Ehhh…quante cose che ci sarebbero da raccontare in questa Intro del primo Numero di questo squillante 2015 del Weakly Hobbyt! Ma, ahimè!, il tempo stringe, e ci sono video per il SIGGRAPH 2015 da registrare, macchine per le vacanze da prenotare e case da arredare; quindi vi lascio con poche righe introduttive e un quartetto di bei articoloni da leggere! =)
Dimenticavo: purtroppo anche il grande Pino Daniele ci ha lasciati in questo inizio di 2015. Come quando due (ormai tre) anni fa, era il 2012, morì Lucio Dalla, noi del blog gli facciamo gli onori. Pino era un grande della musica, entrato di diritto nell’olimpo della canzone italiana, e come tale va venerato e adorato. Oggi siamo tutti un pò più Napoletani…
A presto!
Divinity: Original Sin
(A cura di Alteridan)
Inutile negarlo: Kickstarter, con tutti i suoi limiti e difetti, è una vera e propria manna dal cielo per molti sviluppatori e, di riflesso, per i videogiocatori. Chiedere aiuto economico ai fan per sviluppare questo o quel videogioco è una pratica che sta diventando sempre più diffusa, e garantisce ai team di sviluppo un livello di autonomia e libertà maggiore rispetto al dover rivolgersi ai publisher, che per forza di cose imporranno limiti ben precisi ai progetti proposti.
Non è un caso che a rivolgersi a questo strumento, più che i piccoli team indipendenti, siano quelle software house di medie dimensioni come Obsidian, Double Fine e, nel caso di Divinity: Original Sin, Larian Studios.
Il peccato originale
Sono ormai molto pochi i giochi di ruolo che lasciano personalizzare interamente il personaggio principale, e l’avventura di Divinity Original Sin non inizia così. No. Original Sin vi lascia personalizzare due personaggi, in ogni minimo particolare. Potreste impiegarci molto tempo, personalmente ho perso la prima ora di gioco nel processo, stando lì a cercare l’aspetto perfetto per la coppia, a leggere tutte le descrizioni, ad aggiustare questa o quella statistica, una cosa che ormai non facevo più da anni, e già solo questo dovrebbe darvi un indizio sula profondità del gioco. Alla fine ce l’ho fatta, Roderick e Scarlett (lascio sempre i nomi di default, è l’unico aspetto che non personalizzo mai, se presente) erano pronti per narrarmi le loro avventure nel mondo di Rivellon.

Roderick si prende una meritata pausa, mentre Scarlett osserva con attenzione l’ambiente.
So che ve lo state chiedendo: Original Sin è il quinto episodio della saga Divinity, formata da tre episodi principali, compreso questo, e due spin-off. Original Sin è però il primo nella linea temporale delineata da Larian, fungendo da prequel e gettando le basi per lo sviluppo dell’intera serie. Il gioco è perfettamente godibile senza aver mai provato uno degli altri titoli della saga, ma naturalmente vi perdereste diversi riferimenti a personaggi che saranno centrali nelle vicende degli altri giochi. Tuttavia, e questo mi preme dirlo fin da subito, la trama di questo Original Sin non è il punto forte dell’esperienza di gioco. Certo, sa essere appassionante, ma la narrazione procede in maniera fin troppo lineare e, se come me avete avuto modo di giocare agli altri capitoli della serie, verso metà gioco saprete già dove andrà a finire. Tuttavia, ciò che rende l’esperienza di Original Sin un must per ogni appassionato di Giochi Di Ruolo (le maiuscole non sono messe a caso) è tutto il lore, l’atmosfera che si respira a ogni passo, la cura riposta nel caratterizzare il mondo di gioco. In Divinity: Original Sin, il contorno è la portata principale, grazie alle decine di quest secondarie, spesso curate meglio della main quest, gli enigmi, i personaggi secondari, i numerosissimi segreti, il tutto in un mondo di gioco apparentemente piccolo.
Il viaggio dei cacciatori
Original Sin ci mette nei panni di una coppia di Source Hunter, un organizzazione di guerrieri impegnati nella ricerca di ogni forma di una magia malvagia, denominata Source. Tutto inizia quando il duo viene incaricato di risolvere un omicidio accaduto nella città portuale di Cyseal, dove il mago Arhu è convinto che sia in atto una cospirazione e vi sia coinvolta l’energia malevola della magia Source. Molte stranezze stanno accadendo nei dintorni della cittadina, e il mago pensa che sia tutto da ricondurre all’influsso della magia malvagia.

Come da tradizione, i Larian hanno optato per un tipo di ironia decisamente ricercata.
Fin da subito, Original Sin ci sprona a cercare metodi alternativi per risolvere le quest. Un particolare da non sottovalutare è la possibilità di controllare distintamente i diversi membri del party (oltre ai protagonisti, avremo l’opportunità di avere con noi altri due personaggi), così che mentre un personaggio sta parlando con una guardia o un negoziante, un altro membro del gruppo potrà girovagare e curiosare indisturbato grazie alla distrazione del png. La possibilità di controllare i membri asimmetricamente sarà spesso essenziale, non a caso alcuni enigmi nei vari dungeon saranno superabili solo attraverso il gioco di squadra tra i quattro membri del party. Per questo motivo è sempre bene avere un party differenziato, con personaggi specializzati in diversi ambiti: le magie e abilità dei personaggi sono importanti anche e soprattutto all’esterno dei combattimenti.
L’acqua conduce elettricità
È proprio sul combattimento che vorrei soffermarmi. I ragazzi di Larian hanno pensato a un approccio che raramente si vede in questo tipo di giochi, per non dire quasi mai: ogni azione può avere effetti sul campo di battaglia, spesso determinando l’esito finale degli scontri. Ma arriviamoci gradualmente.

La magia e l’interazione con l’ambiente sono importanti anche per cercare strade alternative e risolvere alcuni enigmi.
Il combattimento si svolge a turni: come accade in un qualsiasi gioco tattico, ogni personaggio, amico o nemico, possiede un punteggio di iniziativa, che determina l’ordine in battaglia, un valore di punti azione, usati per attaccare, muoversi, e utilizzare abilità, e un valore di movimento, che indica la distanza massima che si può percorrere con un punto abilità. Tenendo bene a mente questi parametri, il combattimento si svolge in maniera piuttosto classica: il campo di battaglia resta sempre il mondo di gioco, e i nemici sono ben visibili (a patto di avere una discreta abilità visiva), quindi è sempre possibile valutare in anticipo la difficoltà dello scontro e agire di conseguenza. Ciò che cambia, però, rispetto ad altri giochi di questo genere è l’effetto di alcune magie sull’ambiente. Avete lanciato una palla di fuoco verso un determinato nemico? Bene, ora l’erba intorno a lui è in fiamme e brucerà qualsiasi personaggio vi metterà piede; ma niente paura, basta lanciare l’incantesimo della pioggia e il principio di incendio verrà stroncato sul nascere, lasciando però un po’ di fumo sul campo di battaglia, riducendo la possibilità di colpire in corpo a corpo. Però ora c’è anche una bella pozzanghera, cosa fare? Si potrebbe pensare di lanciare un bel fulmine, stordendo chiunque sia nelle vicinanze, o magari congelarla per far cadere quell’orco che vi sta dando tanto fastidio.
Forgiati nello spirito
Un particolare da non dimenticare è che l’intera esperienza di gioco può essere condivisa con un amico: i protagonisti sono due, quindi ogni giocatore potrà interpretare uno di essi. Non sempre bisognerà essere d’accordo, spesso infatti alcune decisioni dovranno essere prese da entrambi i personaggi, e se non si trova un compromesso? Una breve partita a morra cinese può risolvere ogni controversia.

The End of Time, uno dei posti più suggestivi del gioco, funge da luogo di ritrovo per i due cacciatori e i loro compagni.
In conclusione, Divinity: Original Sin è un gioco di ruolo piuttosto classico, che però non rinuncia a qualche innovazione ben piazzata in grado di svecchiare la formula di un genere che ha saputo rinnovarsi ben poco nel corso degli anni. Un vero peccato per una trama fin troppo lineare, che però non compromette in alcun modo l’esperienza globale. Una piccola nota in chiusura: lasciatemi spendere qualche parola sul comparto artistico, sia grafico che musicale. Il gioco dei Larian non farà gridare al miracolo sul lato tecnico, ma alcuni scorci sono semplicemente mozzafiato per quanto sembrino dei quadri in movimento. Le musiche, invece, sono curate dal solito Kirill Pokrovsky, che ha composto le colonne sonore di tutti i titoli della saga, e sono sempre molto azzeccate, con qualche pezzo decisamente memorabile.
Voto personale: 9/10
Kitsch Eyes
(A cura di Wise Yuri)
Big Eyes è il più recente film diretto e prodotto da Tim Burton.
Appena i fan sfegatati saranno corsi al cinema a rivedere questo film ed i detrattori avranno bofonchiato qualche critica a cazzo rimasticata da altri solo dopo aver letto “Tim Burton”, direi che la recensione può iniziare.
Se siete ancora con me, parliamo del film, che ne dite?
Devo dire che dopo aver ripescato una sitcom anni ’60 sconosciuta per il così e così Dark Shadows, è piacevole vedere il signor Burton tornare a fare quello che sa fare meglio, ovvero raccontare storie bizzarre o particolari di persone particolari che apprezza, e questo è il caso di Big Eyes.
Basato sulla reale vicenda di Margharet e Walter Keane, il film racconta la storia di Margaret Ulbrich (Amy Adams), una donna che in un america a cavallo tra anni 50 e 60 divorzia e come grande passione ha la pittura, nello specifico ritratti di bambini dai grandi grandi occhi e dall’aspetto un po’ vacuo, spettrale quasi. La sua vita sembra migliorare all’improvviso quando incontra e si innamora di un tale Walter Keane (Christoph Waltz), che però incomincia a spacciare come sue le opere di bambini con i grandi occhi della moglie, vendendole e pubblicizzandole fino a crearci un impero mediatico, un enorme castello costruito su un’enorme bugia, per una delle più grandi frodi nella storia americana.
La premessa è pressapoco questa, ed onestamente, anche se non aveste visto il trailer del film, non è difficile prevedere la direzione che prende la trama, verso che tipo di finale che si avvia, non conosco la vera storia su cui ispirato e quanto è romanzata qua, ma credo un pochino, e dico questo visto come Burton decise di omettere il declino di Ed Wood Jr. nella sua stupenda biopic/tributo.
Ma è un problema per questo film? No, perchè l’esecuzione è buona eccome, ed in questo caso è tutto raccontato come una storia di emancipazione femminile negli anni 50/60 (oltre ad una sull’identità dell’artista ed i suoi valori che è abbastanza ovvia), periodo del dogma riconosciuto della donna che senza un marito era considerata una meretrice, o non considerata proprio, ed è raccontata bene, con un buon equilibrio tra il dramma e le situazioni comiche, ed una punzecchiatura al mercato dell’arte e quello che ruota attorno ad esso.
Amy Adams fa un ottimo lavoro nei panni di Margaret, ma è quasi oscurata (non a caso) dal personaggio di Walter, perchè Christoph Waltz ci offre una recitazione spettacolare nei panni di un gran stronzo (sì, lo so, non proprio una novità, ma azzeccata scelta di casting), un truffatore svergognato e manipolatore nascosto sotto un giovale e fidato uomo d’affari. E per quanto vogliate prendere il personaggio a cazzotti nei momenti in cui è genuinamente uno stronzo con il ghigno mangiamerda, è difficile odiarlo perchè il resto del tempo Waltz ci offre un personaggio frantico, ultra-gigionesco e goffo (in alcuni casi ridicoli le due cose si mischiano però, mi ha fatto ridere ma non so se fosse quella l’intenzione), ed anche è difficile giudicare una recitazione doppiata, direi è facile capire come Waltz si sia davvero divertito nel ruolo e come ci abbia messo molta, molta energia.
La regia è buona, ma a parte alcuni momenti con visuali bizzarre (indizio: occhi) che ci si aspettano da Burton ed il tono leggermente favolistico/fiabesco, è difficile riconoscere la mano del regista in maniera davvero marcata, non che sia un problema, ma senza sapere a priori da chi è diretto e guardando molte scene di per sé, non viene istintivo dire “cavolo, ci giurerei che è un film di Burton”. Per il resto non ho molto altro da aggiungere, il film perlopiù procede senza particolari singhiozzi o situazioni inutili e/o particolarmente lente, non male per quasi due ore di pellicola.
Commento Finale
Dopo due discutibili rielaborazioni di materiale che forse non necessitava di essere ripreso, Burton torna in un territorio che conosce bene, ovvero quella della biopic, stavolta non sul “b-movie king” ma su un’altra personalità e storia particolare, ovvero quella di Margharet Keane e dei suoi ritratti dei bambini con grandi occhi. Raccontato come una storia di emancipazione femminile ed artistica di una donna degli anni ’50-’60 che succube di suo marito contribuisce ad una grandissima truffa artistica, Big Eyes è quindi un capolavoro? No, causa un intreccio che non rivela davvero grosse sorprese o twist, ed una regia buona ma in cui l’impronta di Burton è notabilmente meno forte del previste, a parte in alcune scene in cui visuali bizzarre appaiono. Ma è un buon film, se vi “basta”.
Penny Arcade On The Rain-Slick Precipice of Darkness Episode 3 & 4
(A cura di CapRichard)
Piattaforma: PC(giocata),XBLA,PSN Data di uscita: 25 giugno 2012 e 7 giugno 2013
Nel Weakly Hobbyt 175 vi ho parlato un po’ di Penny Arcade Adventures : On The rain-Slick Precipice of Darkness episodio 1 e 2, uno dei giochi con il titolo più lungo di sempre.
A quanto pare i primi due capitoli hanno venduto davvero poco e successivi giochi non vennero ritenuti finanzialmente fattibili. Quindi, tutti i giocatori si sono ritrovati con una storia non finita, con dei rimandi ai seguiti morti ed inutili e con tanta amarezza. Il duo di Penny Arcade rilasciò la conclusione della vicenda in formato di novella sul loro sito visionabile gratis, giusto per non lasciare la trama morta a metà.
Qualche tempo dopo però, la piccola casa videoludica Zeboyd Games, famosa per aver prodotto il simpatico Breath of Death VII (no, non ce ne sono altri sei prima) ed il geniale Cthulhu Saves The World, entrò in contatto con i Penny Arcade e decise di continuare l’avventura videoludica, ma a loro modo e con costi decisamente più contenuti.
Una nuova veste

Si, un distributore di merendine che combatte uno scoiattolo con una spada.
I due episodi vennero quindi realizzati cambiando totalmente approccio. Invece di avere delle avventure punta e clicca con combattimenti a turni con elementi in tempo reale, ci siamo ritrovati con due jrpg con combattimento a turni con una gestione della sequenza affidata al riempimento di una barra, in stile ATB dei Final Fantasy.
Episodio 3 si presenta in modo molto, ma molto, diretto, senza possibilità di deviazione dalla storia principale. La mappa del mondo sarà una semplice linea retta che vi porterà da un’ambientazione a quella successiva. L’episodio 4 invece introduce una mappa del mondo con zone in modo non molto dissimile dai final fantasy, garantendo un minimo di esplorazione e dando un maggior senso di libertà al giocatore, anche se il gioco rimane comunque abbastanza su binari.
La veste grafica muta anch’essa: si passa da un cell shading misto a disegni 2D ad una grafica puramente 16 bit, con l’unica modernità presente nei dialoghi: questi saranno accompagnati da un riquadro del personaggio che sta parlando con varie espressioni facciali ed aiutano tantissimo a richiamare i fumetti di Penny Arcade.
Il gameplay come già accennato, è quello di un jrpg, ma con il twist divenuto oramai tipico degli Zeboyd.
Ci sarà una grande barra sullo schermo che mostrerà la progressione della venuta del turno sia dei vostri personaggi che dei nemici, permettendo un livello di pianificazione che ha sempre eluso i Final Fantasy fino al 10. Ogni incontro inizierà con i vari personaggi privi di punti mana, necessari a lanciare incantesimi e tecniche speciali, ma dopo ogni turno il loro numero aumenterà di uno. Allo stesso modo i nemici diverranno sempre più potenti con l’aumentare dei turni in battaglia. Questo crea un sistema molto originale che combina la pianificazione tattica con la necessità di dover vincere il più velocemente possibile, cosa opposta ai jrpg dell’epoca 16 bit, dove invece protrarre all’infinito certo combattimenti era la tattica spesso vincente.
La difficoltà è selezionabile dall’utente e l’esperienza a normale è calibrata veramente bene, senza mai risultare frustrante o troppo facile. Per i pazzi folli, la difficoltà insane darà una vera sfida.

Un tirannosauro in tuxedo. Chi non ha mai sognato di affrontarne uno?
L’episodio 3 utilizza un sistema di classi rotante, simile al cambio dei mestieri in Final Fantasy V. Questi mestieri sono vari e permettono molti approcci alla battaglia e verranno acquisiti col progredire della storia. Sono tutti in tono con il resto del gioco. Avremo roba come il “gentiluomo” o il “crabomancer” giusto per citarne alcuni.
L’episodio 4 invece usa un sistema di pet, in un modo simile a dragon quest monster o pokémon se così possiamo dire. Questi animali combatteranno direttamente gli avversari, ricevendo bonus, abilità extra e caratteristiche varie in base a quale padrone essi vengono assegnati. Questo permette una variazione notevole nelle possibili tattiche e vi ritroverete spesso a cambiare per sperimentare le varie combinazioni.
I nemici riescono ad essere ancora più assurdi e nonsense rispetto ai primi due capitoli. Vi ritroverete a combattere davvero contro ogni genere di cosa e i nemici stessi, con le loro descrizioni sono una delle migliori fonti di risate durante tutto l’arco dei 2 episodi.
Una trama a dir poco epica

Incipit dell’episodio 4
Il punto di forza di questi due episodi conclusivi è la storia. L’unione degli scrittori di Zeboyd e Penny Arcade riesce a creare un intreccio narrativo totalmente folle e nonostante tutto logico, dove ogni pezzo ha un suo posto e tutto quadrerà.
Nel terzo episodio, si continua l’avventura lasciata aperta dal secondo, ma senza il protagonista creato dal giocatore. Un episodio extra, che consiglio di giocare dopo il completamento della storia principale per questioni di spoiler della trama, spiega cosa succede al vostro sfortunatissimo protagonista in un modo molto soddisfacente e la sua mancanza non viene avvertita come tale.
Il terzo episodio ha due finali, uno “buono” ed uno “cattivo”, con quello buono che richiede determinate azioni per essere sbloccato ed è considerato quello canonico al quale l’episodio 4 si riallaccia.
Questo finale è alquanto catastrofico e nel 4° episodio ci ritroveremo nel sottoinferno, un mondo completamente distorto, ancora più assurdo e surreale di quello normale.
La trama prenderà fortissime pieghe apocalittiche, colpi di scena si susseguiranno a go-go e la conclusione è qualcosa di a dir poco scioccante. Ad oggi, reputo l’intera storia di questa quadrilogia dei Penny Arcade una delle migliori storie del gaming, per la sua assurda follia e profonda logica ed interconnessione degli eventi. In certi tratti riesce anche ad essere emotivamente toccante, con una forte malinconia.
Per sopperire alla mancanza del protagonista avatar del giocatore, vengono introdotti nuovi personaggi con comportamenti leggermente meno folli di Gabe e Thyco per fare da contro altare nei dialoghi, tutti scritti magistralmente, come sempre in inglese.
Purtroppo anche solo provare ad accennarla, la rovinerebbe completamente, quindi non posso far altro se non consigliare di giocare a questa quadrilogia se avete voglia di seguire le scalmanate avventure di due ispettori dell’occulto, divertendovi allegramente lungo l’intero percorso.
Voto : 8/10
Exodus – Dei e Re
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Ho visto questo film nel 2014, ma per quel che riguarda le recensioni (ed il futuro Year in Review) varrà come film del 2015. Blockbuster diretto da Ridley Scott, Exodus – Dei e Re è una nuova trasposizione biblica della storia di Mosè e di come quest’uomo divenne da principe d’egitto una guida per il suo popolo, gli ebrei, liberandoli dalla schiavitù di Ramses II.
Il film inizia con Mosè e Ramses già adulti; i due sono i figli del faraone Seti, che è in guerra con gli Ittiti. Per prepararsi alla battaglia, chiede ad una veggente una profezia per quanto riguarda la battaglia. La veggente non prevede la sorte della battaglia, ma invece annuncia che uno dei suoi figli salverà l’altro, e diverrà per questo re del suo popolo.
In battaglia, accade proprio che Mosè (interpretato da un buon Christopher Nolan) salva da morte sicura Ramses (Joel Edgerton); comunque, Mosè non è che il figlio adottivo di Seti, e pur essendo il favorito del faraone, non diviene che consigliere di Ramses quando Seti infine muore, per malattia. Mosè, pochi anni dopo, viene mandato in provincia per supervisionare alcuni ebrei in rivolta. Lì chiede di parlare con i loro capi, che lo identificano come uno dei loro. Mosè non crede a questa storia, ma ne sente parlare anche Ramses che interroga sia lui che la sua prosupposta sorella, Miriam. I due negano di essere ebrei, ma Ramses minaccia di tagliare la mano di Miriam se questa dovesse negare ancora di essere la sorella del fratello adottivo, e così Moses confessa, pur non credendo lui stesso alla storia. Ramses non vuole nuocere al fratello, ma sua padre, la regina Tuya, esilia Mosè.

Ramses e Mosè con Seti I, quando il rapporto tra i due era ancora buono
Così il principe viaggia verso Madian, dove dopo tanto peregrinare e diversi scontri con predoni, giunge in un villaggio dove vivono Sefora (Marìa Valverde) e suo padre Ietro. Il principe sposa Sefora e decide di vivere la vita da contadino, diventando anche padre di un figlio di nome Gherson. Mosè non abbraccia la religione monoteista di Safora, ma non rivela il suo credo egiziano. E’ quando ha un incontro con Malak, un bambino che si rivela messaggero di Dio, che Mosè ha una conversione e decide di tornare in egitto per liberare gli ebrei dalla loro schiavitù.
Mosè viene mandato da Dio in quanto guerriero e capo di un esercito, e in quanto tale Mosè addestra gli ebrei in segreto a lottare. Si rivela anche a Ramses, che inizialmente è felice di rivedere il fratello, ma poi comprende il cambio di orientamento dello stesso, ed inizia ad uccidere ebrei pur di trovarlo e giustiziarlo. Non ottenendo i risultati sperati con Mosè, Malak inizia le sette piaghe; prima coccodrilli iniziano ad uccidersi a vicenda follemente nel Nilo, insanguandone le acque. Le rane fuggono dal Nilo, ma morendo attirano uno schiame di mosche. Queste diffondono la peste nel impero egizio. Non molto dopo seguono pioggie di grandine e schiami di locuste. Mosè avvisa Ramses che deve liberare per far sì che le pesti abbiano fine; Ramses, solo nella sua stanza, minaccia di uccidere ogni ebreo incapace di nuotare buttandono nel Nilo. Malak sente questa minaccia, e decide di fare un ultimatum a Ramses; o lascia liberi gli ebrei, oppure ucciderà ogni primogenito di famiglia egizia. Ramses ignora anche questo annuncio, e perde così il proprio figlio. Infine Ramses chiede a Mosè che Dio è mai il suo, se questo uccide bambini innocenti. Mosè risponde che nessun bambino ebreo è morto; il fratello adottivo infine acconsente che gli ebrei viaggino liberi fuori dall’egitto.

Mosè è un convinto Principe e condottiero d’egitto, prima di venire esiliato
Mosè così porta il suo popolo verso il Mar Rosso, dove in seguito ad un ritirarsi delle acque, il popolo intero attraversa il golfo tra africa e arabia. Ramses, che dopo un paio di giorni, ha deciso di seguire Mosè ed il suo popolo per sterminarli, li raggiunge proprio presso il Mar Rosso. I due eserciti (quello addestrato da Mosè, e quello di Ramses) paiono doversi affrontare nel golfo privo di mare, ma è in quel momento che le acque tornano in uno tsunami e travolgono l’esercito egizio, Mosè e Ramses. I due leader, però, riemergono salvi sulle due sponde opposte del mare. Ramses torna in egitto, mentre Mosè viaggia via con il suo popolo, per il quale in seguito forgerà le Tavole dei Dieci Comandamenti. Il film termina con Mosè che torna da Sefora e Gherson, facendoli viaggiare con lui e col popolo scelto da Dio verso le Terre Promesse.
Sono sincero con voi; non sono un credente della religione Cattolica, di cui tuttavia apprezzo alcuni principi, nè sono un grande fan della Chiesa come istituzione (anche se Papa Francesco è un grande). Non ho visto questo film perchè il trailer mi avesse particolarmente colpito; mia nonna ha deciso di invitare la famiglia al cinema ed ha scelto questo film. Sono andato pur sapendo di non dovermi aspettare molto.

Mosè insegna agli ebrei il tiro con l’arco
E pur non aspettandomi molto, il film mi ha più annoiato che entusiasmato.
Le premesse del film, secondo me, erano di “epicizzare” e “rendere più realistica” la bibbia. Il film tenta in tutti i modi di spiegare scientificamente le piaghe mandate da Dio sugli egizi per lasciar andare gli ebrei, ma ovviamente non ha modo di riuscire. Le prime quattro piaghe sono bene o male accomunabili ad una fonte comune. Ma le ultime sono davvero inverosimili, ed in particolare quella sulla morte dei primogeniti viene del tutto di nuovo interpretata come “miracolo” al negativo. Aggiungasi a questo che ad inizio film il futuro di Mosè viene predetto con una profezia… insomma, è come se Ridley Scott e chi con lui ha preparato lo scirpt non avesse le idee chiare su se fare un film basato sulla scienza o sulla fede.
Anche la stessa apparizione di Malak o Dio con lui viene in parte presentata come allucinazione di Mosè, che vede solo lui, ed in parte poi però come vera e propria presenza. Malak inoltre è particolarmente crudele e vendicativo, e per quanto è vero che Dio nell’Antico Testamento viene rappresentato spesso come Dio Giudice e meno spesso come Dio del Perdono, ritengo questa rappresentazione particolarmente pria di grazia.
Altro grosso problema del film è che ha un “pacing” sbagliato; la prima metà del film è ben godibile, ma quando Mosè viene conertito alla religione cattolica dalla presenza di Dio/Malak il film inizia a rallentare in maniera incredibile. La fuga degli ebrei e l’attraversamento del Mar Rosso diviene anche un culmine del film troppo ricercato e pensato proprio male. Nel trailer del film sembrava che ci dovesse essere una gran battaglia con le acque del Mar Rosso in arrivo. In realtà non accade nulla di questo, anche se il film (con Mosè che addestra un esercito di ebrei) fa capire all’audience che invece una grande battaglia ci sarà (Malak chiama Mosè il generale del suo esercito). Alla fine gli eserciti si fronteggiano sì nel Mar Rosso, ma al ritorno delle acque Mosè dice ai suoi di tornare indietro, e anche l’esercito di Ramses II si ritira in fuga dalle acque. Neanche Mosè e Ramses lottano tra loro, ma vengono invece travolti dalle acque, e ciascuno adagiato sulla riva a cui appertiene.
Ma il film non termina lì; prosegue per una sentita mezz’ora con Mosè che guida il suo popolo, li porta da Sefora, rincontra il figlio, prosegue il viaggio verso le Terre Promesse, forgia le tavole dei Dieci Comandamenti e poi improvvisamente finisce, quando uno meno se lo aspetta.

Sciami di locuste attaccano le riserve di cibo d’egitto
Il film ha degli aspetti positivi? Sì, la recitazione è di buona qualità, in particolare quella di Christian Bale nei panni di Mosè e di Joel Edgerton nei panni di Ramses. Tutti gli altri personaggi sono un pò di contorno, anche se va notato un ottimo Ben Kingsley nei panni di Nan, uno dei pochi ebrei che sa la storia della nascita e crescita di Mosè. Ma il cast, di per sè, non è il problema, nè lo sono gli effetti speciali, stupendi e molto curati, in particolare quelli rigurdanti le acque del Mar Rosso al climax del film.
Questi attimi di luce, però, non salvano un film che generalmente ha ben poco da offrire. La Bibbia raramente è stata noiosa come in questo film.
Voto Personale: 4/10
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A settimana prossima! =)
31 Maggio 2015 alle 10:22
[…] mia a riguardo di un film di cui vi ha già parlato WiseYuri a inizio anno, per la precisione nel Weakly Hobbyt #176. In quanto tale, la mia recensione si terrà piuttosto breve, avendo WiseYuri già parlato […]