Evil 6, voglio ricordare una cosa che spesso sembra venire dimenticata, ovvero che Resident Evil a livello di trame è sempre stato un b-movie horror anni ’80 , con storie che sono perfette da raccontare tra i banchi di scuola ai vostri amici, ma sono ridicole o semplicemente dozzinali nel complesso, pur con quel charm da b-movie tipico dei film horror in cui la serie affonda le radici (ed a sua volta la serie ha aiutato a rendere popolarissimo lo scenario di mostri e zombie causati da incidenti di laboratorio o malvagie organizzazioni che gli creano apposta).
Questo per dire che non è giusto aspettarsi la storia di un Silent Hill quando giocate ad un Resident Evil, perchè sapete a cosa andate incontro visto quanti cavolo di titoli ha la serie. Detto ciò, in qualche modo Resident Evil 6 riesce ad essere ancora più stupido e ridicolo nelle scene d’azione e nei filmati, molti l’hanno già fatto notare, ma sì, il tirannosauro zombie che si trasforma in mosca è STUPIDO e fa sembrare la lotta finale contro Wesker in Resident Evil 5 di una raffinatezza incredibile.
Ma probabilmente siete come me e giocate la serie… per il gameplay, oltre che per il design dei mostri, quindi parliamo di cosa è migliorato e cosa peggiorato da Resident Evil 5. Preparatevi che c’è molto di cui parlare, e versate un po’ di eggnog anche per me, già che ci siete.
Third Person EVIL
La maggiore flessibilità nelle meccaniche di shooting e movimento è molto gradita in teoria, ma non cambia davvero molto il gameplay (l’unico vero miglioramento è il potersi muovere E sparare, yuppi), e sebbene sia innegabile che possa tornare utile eccome poter scivolare in corsa (anche se questo non è Vanquish, magari) e muovervi una volta a terra – e cose del genere- , il più delle volte mi scordo che posso scivolare in corsa o sui tavoli perchè l’approccio normale usato nei precedenti Resident Evil basta ed avanza per il 70 % del gioco, potete dimenticarvi delle nuove opzioni anche troppo facilmente.
Come la barra Combat, che sono felice mi sia stata spiegata da un suggerimento durante i caricamenti, perchè manco avevo notato quei blocchi bianchi sotto la barra della vita, o meglio gli avevo visti ma non me ne curavo. A quanto pare servono a mò di stamina, una barra della stamina che non so a cosa serve davvero, visto che significa solo costringervi ad abusare un briciolo di meno degli attacchi fisici e finisher-mosse speciali. Elementi di gioco inseriti con la stessa logica che vi porta a mangiare qualcosa che non volevate davvero perchè altrimenti tra poco sarebbe immangiabile, o perchè sarebbe un peccato sprecarlo. Analogia purtroppo adeguata.
Ma purtroppo il level design in sé è peggiorato, in quanto è ancora più lineare e cinematico, e la Capcom ha ben deciso come “surrogato” a game design vero e proprio di mettere QTE ovunque, in quantità e frequenza folle, fuori da ogni logica o buon senso (e questo non è Asura’s Wrath, sia ben chiaro), ed il culmine è raggiunto in sezioni in cui dovete controllare una macchina o guidare un’areoplano, tutta roba che poteva essere fatta via filmato ma invece è presentata in un ridicole ed elaborate sequenze qte, è semplicemente patetico quanto questo gioco ne dipenda da questo escamotage, che copre tipo il 50 % del gameplay, o per meglio dire, di quello che fate. L’alternativa al gameplay sono setpieces alla Michael Bay che neanche soddisfano a quel livello di “esplosion-testosterone fest e merda che esplode, o vola in slow-mo”, di divertimento cafone e tamarro.
E quando non sono QTE, il tutto è così scriptato e lineare, che è onestamente imbarazzante.
E cose che sarebbe stato bello potenziare da RE 5 come l’elemento cooperativo o l’esplorazione/raccolta tesori sono “nerfate”, in quanto non potete neanche scambiare gli oggetti con il partner, ed invece di denaro ed armi, potete raccogliere oggetti e tesori che vi danno punti da abilità da spendere per attivare le varie skill equipaggiabili, niente “gun pimping” come in Re 5.
Queste abilità poi non sono nulla di chè, le tipiche “maggiore danno contro un tipo di nemico”, “minore rinculo”, “più munizioni per un’arma specifica”, nulla di speciale o veramente utile, e ne potete equipaggiare 3 per set, e mi sembra un po’ eccessivo darvi ben 8 set di abilità che potete cambiare dal menù in-game, ma grazie, credo. E parlando di armi, ora ha avete un inventario a finestra senza le limitazioni di spazio di RE 5, ma non potete né comprarle né potenziare nessuna, dovete trovarle nella campagna e poi le avrete per sempre, e va da sé che non potete scambiarvele con il partner, né ricevere da lui munizioni, che sarebbe anche utile.
Potete giocare anche qui in cooperativa online, ma non so davvero a che pro inserire le opzioni di matchmaking in stile tps cooperativo (tipo lo stile di gioco tra rilassato o competitivo, la regione, etc.) nei menù pre-partita quando poi la cooperativa si riduce a “premi O quando appare il prompt per aprire una porta con il partner” o “premi O per far salire il partner in un punto”. Wow.
Se giocate da soli potete dare ordini al compagno controllato dall’IA, ma non ne avrete mai bisogno perchè fortunamente l’IA non è uno zombi e vi salva il culo, è decente e fa il suo lavoro, e non si fa ammazzare o mettere in fin di vita, anzi, è semplicemente immortale, potete fregarvene in toto del bot IA tanto non morirà mai.
Una delle tante cose fastidiose è che per un titolo che chiaramente è un third person shooter, la quantità di munizioni che trovate è scarsa anche al livello di difficoltà standard, ed è irritante ritrovarsi a morire perchè i nemici non lasciano munizioni ma punti abilità quando vi servono davvero munizioni, a dir poco irritante durante boss fights (come quella già di per sé lunga ed un po’ irritante contro il boss finale della campagna di Chris). Non che renda il gioco difficile, perchè è facilino, ed il fatto che sia pieno di QTE o sezioni così scriptate non aiuta, per usare un eufemismo, un 50 % del titolo è in autopilota (come già detto), e nei rari casi in cui non abbiate capito di preciso dove andare (rari perchè quasi sempre gli scenari lasciano poco spazio per esplorare), oltre al normale indicatore di prossimità al prossimo obiettivo c’è la possibilità di farvi indicare con una freccia a schermo dove andare, quindi non c’è modo di perdersi.
C’è un sistema di copertura, ma anche questo é questionabile e macchinoso, in quanto oltre a dover avvicinarvi alla superficie dovete premere L1 ed X come se voleste fare la schivata abbassata mentre sparate, e senza lasciare andare L1, dovete usare la levetta analogica sinistra per sporgervi e poi usare R1 per sparare. Macchinoso senza dubbio, ed utile solo in specifiche occasioni, specialmente nella campagna di Chris che ha nemici infetti con armi da fuoco. E parlando di controlli, sebbene siano più fluidi, sono ancora basati su quelli di RE 4, antiquati ed un po più macchinosi del dovuto per un tps, erano più adatti quelli di ORC, forse l’unica cosa in cui ORC era meglio pensato, perché dover usare il sistema “premi L per imbracciare e tieni premuto per mirare e X per sparare” riduce la visuale del personaggio (e la telecamera come già detto é da survival horror, non da tps) e capire cosa cavolo vi spara aiuterebbe.
Ci sono alcuni nuovi mostri con un buon design, anche se sanno un po’ di amarcord (come quello che si divide in due per ricomporsi che sembra un parente dei regenerados di Re 4), e gli J’avo sono praticamente cugini delle Plagas di RE 4 e 5, con alcune nuove mutazioni, come un braccio enorme usato a mò di scudo, alcuni con gambe stile struzzo od insetto (che mi fanno venire fame più che paura), ed altri che mutano due volte, venendo avvolti da un bozzolo per trasformarsi pure in roba come il dinosauro con la “criniera” di Jurassic Park, sul serio. Il problema è che molti vanno giù più velocemente di prima, e quasi sempre potete pressarli con attacchi fisici e contestuali (come alcuni gratificanti in cui spaccare la testa di un infetto su un tavolo o muro o quello in cui togliete spine dalla schiena di un infetto gigante e le usate per trafiggere una specie di cuore che gli spunta sul collo, i design sono belli gore-osi ed in tono con quanto ci aspetta da Resident Evil), é difficile sentirsi minacciati specialmente quando avete sempre con voi tutto l’arsenale, e non credo migliori poi molto giocando a Difficile od a difficoltà superiori alla standard. Morirete comunque più del previsto, ma più che altro per fallire un QTE o situazioni in cui venite puniti anche troppo facilmente, e visto quanti ce ne sono, le occasioni di vedere la classica schermata “Sei Morto” sono tantissime.
E se potrebbe essere un po’ cattivo additare l’IA dei normali mostri (anche se alcune volte gli vedere vagare e passarvi oltre e poi più tardi “ripensarci” e tornare indietro ad attaccarvi, alcune volte mi ha fatto un po’ pena ucciderli e sono passato oltre senza attaccarli, ed in più di un caso potete semplicemente fregarvene e procedere alla prossima porta od obiettivo) non lo é nel caso degli infetti con armi da fuoco, che se usano copertura lo fanno in stile cartone animato Warner Bros, perché si accucciano ed appiattiscono a superfici, sì, ma il 99 % delle volte sono comunque scoperti in maniera evidente e sembrano più alla toilette che a coprirsi dal fuoco nemico.
Le boss battle non sono poi tanto meglio, facilotte e ricorrenti al sistema di QTE anche troppo (pure loro), l’unico fastidio é (pure qui) ritrovarsi facilmente senza munizioni presto e dover andarsele a cercare di continuo, o morire per aver fallito un QTE.
Tempo di parlare brevemente di ogni campagna, che dite?
Le Quattro Campagne Dell’Apocalisse
La campagna di Leon è ritenuta la migliore, non so perchè, l’ho trovata la peggiore del mucchio (con i QTE peggiori dell’intero gioco), non che le altre siano superlative di per sé, ma sicuramente la poca varietà di nemici (principalmente combattete zombi “vanilla”) non aiuta. Anche se l’inizio vi fa promettere bene e vi dà vibrazioni di RE 4, non fatevi illusioni, più action di così la serie non può diventare, e purtroppo neanche uno buono. E parlando di cose stupide, la campagna di Leon è quella in cui accade quella cosa idiota nota ai più, cioè un boss, dopo essersi trasformato in un cazzo di t-rex zombie/mutante si trasforma in una mosca gigante, è vero. Roba come questa fa sembrare la boss battle finale di RE 5 dignitosa al confronto, questo è stupido, senza ritorno o scusa anche per Resident Evil. IDIOZIA TOTALE.
Senza neanche toccare l’insipido personaggio della Harper che accompagna Leon, riassumibile in “flashback sul passato clichè” e personalità al sapore di truciolato, il (quasi) essere gelosa di Ada non conta come tratto della personalità quando è pure a malapena abbozzato, è un “partner manichino” perchè Leon deve avere un partner in missione. Idem per Simmons, il presunto nuovo supercattivo, non so se dovrebbe essere qualcuno dai precedenti titoli o no, ma non è per niente interessante. Idem per tutti i dialoghi della campagna di Leon (o del gioco intero, se per quello), con continui e davvero pessimi e deboli one liner, oltre a frasi stupide e basta o dimenticabile.
La campagna di Chris al contrario di quella di Leon ha più un tono da RE 5 con gli infetti che mutano gli arti se danneggiati, oltre ad usare armi da fuoco (non sempre però), ma non è molto meglio, anzi, il problema della telecamera e visuale è qui più prominente perchè rende difficile capire chi vi spara mentre state mirando. Onestamente anche se non è eccezionale mi sono divertito più con la campagna di Chris che con quella di Leon, anche se pure questa cerca di superare la precedente in ridicolo e puttanate da action movie di serie B, ed a sua volta è rilanciata da quella di Jake Muller su questo ambito, come se ci fosse una gara in atto.
Ok, la campagna di Jake. Chi è Jake? Ma il figlio di Wesker, ovviamente. La madre chi è? Chissenefotte, è importante perchè ha sviluppato anticorpi al Virus C nel proprio sangue, quindi è trattato come la salvezza da una crisi davvero mondiale, ma Jake è un mercenario ed è disposto a salvare il mondo donando il suo sangue….. dietro un faraonico compenso. Ad assicurarsi che la missione vada a buon fine è seguito e controllato da Sherry Birkins, che è cresciuta parecchio da RE 2. La particolarità di questa campagna risiede nel fatto che venite seguiti di continuo da una B.O.W. di nome Ustanak con obiettivo Jake, ovvero una replica di Nemesis solo con un “braccio svizzero” (ed un taglio di capelli pseudo-grunge) a cui attacca artigli e varie altre armi, ovviamente per ricordare al giocatore titoli della serie migliori nella speranza di carezzare la nostalgia.
Il che significa ancor più sezioni in cui dovete correre per scappare da Nem-Ustanak, ed alcune minori aggiunte, come Jake che è più forte negli attacchi fisici e può selezionare “attacchi fisici” – come un’arma – per prodursi in cariche o colpi speciali che davvero sono simili a quelli di Wesker ( non a sorpresa) e Jake può usare dei pali a mò di Prince Of Persia per saltare oltre ostacoli o burroni, ma è tutto automatizzato, premete X ed è fatto. Detto questo, forse è la campagna con più varietà, e la maggiore destrezza nel combattimento corpo a corpo di Jake è gradita, oserei dire mi è piaciuta più di quella di Chris, non vuol dire molto, comunque. Poco vuol “dire molto” in questo gioco.
E se vi aspettate di sapere da dove cavolo arriva “Son of Wesker” qui, beh, è spiegato in una sola battuta che “papà ci ha abbandonato”; che sia il figlio di Wesker ha senso per come è impostata la trama ma è così contrito e forzato avere “Wesker Jr.” senza un solido appiglio narrativo, non c’è manco un flashback con Jake e Albert, qualcosa. Jake di per sé è un po’ il tipico “stronzicello” ma non è una completa merda, è meglio della Harper, il legame/parallelo tra Shelly e Jake che vogliono creare non è orribile ma non molto profondo o valido a livello di caratterizzazione ed emozionale. In ogni caso, per quanto un po’ smargiasso, è il personaggio più simpatetico di RE 6 in toto, onestamente. Forse sarebbe stato meglio fare una sola buona campagna su di lui.
La campagna di Ada andava sbloccata finendo prima le altre 3, ma con un aggiornamento software è stata resa giocabile fin da subito come le altre, e se vi aspettate che vi spieghi meglio il perchè di cosa cavolo c’entra lei nella storia, a dare una motivazione al tutto, beh, purtroppo sì, scoprite il motivo degli eventi del gioco e li vivete molti di “lato” nei panni di Ada che segue tutto da vicino, incrociandosi con quelli delle altre campagne, giusto per riciclarle un po’. E sì, è incredibile come questa riesce a superare in stupidità tutte le altre combinate, ma ci riesce.
La campagna di per sé inizia quasi bene, e senza dubbio apprezzo la varietà, ma presto vi chiederete perchè cavolo la campagna di Ada abbia sezioni che vi cerchino di fare a giocare maniera stealth, sì, stealth in un tps con questi controlli e tutte le cose descritte sopra. L’unico momento in cui siete forzati a giocare così è proprio all’inizio , forzandovi di fatto a compiere finisher furtive alle guardie, dire che è forzato su un impianto di gioco davvero non pensato per qualcosa del genere è dire poco, e se venite scoperti tanto vale ricaricare il checkpoint, perchè in tal caso spunteranni nemici dal cazzo di nulla ad orde ed in corridoi stretti come e morirete più o meno velocemente. Non potete neanche vedere i coni visivi dei nemici, non avete nulla di pensato per questo tipo di gameplay e diventa fastidioso presto visto quanto antitetico a tutto il resto del gioco.
E ci sono sezioni simili più avanti, ma nulla che non possiate ignorare e procedere normalmente sparando ai nemici o passando oltre stavolta. Fantastico. Ci sono anche un paio di puzzle da risolvere, puzzle veri e propri, che non sono male, e sono la cosa che più si avvicina ai vecchi RE in tutto il gioco, e comunque la campagna di Ada di per sé con la scusa della storia convergente ricicla parecchie sezioni dalle altre campagne, giusto perchè sì.
Ada ha tra le armi la sua tipica balestra ed il rampino, ma ovviamente implementare quest’ultimo come strumento vero e proprio sarebbe stato troppo… non svogliato, e quindi si riduce ad un altro “premi X quando appare l’icona per usarlo ed arrivare in quella zona in maniera autopilotata”.
RESIDENT PLOT?
La storia complessiva è comunque un guazzabuglio con poco capo e poca coda, con campagne che si intersecano ma zero focus su qualcosa di chiaro, a parte il fatto che c’è una Neo Umbrella ed un Virus C, ed Ada c’entra qualcosa perchè vuole distruggere il mondo infettandolo e lasciando che una creatura speciale lo regni, cazzate da cattivo di serie B.. Un minestrone senza chiara direzione, ed anche alla fine, dopo aver giocato tutte le campagne, non ha un vero senso od è assolutamente ridicolo e stupido, ancor più in quanto si spalma su ben 4 campagne e cerca di essere pure epico facendone una questione globale (motivo per farvi fare un giro in europa dell’est, cina, ed altri posti assurdi come un laboratorio gigantesco subacqueo) della solita merda di virus, infezioni e mostri.
Di sicuro non manca il contenuto, visto che ognuna delle 4 campagne richiede 5/6 ore per essere completata, ma la qualità complessiva è mediocre alla meglio, nel tentativo di fare contenti tutti i fan non ne hanno fatto felice nessuno… a meno quelli che prima hanno giocato il peggiore Operation Raccoon City. Anche i collezionabili e gli extra in generale sono stati deponziati: ci sono sì i medaglioni blu da colpire per sbloccare modellini, ma sono spesso nascosti dietro un dito, e poi basta (gli scrigni che non sono indicati subito con un simbolo di un’arma e vi danno armi nuove quasi sempre contengono solo punti abilità, sta minchia). Anche la classica modalità Mercenari sembra essere al minimo sindacale; sì, la mobilità maggiore è gradita anche qui, ovviamente, ma ci sono solo 3 livelli in cui giocare (2 da sbloccare completando le campagne di Chris e Jake), e solo 5 personaggi giocabili (Ada fa sbloccata finendo la sua campagna), punto.
Ed in generale c’è pochissimo anche a livello di extra, nel gioco base c’è anche la nuova modalità Caccia All’Uomo, che vi chiede di connettervi online per poter entrare nelle partite di altri come mostro, ma è tutta qui, ed a meno che non vi capiti di controllare un mostro decente, verrete ammazzati molto presto. Anche se ora non pesano 134 kb l’uno (mostrando quindi chiaramente che erano già sul disco e pagate per sbloccare la chiave d’accesso) non è che cambi davvero il discorso DLC (li hanno solo tagliati via dal disco meglio, o qualcosa di simile), ci sono ben 4 modalità extra e mappe per Mercenari che secondo me potevano benissimo essere sul disco di gioco (le mappe per mercenari “extra” sono tutte di location presenti nel gioco base,per l’amor del cristo), visto quanto poco c’è a livello di roba che non siano le campagne. La moderna tecnica “vendita videogame stile IKEA”, anzi, no, perchè all’IKEA compri la roba e te la devi montare da te, ma le cassettiere non necessitano di comprare “legno aggiuntivo” per funzionare.
La cosa davvero incredibile è che su carta questo dovrebbe essere un gioco migliore del 5 anche solo per la maggiore mobilità e controlli più adatti al genere, ma onestamente anche preso per quello che è (lasciando a lato anche i dovuti paragoni con il resto della serie), è veramente meh, blando, giocabile ma blando e poco divertente, ed è davvero simbolico dell’enorme crisi che ha colpito la Capcom ed altre nomi storici giapponesi, che nel nuovo mercato si sono sentite perse e si sono cercate di adeguare imitando le software house occidentali, con risultati non sempre brutti ma spesso stranianti e che mostrano di voler piacere disperamente ai giocatori abituati a titoli di stampo occidentale, insicure della propria identità.
Ma perlomeno è bello da vedere? Nì. Il colpo d’occhio è decisamente buono e la grafica globalmente è buona, ma non quanto sarebbe giusto aspettarsi da una release di tardo 2012, alcune texture sui personaggi (tipo i capelli) ed alcune degli scenari viste da vicino non sono chissà cosa, ed alcune sparute sono un po’ datate o granulose. Non molto altro da dire, onestamente mi aspettavo un salto maggiore rispetto a RE 5, ma non starò a fare le pulci visti i più grossi problemi trattati sopra. Il sonoro è ok, le musiche sono adeguate ma nulla di eccezionale o totalmente mediocre, adeguate, appunto, ed il doppiaggio italiano è decente ma non eccelso da dire che lo amo (lasciando perdere che è difficile abituarsi a questo dopo anni di dubbing inglese e le tipiche voci), di sicuro non aiutano i dialoghi assolutamente atroci, con un sacco di one-liner da B-movie che fanno davvero schifo e sono fiacchissimi, pessimi a dir poco, ad un certo punto ho incominciato a saltare filmati in tronco (meno quelli che sembravano poter rivelare qualcosa di nuovo), visto che se non sono brutti dialoghi sono i già citati setpieces stratamarri di Michael Bay-ana memoria, che davvero non soddisfano neanche a livello cinematico o di esperienza semplice e primitiva, anzi, vi darà noia non poter saltare in toto l’ennesimo “filmato interattivo” premendo Start o Select.
Commento Finale
Resident Evil 6 è un disastro, un guazzabuglio incredibile, che nonostante non sia guano vero e proprio, non è neanche mediocre, ci si avvicina ma sono troppi i problemi presenti qui. In primis i QTE portati all’esasperazione più allucinante possibile (e quasi mai soddisfacenti), in quanto sono ovunque e pressapoco compongono il 50 % del gioco, come surrogato a vero gameplay, poi una telecamera da survival horror che limita la vostra visione in quello che è un third person shooter vero e proprio, e le nuove opzioni migliorano sì la mobilità, ma raramente vi troverete ad usarle o ne avrete bisogno, e cose che in qualsiasi altro tps sarebbero facili ed intuitive da compiere sono piagate da controlli antiquati e macchinosi. Questo assieme a tanti “piccoli” problemi, come la quasi continua scarsità di munizioni, ed ad un grosso depotenziamento dell’elemento cooperativo e personalizzabile di RE 5, “scambiato” con un generico sistema di abilità equipaggiabili che poteva anche non esserci.
Senza dimenticare la scelta di fare 4 campagne indipendenti con storie intersecanti nel tentativo di far contenti tutti (emulando toni e situazioni dagli altri capitoli della serie), con risultato 20 e passa ora di contenuto che va dal sub-mediocre al quasi decente, campagne che sembrano fare a continua gara , a superarsi in ridicolo – riuscendoci e facilmente superando il ridicolo finale di Resident Evil 5 -, e fanno desiderare che invece si fossero dedicati ad una sola campagna fatta bene. E parlando del contenuto extra, non sperate in chissàcosa, perchè a parte le campagne, c’è solo la vecchia modalità Mercenari con BEN 3 mappe e 5 personaggi, ed una nuova insulsa. Il resto del gioco e delle mappe è DLC a pagamento che – anche se non è bloccato e già sul disco – è stato chiaramente tagliato perchè la Capcom non poteva non metterlo su per il retto al fanbase, passando dallo sfintere per raggiungergli il portafogli.
Anche cercando di trarre il meglio dal gioco, a strizzare quel di buono che c’è, Resident Evil 6 non è manco mediocre, e merita in pieno le infamie tirategli addosso da fan della serie e giocatori in generale, è un disastro ed un perfetto esempio di cosa succede quando uno sviluppatore giapponese prova ad imitare modelli occidentali senza capire veramente come funzionano, e limitandosi ad aggiungere alcune caratteristiche dei third person shooter moderni su un impianto che è antiquato (pressapoco è ancora quello di RE 4).
Non consigliato, per niente, solo i fan sfegatati dalla serie vorranno comunque provarlo e saranno volenterosi di spremere quel poco di decente che c’è nel gioco, non provo neanche a dissuadervi in questo caso (so già che non ci riuscirei), ma vi consiglio di prenderlo quando lo trovate a 5, massimo 10 euro, non di più. Se proprio dovete.
Resident Evil 7 o comunque si chiamerà dovrà essere ottimo se la Capcom ha intenzione di continuare la serie regolare (visto che questo titolo è quello della serie regolare ad avere venduto di meno, in un raro caso di meritocrazia, o qualcosa di simile), nel frattempo vi consiglio di giocare Resident Evil Revelations se non l’avete già fatto, è molto, molto, molto meglio, e di tenere d’occhio Resident Evil Revelations 2. Le uniche cose carine che posso dire di Resident Evil 6 è che il design dei mostri è ganzo, ed è meglio di Operation Raccoon City…..sì, tutto qui.
Voto finale: 4.5 su 10
Predestination
(A cura di Alteridan)
Esistono film che già sai prima di guardarli che sono delle porcate epocali, però li guardi lo stesso per i motivi più disparati: feticismo per le pellicole trash, farsi due risate, buttare un’ora e mezza della propria vita, e così via. Poi ci sono quei film che pensi siano delle porcate, ma che poi si rivelano buoni passatempo, oppure, in casi molto rari, degli ottimi film.
È questo il caso di Predestination: non ricordo come mi sia imbattuto nel trailer di questo film, mi ha incuriosito perché sembrava avere tutte le carte in regola per essere un capolavoro di sterco di piccione, così gli ho dato una chance e… Beh, vi basti sapere che mi ha positivamente colpito. E anche molto.

L’agente si prepara per l’ultima missione.
Predestination è un film australiano, e già qui in molti potrebbero iniziare a chiedersi “Quando mai gli australiani hanno fatto bei film?”: qualcuno ce n’è, ma è indubbio che le loro produzioni siano prevalentemente film di serie Z, di cui non augurerei la visione nemmeno al mio peggior nemico. È scritto e diretto dai fratelli Michael e Peter Spierig, quelli del mediocre Daybreakers, se siete tra i fortunati che lo hanno visto. A questo punto concorderete con me quando dico che le premesse per una trashata immonda ci siano tutte.
Poi però ho premuto il tasto play.
Il protagonista del film è un agente del Temporal Bureau, un’organizzazione che si occupa di prevenzione di atti terroristici tramite il viaggio nel tempo, fermando i criminali prima che possano attuare i loro piani. Il protagonista, che inizialmente non ha un nome, è alla ricerca del cosiddetto “Fizzle Bomber”, un attentatore che nel corso degli anni è riuscito sempre a sfuggire agli agenti temporali, eliminando centinaia di persone con bombe ben piazzate. Durante una missione, il nostro agente si lascerà sfuggire il bombarolo, ma riuscirà a fermare un attacco esplosivo, al prezzo di ustionanrsi gravemente la faccia nell’esplosione del detonatore. Si risveglierà nel quartier generale del Bureau, dove è stato sottoposto a diversi interventi di chirurgia estetica per ricostruire il volto; una volta guarito verrà inviato nuovamente in missione, l’ultima della sua carriera.
È qui che il film cambia radicalmente: a questo punto vi sareste aspettati un action pieno di salti temporali, sparatorie, e esplosioni à la Michael Bay. E invece no, l’agente viene inviato negli anni ’70 per lavorare sotto copertura come barista, durante il turno di notte incontra John: con l’inganno, il protagonista riesce a farsi raccontare la storia dell’avventore, scoprendo che John in realtà è nato come Jane, ma poco più che adolescente, a causa di un evento che non intendo spoilerare, ha dovuto cambiare sesso.

Sarah Snook è irriconoscibile.
Mi rendo conto che la trama, messa così, pare ingarbugliata, ma in realtà… No niente, è effettivamente ingarbugliata. Per una buona metà della pellicola seguiremo la storia di Jane/John, dall’infanzia vissuta in orfanotrofio, fino all’età adulta, passando per la giovinezza quando venne addestrata da un un’organizzazione chiamata Space Corps. La storia di Jane/John è estremamente interessante, e quei circa quaranta minuti scivolano via senza mai appesantire lo spettatore, iniziando a intassellare alcuni dei pezzi di un mosaico che verrà svelato nella sua interezza solamente negli ultimi minuti del film. Un mosaico che spesso sembrerà una matassa, una di quelle difficili da sbrogliare: nella seconda metà della pellicola, però, verrà data allo spettatore una chiave di lettura, una nuova prospettiva da cui osservare e decifrare il puzzle.

Jane durante il colloquio per entrare nella Space Corps.
Predestination è un film con un’ottima regia, che sa su quali aspetti far soffermare e riflettere lo spettatore. Nonostante un cast tutt’altro che di prima scelta, è memorabile la performance di Sarah Snook, che interpreta sia Jane che John, opportunamente mascherata dal trucco, e del protagonista Ethan Hawke. Da notare, inoltre, che la sceneggiatura non è originale: è infatti tratta dal racconto All You Zombies di Robert A. Heinlein, tuttavia, non avendo letto questa storia, non so dirvi quanto vi sia fedele.
In conclusione, se vi piacciono queste opere fantascientifiche farcite con salti temporali e paradossi, e non vi dispiace assistere a una storia introspettiva per una buona metà della durata totale del film, allora date un’opportunità a Predestination. Vi assicuro che alla fine vi esploderà la testa.
On The Rain-Slick Precipice of Darkness Episode 1 & 2
(A cura di CapRichard)
Piattaforma: PC(giocata),XBLA,PSN Data di uscita: 21 maggio e 19 ottobre 2008
Penny Arcade è un webcomics , ovvero uno di quei fumetti leggibili su internet, a tema videoludico ad opera di Jerry Holkins e Mike Krahulik. Ha raggiunto una popolarità molto elevata e questo ha permesso ai creatori la creazione dell’evento PAX, divenuta una delle convenzioni annuali sul gaming più importanti.
I due uomini dietro ai fumetti hanno dimostrato nel tempo di avere un humor tutto loro quasi irreplicabile, ma sono anche in grado di scrivere pezzi più drammatici di una emotività toccante.
Decisero quindi di entrare in partnership con Hothead games per dare forma di videogioco ad una loro storia “On the Rain-Slick Precipice of Darkness”. Doveva essere una quadrilogia, ma fu abbandonata dopo i primi due capitoli… per poi ritornare sotto un nuovo sviluppatore.
Qui recensiremo i primi due capitoli un mix di gioco di ruolo con combattimento a turni ed avventura grafica.
Gabe & Tycho e……te
Il gioco inizia con la lettura da parte del narratore del primo verso di un poema, il Quartetto del Crepuscolo dell’Uomo, che già indica l’intenzione di essere una quadrilogia. Il giocatore crea un proprio avatar e l’avventura inizia. La propria casa viene distrutta da un robottone gigantesco e l’incontro fortuito con Gabe e Thyco, le controparti fumettistiche dei creatori di Penny Arcade, porterà il giocatore a vivere un’avventura surreale ed emozionante. Thyco è uno studente di arti apocalittiche che ha aperto un’agenzia investigativa, mentre Gabe è uno che tira pugni a tutto ed è il braccio violento di Tycho.
Avrete dei dialoghi con i quali potrete esprimere le vostre opinioni nei vari dialoghi, ma non esisteranno scelte. La storia procederà sempre nello stesso verso. L’impressione è proprio quella che voi siete lì per assistere all’avventura e non per guidarla voi stessi.
Il primo episodio vi vedrà indagare sul super robottone che ha distrutto casa vostra, ma nel farlo vi imbatterete in un culto di mimi che venera Yog Sethis, il dio silente e velocemente l’attenzione si sposta su questi ultimi.
Nel secondo episodio, la vostra casa, costruita con tanta fatica verrà ridistrutta e questa volta si regoleranno i conti con il robottone gigante in un intreccio complesso che vi porterà in un quartiere ricchissimo, in un manicomio ed alla fiera mondiale del 1922.
Il secondo episodio si conclude con la lettura del terzo verso del poema, lasciando presagire il continuo della vicenda….
La narrativa è assolutamente geniale, con i dialoghi che variano dal demente all’assurdo. La stupidità colossale di Gabe vi strapperà sorrisi quasi sempre e la complessità dei ragionamenti di Tycho è fuori di testa. Anche tutti gli NPC che incontrerete sono ugualmente strambi.
La personalità che i due giochi sprizzano fuori è fuori scala ed è una delle esperienze narrative nel mondo videoludico più uniche. Si potrebbe dire davvero tanto su tanti momenti del gioco, ma fare spoiler in un gioco così imprevedibile è davvero un delitto.
Premi spazio per difenderti!
Come detto in apertura, il gioco è un misto di un gioco di ruolo e un’avventura grafica. La parte predominante è la seconda, con i vostri personaggi che si muoveranno nelle ambientazioni in 3 dimensioni, andando ad interagire con NPC ed a scovare oggetti per proseguire nella trama. Quando si inizia un dialogo o parte una cinematica si passa ad una visuale a fumetto, con i protagonisti tutti su schermo nella loro controparte 2D, che parlano attraverso i classici ballon fumettistici. Le ambientazioni non sono tantissime ed il backtracking è di casa, come nella maggior parte delle avventure grafiche ed anche il gameplay di base si basa tutto sullo scovare oggetti e portarli alle persone giuste per avanzare la storia.
A spezzare il ritmo ci pensano i combattimenti, che sono realizzati a turni in stile final fantasy, con una pseudo barra ATB ma hanno delle meccaniche in tempo reale per aumentare la dinamicità ed il coinvolgimento. Premendo oppurtuni tasti al momento giusto si seguiranno mosse speciali o si ridurranno i danni subiti.
I combattimenti possono rivelarsi più tattici di quel che sembra. Non sono mai difficilissimi, ma bisogna prestare attenzione per non venire sopraffatti. Il sistema dell’ATB anche è ingegnoso. Invece di avere tutti i comandi a disposizione appena si carica una barra, avrete dei tempi differenti per oggetti (i primi a caricarsi), attacchi normali e speciali. Spesso aspettare qualche secondo in più può garantirvi la vittoria come la sconfitta.
Le armi dei protagonisti possono essere potenziare raccogliendo delle parti robotiche sparse per i livelli di gioco. Ah, si il vostro protagonista combatte con un rastrello da giardino. Perché vi chiederete? Ed io vi faccio la controdomanda: perché no?
I nemici che affronterete sono folli oltre fuori misura. Nel primo episodio combattere contro i mimi è una delle esperienze più sconvolgenti del videogaming che io abbia mai affrontato. Essi mimeranno i loro attacchi e vi faranno male lo stesso. Non so se piangere per la ridicolsità o per la genialità di tale cosa.
Nel secondo episodio ho trovato i vari nemici meno ispirati di quelli del primo episodio, ma sono tutti ugualmente folli e diversi.
Ma è un gioco od un fumetto?
Lo stile grafico è fenomenale…. se si considera la parte 2D, virtualmente indistinguibile da un fumetto di Penny Arcade. Purtroppo la parte 3D è abbastanza grezza. Cerca di essere simile al fumetto per stile e design, ma non è proprio il massimo. Riesce però a trasmettere il carisma dei personaggi in modo adeguato. Combattere contro i Fruit Fucker e vederli muovere i fianchi per….. si insomma, per bombare, è davvero divertente.
Anche il comparto audio è strambo per certi versi con arrangiamenti che richiamano l’atmosfera senza senso.
Il vero problema di questi due episodi è che sono tutto sommato corti e che il ritmo di gioco in alcuni momenti crolla vertiginosamente. Continuerete a giocare solo per l’ottima storia e personaggi e per vedere cosa si cela nella prossima ambientazione.
Una coppia di giochi da recuperare sotto i saldi di steam, che vale tantissimo per l’humor e la storia, un po’ meno per tutto il resto.
Voto : 7/10
Love Actually
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
La mia ragazza, per Natale, ha deciso di farmi vedere quello che, secondo lei, è il perfetto film romantico natalizio; casualmente era anche un film che da tempo volevo vedermi, semplicemente per il cast eccezionale che lo compone. Senza dilungarci ulteriormente (avete letto la mia recensione dello Hobbit, no?) eccoci che parliamo di Love Actually. =)
Invece di essere la storia di un paio di persone, Love Actually a dire il vero descrive diverse vicende parallele di persone in qualche modo interconnesse intorno alle feste natalizie. Le trame sono in totale una scarsa decina; le descrivo in breve qui sotto.
- Billy è un vecchio cantante rock che tenta di uscire dalla sua miseria con una nuova versione di “Love is all around you”. Lui promette che se la sua canzone scalerà le vendite di natale per piazzarsi prima canzone più vendita natalizia, si spoglierà in diretta durante l’esibizione della canzone. Inutile dire che questo inevitabilmente accade e Billy è costrretto ad eseguire. A Natale avvenuto, Billy torna dal suo manager Joe, decidendo di festeggiare il natale con lui piuttosto che da Elton John.
- Mark è il migliore amico di Peter, ma è al contempo follemente innamorato di Juliet, la nuova moglie di Peter. Juliet pensa che Mark sia semplicemente arrabbiato con lei per essersi messa tra i due, ma quando vede il video del matrimonio fatto da lui si rende conto dei sentimenti del migliore amico del marito. Alla fine Mark si confessa a lei la notte di Natale, sperando così di riuscire ad andare oltre nella sua vita…
Billy Mack tenta di scalare le classifiche di vendita, anche con l'aiuto di queste donzelle nel suo video musicale.
- Jamie è uno scrittore amico di Juliet e Peter. Mentre lui è al matrimonio, la moglie lo tradisce col fratello. Distrutto, Jamie va in francia per scrivere un libro, e lì incontra Aurelia, sua donna delle pulizie, che parla solo portoghese (mentre lui parla solo inglese). Tra i due nasce una tenera storia d’amore incompreso, interrotta quando lui per Natale torna in inghilterra. Jamie impara il portoghese e viaggia in portogallo per dichiarare il suo amore a lei, che prontamente, in inglese, gli risponde di sì alla sua proposta di matrimonio.
- Harry è il dirigente di un’azienda di design; Mia è la sua segretaria, che ci prova in maniera spudorata col capo. Quando questo, dopo la festa di Natale, cede alle sue lusinghe e le copra un gioiello a forma di cuore, viene scoperto dalla moglie, Karen, che per quanto una donna molto indaffarata e fredda, sembra essere una moglie devota e fedele. Harry non sa come comportarsi con lei a Natale, ed anche in seguito i due faticano a riavvicinarsi, pur rimanendo insieme per i loro due figli.
Mia ci prova in tutti i modi con Harry..
- Sarah, che lavora nello studio di Harry, è innamorata da anni di Karl, il leader grafico dello studio. I due, durante la festa di natale della ditta, finiscono a letto, ma Sarah, che viene plagiata da telefonate da parte di suo fratello ricoverato in un istituto per malati psichici, non riesce a mettere Karl davanti al fratello Michael. Sarah finisce di spendere il suo natale col fratello malato e non con Karl, di cui continua ad essere tanto innamorata..
- John e Judy sono una coppia di attori porno. I due si incontrano su un set, dove, pur nudi, i due non riescono a spizzicare una parola. Dopo innumerevoli tentativi, John chiede a Judy di uscire assieme, e Judy accetta. I due finiscono per sposarsi un mese dopo natale.
John e Judy si conoscono così...questo non vuol dire che i due non siano incredibilmente timidi..
- Daniel, amico di Karen, ha appena perso la moglie, Joanna. Suo figlio, Sam, invece è terribilmente innamorato di una sua compagna di scuola, anche lei di nome Joanna. Daniel convince Sam ad imparare a suonare la batteria per entrare nell’ensemble di Joanna, che canterà durante una recita di natale a fine anno. Sam riesce, ma non ha il tempo di confessare il suo giovane amore alla ragazza, che parte per l’america. Daniel, però, parte con Sam verso l’aereoporto e permette al giovane di raggiungere, oltrepassando la sicurezza, la ragazza che alla sua confessione le da un bacio sulla guancia. In quell’occasione, inoltre, Daniel incontra una donna di nome Carol, di cui si innamora.
- David, fratello maggiore di Karen, è appena stato eletto Primo Ministro inglese. Alla 10 di Downing Street incontra Natalie, una delle sue segretarie, e se ne invaghisce. Quando, durante una visita del Presidente degli Stati Uniti, scopre che questo flirta con lei, David inasprisce le sue politiche contro gli Stati Uniti e fa sì che Natalie lavori altrove, e non più in suo diretto contatto. In una cartolina di Natale, però, Natalie confessa il suo amore per lui, e David cerca la sua casa per tutta Londra, venendovi poi indirizzato da Mia, che è la vicina di casa di Natalie. I due tentano di tenere segreto il loro incontro durante una recita dei figli di Karen ed Harry e durante il pezzo musicale di Sam e Joanna, ma giusto quando i due si scambiano il primo bacio, viene alzato il sipario e la loro relazione diventa ufficialissima.
Tra David e Natalie è subito amore, ma diverse cose si frappongono tra i due...
- Colin è un latin lover britannico che si lamenta della frigidezza delle donne inglesi. Tony, suo amico e regista dei film porno in cui sono protagonisti John e Judy, gli assicura che il problema non sono le donne inglesi, ma lui. Colin lo sfida, e parte per l’america, deciso a portarsi a letto almeno dieci donne americane prese nel primo bar scelto casualmente. Colin straordinariamente riesce nel suo piano e dopo una notte spesa con quattro donne assieme, torna in inghilterra con la sua prediletta e sua sorella, che prontamente ci prova con Tony.
- Rufus, un gioielliere, è un uomo incredibilmente meticoloso. E’ la sua lentezza che fa sì che Karen scopre che Harry ha comprato un gioiello, che poi lei non riceve; tuttavia è anche grazie a Rufus che Sam riesce a scappare dalla sicurezza e confessare a Joanna il suo amore.
Alla fine, i protagonisti si ritrovano, casualmente, tutti all’aereoporto di Heathrow, alcuni che si salutano, altri che si ignorano, ma tutti felici di aver passato un felice (o meno) Natale con le persone che, alla fine, amano.

Mark confessa il suo amore a Juliet in questo modo...
Love Actually era uno di quei film che da tempo desideravo vedere, come detto in apertura. Avevo visto sue scene in diversi video natalizi su YouTube, ed il cast stellare che lo compone era un’altra di quelle tentazioni che hanno da tempo fatto salivare la mia bocca aspettando il momento di poterlo, finalmente, vedere. Casualmente, è anche uno dei film natalizi preferiti della mia bionda, quindi…
Il film, come descritto, è una collezione di racconti natalizi, che purtroppo, per quanti carini, sono molto pieni di clichè e poco approfonditi. I singoli personaggi ripercorrono un pò i stereotipi o antetipi classici del cinema. Daniel (Liam Neeson) è un padre di famiglia distrutto dal dolore, ma che fa di tutto per aiutare il figlio a confessare il suo amore. Jamie (Colin Firth) è il classico inglese incapace di capire la differenza tra francese, spagnolo, italiano e portoghese, timido, impacciato ma proprio per questo amabile. Harry (Alan Rickman) è il manager che si ritrova in una situazione a lui nuova per via del potere del lavoro, in cui all’improvviso una giovane tentazione vuole conquistare il suo cuore impegnato in matrimonio con Karen (Emma Thompson). John (Martin Freeman) è un attore timido, che però per lavoro si trova ad essere nudo con la sua co-protagonista Judy (Joanna Page). David (Hugh Grant), il Primo Ministro inglese, è il belloccio che non sa come comportarsi con le donne, per quanto sia perfettamente a suo agio con chiunque altro, anche alte carico di stato. Juliet (Keira Knightley) è la ragazza contesa da due migliori amici, con Mark (Andrew Lincoln) che fa la parte del bello non selezionato col cuore romantico, che per non far capire il suo amore si comporta in maniera ostile. Un calderone di clichè, come già detto, che però in qualche modo attinge alla realtà, dopotutto ognuno di noi è un mix di diversi stereotipi condensati in un’unica persona. In qualche modo, quindi, il film, pur essendo così irreale, rispecchia la realtà. Anche il modo in cui le storie si concludono, alla fine rispecchiano la realtà: non tutte le storie finiscono bene, Sarah e Karl non hanno la loro storia d’amore, Harry e Karen non si rappacificano del tutto, Sam e Joanna non diventano una coppia (anche se la tendenza c’è).

Daniel fa di tutto per vedere felice Sam
A fare un pochino da eccezione sono le storie di Rufus e di Billy. Rufus (Rowan “Mr. Bean” Atkinson) è un gioielliere che compare in due scene del film, per mettere nei guai Harry una volta, e per aiutare Sam a raggiungere Joanna la seconda volta (in maniera involontaria, perchè semplicemente ostacola la visuale delle guardie). Il suo cameo però è ampiamente gradito e fa scappare qualche risatina.
Billy (Bill Nighy), invece, ha un tipo di Natale un pò diverso dagli altri (dai quali è quasi del tutto sconnesso); lui parla sempre male del suo manager Joe, ma alla fine, quando il suo singolo scala ogni classifica di vendita immaginabile, decide che il loro rapporto di amicizia-non sopportazione gli è più caro di ogni festa natalizia glamour che può ottenere.
Così, però, è rappresentata anche quella fetta della popolazione che magari non spende il natale con i propri cari, la propria ragazza, la propria famiglia, ma con le persone di lavoro, con le quali magari si finisce di spendere più tempo di quanto non si voglia e alle quali ci si affeziona comunque molto.

La storia tra Jamie e Aurelia finisce in maniera molto romantica...
Il cast, come avete notato, è spoettacolare, e così anche la recitazione è su livelli elevatissimi. Anche la regia è di ottima qualità, anche se ovviamente alcune storie sono state privilegiate rispetto ad altre, e per questo il ritmo del film è un pò scostante. Quello che mi sento di dire riguardo al film, però, è che per seguire tutti questi personaggi, ovviamente la profondità della trama è stata sacrificata tantissimo. Le trame sono corti e per lo più banali, i personaggi sono semplici e non vengono approfonditi in quasi nessun caso, e così il film, potenzialmente molto bello e molto dolce, finisce per essere solo una collezione di storie vagamente interessanti. Non che ci si annoia durante il film, affatto, ma a fine film si sente la mancanza di qualcosa, ovvero la non mancanza di essersi emotivamente attaccati ai personaggi, che invece con altri film di questo tipo, se ben fatti, solitamente, accade. Vorrete sapere di più su David, su Daniel, su Harry e Karen, su Mia, ma…il film finisce con un abbraccio di gruppo a Heathrow in cui viene celebrato l’amore tra le persone, e basta.
Ma forse è anche questo uno spunto del film. Non c’è sempre bisogno di sapere tutto di una persona per volerle bene. A volte basta un piccolo spioncino nella vita degli altri per apprezzarle. Da questo punto di vista, forse, il film è migliore di quanto non sembri a prima visione.
Buon Natale! =)
Voto Personale: 7/10
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Grazie ancora per averci seguito tutto l’anno, ci rileggiamo su queste pagine l’11 gennaio, nel frattempo buone feste!
11 gennaio 2015 alle 16:39
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