The Weakly Hobbyt #185

The Weakly Hobbyt #185

Le Idi di Marzo portano con sè nuvole grige, in questa parte del mondo. Il vostro sottoscritto, sempre più distaccato dal mondo attuale di videogiochi e fumetti, vi delizia oggi con una recensione di un albo a cui ha fatto seguito una famosissima serie TV; in copertina, invece, come avrete notato, ci stanno un film ed un videogioco. E così il Weakly Hobbyt tira avanti ancora una settimana…

Buona lettura! =)

(Cinema) TANK!
(A cura di Wise Yuri)

Cowboy Bebop The Movie

Piccola premessa: come potreste immaginare, sono familiare con la serie in questione, vista quando MTV mandava in onda anime come (appunto) Cowboy Bebop, Wolf’s Rain, ed anche roba come Aquarion.
Questo per dire che é passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho visto la serie, non aspettatevi paragoni precisi perché non ho una memoria così buona da ricordarmi l’intera trama di tutti gli episodi (il che potrebbe portare ad una bella maratona & retrospettiva sulla serie, più avanti, forse).

Detto ciò, Cowboy Bebop: Il Film, mostrato nelle sale italiane tra il 2 e 4 marzo appena passati, dopo aver goduto anche di una proiezione allo scorso Lucca Comics & Games, ma che in ogni caso giunge sul suolo italico molto in ritardo, visto che è una produzione del 2001, ben 14 anni di ritardo, ma non me la prenderò perchè non sapevo manco ci fosse un film.

Per chi non avesse visto la serie, Cowboy Bebop narra di un gruppo di cacciatori di taglie – qui chiamati Cowboys – e delle varie situazioni in cui il loro lavoro di vigilanti free-lance (oltre all’essere sempre in semi-povertà che rende ogni rara offerta appetibile) gli porta in uno stiloso mondo futurisco dal forte sapore retrò, in cui ci sono navicelle, tecnologia futuristica e viaggi interplanetari, ma tutto sembra prendere spazio in zone suburbane in cui il futuro ci è arrivato poco, il che gli dà una decisa impronta retrò che invece di datarlo gli crea un’aura peculiare, sembra di essere sempre in un malinconico e trasandato passato, in indefinibili sobborghi.

Quindi non c’è una particolare trama unitaria (mi riferisco alla serie normale), in quanto il focus sono i personaggi, molto ben caratterizzati, distinti e sviluppati (anche se emerge la figura di Spike Spiegel come protagonista e focus di molte storie), e questo melting pot di personaggi peculiari, di diverse etnie tra l’altro, si applica anche alle tematiche ed al genere, perchè in Cowboy Bebop c’è un po’ di tutto, pur prevalendo tematiche e citazioni specialmente al western ed al noir, c’è spazio per discorsi essenzialisti, eccelse scene d’azione che strizzano l’occhio ai film di kung fu di John Woo, e scene comiche specialmente con Ed e Ein.
É un’esempio di pastiche, ma fatta davvero bene, perchè per quanta roba c’è, non sembra mai che sia tutto infilato nel frullatore per amore di varietà, tutto riesce a trovare un suo spazio, un suo posto; aggiungete a questo uno stile molto forte ed una colonna sonora eccezionale tendente al jazz ed al funky curata da Yoko Kanno, ed avete una delle serie anime più amate dal pubblico ed anche dalla critica, una serie di culto.

Quindi è una buona cosa vedere che Cowboy Bebop: The Movie sembra tutt’altro che inserirsi forzatamente nell’universo creato dalla serie tv, e riprende gli stessi elementi di forza, la stessa personalità e stile che ha fatto amare la serie al tempo.

La premessa del film in sé (sempre diretto da Shinichiro Watanabe) vede il gruppo invischiato in una vicenda riguardante una specie di esplosioni misteriose di gas che uccide la gente senza lasciare tracce, ed un misterioso terrorista la cui agenda sembra ignota a chiunque, ma con una lauta taglia sulla propria testa che al nostro gruppo di cowboys non può non far gola. Succede altro, ovvio, ma la premessa è pressapoco questa.

cowboy bebop the movie spike spiegel

La trama di questo lungometraggio spin-off non è nulla di peculiare, ma non è completamente banale o priva di mordente, ed anche se l’antagonista principale non ha motivazioni completamente originali, è molto stiloso e convincente, un solidissimo villain vecchio stile, che come prevedibile è messo contro Spike, il protagonista principale pure qua. Va ammesso che il film ci mette un po’ a carburare ed il primo atto è un po’ troppo stiracchiato (notabile visto che la pellicola è lunga quasi 2 ore), ma quando parte si fa ampiamente perdonare con eccelse scene d’azione ed un ritmo più sostenuto, nel complesso un’esecuzione buona che aiuta una trama che – come ho già detto – poteva essere migliore, ed il resto lo fanno una colonna sonora curata sempre da Yoko Kanno (come immaginabile, non che volessi qualcun altro, anzi), buoni dialoghi – anche se a volte alcune battute comiche sono sapide ed alcune persone troveranno le scene dal tono malinconico un pizzico troppo “liriche”, va ammesso – ed un’animazione eccelsa frutto di un team up tra Sunrise e Bones, su-per-ba, non ho nessuna lamentela a riguardo, manco una.

Per quanto riguarda il finale, è ok ma potrebbe non piacere a molti, e continuo a trovare strano questa rapidità che film d’animazione giapponesi come questo hanno, poiché una volta arrivati al finale, il credit roll parte quasi subito durante l’animazione e non aspetta che gli eventi si concludano per poi tagliare ai crediti di coda su sfondo nero. Immagino sia una differenza culturale, non saprei.

Commento Finale

cowboy bebop the movie bang

Con un ritardo gargantuesco (ben 14 anni dopo l’uscita in giappone) arriva ufficialmente nelle sale italiane Cowboy Bebop: The Movie, ed i fan della serie ignari della sua esistenza saranno contenti di sapere che è esattamente quello che volevate, il fascino della serie tv è mantenuto intatto dall’avere Watanabe al timone anche in questo spin-off, questo non è un film scaracchiato per spennare i fan, tutt’altro, ma è fatto con la stessa cura, con i personaggi che amavate nella serie tv intatti, e lo stesso universo fantascientifico ma al contempo profondamente retrò e un po’ maliconico, il tutto animato in maniera tradizionale e sublime dalla combo Sunrise e Bones e con eccelsa colonna sonora da Yoko Kanno, una garanzia.

“Purtroppo” è solo un buon film, perchè onestamente la trama non è nulla di speciale qui, è decente e ci sono alcune sorprese, ma il villain, per quanto stiloso e convincente, non ha motivazioni particolarmente originali, si poteva fare di più. Non è un grosso problema visto che c’è una buona esecuzione (nonostante il primo atto un po’ lento), ottime scene d’azione e quanto di buono ho citato sopra a far passare sopra, ma è un peccato, poteva essere ancora meglio.

Se avete amato la serie TV, vi piacerà anche Cowboy Bebop The Movie, che vi consiglio di recuperare su DVD/Blu-Ray (magari in versione britannica, perchè è ormai da molto disponibile in home video in praticamente il resto del mondo) e semplicemente vedere, solo non aspettatevi un capolavoro.

See ya, space cowboys!

The Order: 1886

(A cura di Alteridan)

Cos’è un videogioco? Per qualcuno è semplice prodotto interattivo da utilizzare per ingannare il tempo, per altri è una passione, altri ancora potrebbero dire che è un oggetto in grado di porre delle sfide all’utente. Se frequentate questo blog da qualche tempo, oppure se mi avete incrociato in altri lidi in giro per il web, saprete già cosa penso: per me un videogioco è prima di tutto un mezzo di espressione, non tanto espressione artistica (più che altro per il significato che questo termine implica), ma almeno utilizzato per trasmettere qualcosa al fruitore/giocatore.

Inutile negarlo, il videogioco non è più lo stesso tipo di prodotto degli anni Settanta o Ottanta: il medium si è evoluto, qualcuno potrebbe dire in peggio, a me piace pensare che siano stati fatti dei discreti passi avanti rispetto a quei Pong e Pac-Man di diversi decenni fa. Un’epoca in cui il videogioco era valutato principalmente per il suo gameplay, anche perché erano rarissimi i casi in cui a questo veniva affiancata una trama, anche la più basilare. L’evoluzione del medium ha portato, nel bene o nel male, anche a un maggior risalto della componente narrativa, con le avventure grafiche prima, per poi estendersi anche agli altri generi.

Lezioni di storia alternativa

The Order: 1886 è uno di quei giochi sviluppati per raccontare una storia, e per farlo dobbiamo trasferirci alla fine di un diciannovesimo secolo alternativo, un universo in cui un ordine di cavalieri, le cui origini risalgono addirittura a Re Artù e ai Cavalieri della Tavola Rotonda, lotta da sempre contro un nemico temibile: i licantropi. Nemici giurati dei mezzosangue, questo il nome comune per identificare gli umani in grado di trasformarsi in lupi mannari, i cavalieri dell’Ordine utilizzano strumenti avanzatissimi e combattono con tutte le loro forze per vincere una guerra i cui equilibri stanno rapidamente cambiando e, purtroppo per i nostri protagonisti, il vento non soffia in favore dell’umanità.

Un baffo da vero uomo.

Impersonando Sir Galahad, uno dei cavalieri più famosi e apprezzati, starà al giocatore scoprire il perché di questa escalation del conflitto, che a poco a poco sta iniziando a coinvolgere anche i sudditi di Sua Maestà: alcuni di essi, infatti, progettano una ribellione e iniziano a mettere in atto diversi attentati ai danni delle istituzioni imperiali. L’Ordine si troverà quindi tra l’incudine e il martello, costretto a operare su due fronti: quello dei licantropi e quello dei sovversivi. E qui mi fermo: non parlerò più della trama per non rischiare di spoilerare particolari importanti e rovinare l’esperienza a chi non ha ancora avuto modo di mettere le mani su questo gioco.

Un film in cui si spara

A meno che nelle ultime settimane non abbiate vissuto sotto un sasso o su Marte, conoscerete senz’altro la critica principale che viene mossa nei confronti del titolo targato Ready at Dawn: è un gioco in cui non si gioca. Il mio consiglio è questo: diffidate dei commenti di chi con buona probabilità non ha visto nemmeno la copertina del titolo in questione. In The Order: 1886 si gioca, sicuramente meno di qualsiasi altro gioco dello stesso genere (per quanto non concordi per nulla nel farlo ricadere nel genere dei third person shooter), ma si spara, e si spara dannatamente bene. Ho anche un altro consiglio: se cercate un gioco in cui sparare a tutto ciò che si muove per un buon 95% del tempo potete anche fermare la lettura in questo preciso istante e andare a comprare uno qualsiasi degli sparatutto presenti sul mercato, magari un Wolfenstein: The New Order o uno Shadow Warrior. Se invece avete intenzione di gustarvi un prodotto originale, un’opera interattiva diversa dal solito, allora continuate pure a leggere.

Il punto forte di questo gioco è sicuramente la narrazione: per portare avanti le vicende di Sir Galahad e dell’Ordine, i ragazzi di Ready at Dawn hanno pensato di implementare un sistema di cutscene interattive. Alcuni capitoli del gioco saranno interamente dedicati al dipanarsi della trama, e per fare questo al giocatore viene dato il compito di muoversi da una parte all’altra del livello, consentendogli di esplorare i livelli, magari andando alla ricerca di qualche collezionabile, e interagendo con elementi dello scenario e altri personaggi. In questo modo, la differenza tra parte interattiva e cutscene è praticamente invisibile, e delle volte bisognerà anche affrontare delle brevissime sezioni a suon di quick time event.

Ogni tanto bisognerà sovraccaricare un apparecchio elettrico tramite questo aggeggio sviluppato da Tesla.

Tra una cutscene interattiva e l’altra, The Order ci fa imbracciare il fucile e ci dà l’opportunità di combattere nemici umani e non, principalmente mezzosangue mutati in licantropi. Le sparatorie riprendono i classici canoni del genere dei third person shooter: abbiamo quindi livelli lineari con una buona dose di coperture e qualche strada secondaria da utilizzare per accerchiare i nemici. Le sparatorie non sono particolarmente impegnative, e se cercate un livello di sfida maggiore vi conviene iniziare il gioco direttamente alla massima difficoltà, ma sono comunque molto divertenti, grazie anche a una discreta varietà di armi particolari. In questa rivisitazione del 1886, l’Ordine può contare sul genio di Nikola Tesla, per questo motivo saranno presenti alcune armi decisamente esotiche, come il formidabile fucile ad arco, in grado di sparare scariche di corrente alternata che ricercano i nemici e possono anche superare le coperture, oppure il bellissimo cannone a termite, con cui incendiare i malcapitati.

L’asticella si alza

Ma The Order: 1886 è anche un prodotto in grado di mettere nero su bianco le potenzialità dell’hardware di nuova generazione. Le malelingue potrebbero dire che si tratti solamente di un benchmark, e onestamente mi sento di dargli parzialmente ragione, fermo restando il discorso fatto in precedenza sull’esistenza di un gioco all’interno di questo benchmark.

Il titolo confezionato da Andrea Pessino e compagni mette sul piatto l’aspetto tecnico più avanzato tra tutti i giochi attualmente sul mercato, spingendo ancora più in alto l’asticella della qualità grafica. Il risultato ottenuto da Ready at Dawn si nota soprattutto su tre aspetti: l’impressionante fedeltà dei volti, sempre più vicini al fotorealismo; la totale assenza di aliasing, memorabile il livello del dirigibile Agamennone, pieno zeppo di tiranti trasversali e al contempo senza un filo di seghettature; e per finire un frame rate granitico che non perde un fotogramma nemmeno durante le sparatorie più concitate, con tanto di esplosioni e granate fumogene.

Nemmeno un po’ di aliasing, anche se tutto questo si paga con la presenza delle bande nere.

Ma al di là dell’aspetto tecnico, ciò che colpisce è la direzione artistica in ogni sua declinazione: lo sforzo di creare un universo narrativo credibile passa anche per la realizzazione delle uniformi dei cavalieri, dei modelli delle armi, degli interni delle sontuose ville e degli ospedali in abbandonati. Il tutto ha il suo culmine in una colonna sonora mozzafiato: composti utilizzando quasi esclusivamente ottoni e un coro di voci maschili, i pezzi musicali che accompagnano le avventure di Sir Galahad contribuiscono a creare quell’atmosfera tenebrosa, quasi opprimente, tipica delle storie horror di fine Ottocento.

La storia di Sir Galahad

Avrete senz’altro notato che ho più volte parlato della trama di The Order: 1886 riferendomi alle vicende di Sir Galahad. L’utilizzo di questi termini non è casuale: Sir Galahad è il personaggio principale, il protagonista, e l’alter-ego del giocatore, e tutte le vicende ruotano intorno a lui, dall’inizio alla fine. Proprio parlando del finale, dovete sapere che tra tutte le questioni che vengono citate in questo gioco, ben poche vengono approfondite, e solamente una trova la sua conclusione alla fine dell’avventura. Questa è una precisa scelta degli sviluppatori, e onestamente non me la sento di criticarla, nonostante mostri il fianco a diversi attacchi più o meno legittimi, tra cui quello di voler per forza creare un universo narrativo da approfondire man mano tramite DLC e seguiti. Ma ripeto, non me la sento di ingigantire il problema, tanto più che la questione principale, la storia di Sir Galahad, ha un inizio e una fine. Certo, molte questioni restano aperte, e resta un po’ di amaro in bocca per non averle approfondite a dovere, ma a questo punto ci saranno altre occasioni per farlo.

La lussuosa camera del consiglio dell’Ordine.

E così siamo arrivati alle conclusioni: come già detto in precedenza, tutto dipende da cosa vi aspettate da The Order: 1886. Se acquistate il gioco con la consapevolezza che una buona metà delle 8-10 ore necessarie per portare a termine l’avventura la passerete a camminare all’interno dei bellissimi scenari mentre vi viene narrata una storia, allora The Order non vi deluderà, nonostante alcune cose vengano lasciate volutamente a metà. Di contro, chi si aspetta il tipico shooter sulla falsa riga di Gears of War farebbe meglio a girare al largo: le sparatorie sono realizzate bene, ma sono solamente il mezzo, non il fine ultimo.

Voto personale: 8/10

The Walking Dead – Vol. 1
Days Gone Bye

(A cura di Celebandùne Gwathelen)

The Walking Dead - Vol.1

Ho atteso anche troppo prima di recensirvi un nuovo fumetto. Vorrei farlo con una maggiore regolarità, ma temo che prima di Giugno non riuscirò proprio più a leggere fumetti in maniera costante, e questo mio recensirvi The Walking Dead – Volume 1 è davvero un’eccezione. Lavorando, il tempo che sto a casa è poco, per di più sto costantemente a uscire…insomma, avete capito la mia situazione. E’ come la vostra, ma più incasinata.

Nel primo volume di The Walking Dead ci sono ben sei Fumetti, di cui vi narrerò in breve le trame, prima di passare al giudizio complessivo del primo Volume di questa saga. Un pò come faccio per le serie TV, insomma. 😉

  1. Issue 1: Nel primo numero incontriamo il poliziotto Rick Grimes ed il suo partner di lunga data Shane che tentano di imprigionare un fuggiasco. Rick viene sparato e si risveglia mesi dopo in ospedale, apparentemente era stato in coma nel frattempo. Non trovando infermieri o dottori, Rick si fa strada nell’ospedale per poi scoprire che è stato invaso da zombie. Il poliziotto li riesce ad evitare, per poi trovarsi fuori, rubare una bicicletta ad uno zombie mezzo decomposto e tornare a casa sua. Questa è deserta, e quando ne esce, viene colpito in testa con una pala. Quando si sveglia, si trova in compagnia Morgan e Duane Jones, padre e figlio, che finalmente gli spiegano cos’è successo nei mesi di coma. Zombie sono apparsi dal nulla, e il governo ha tentato di tenere al sicuro i cittadini americani radunandoli nelle grandi città. Da tempo però non ci sono altre novità, poichè non c’è più corrente nel paese. Rick, per questo, è convinto che sua moglie e sue figlio saranno di sicuro andati ad Atlanta, dove hanno famiglia. Il poliziotto recupera diverse armi dalla vicina stazione di polizia, dandone anche qualcuna a Morgan e Duane per la propria difesa. I due si separano, e Rick va a uccidere lo zombie da cui ha rubato la biciletta. Una lacrima gli cola sul viso. Poi parte per Atlanta. [9/10]
    The Walking Dead

    Copertina del primo Numero di The Walking Dead

  2. Issue 2: Il viaggio in macchina di Grimes si interrompo dopo il sua arrivo in Georgia per esaurimento della benzina. Per fortuna, il giovane poliziotto trova una vicina fattoria. Lì una famiglia si è suicidata e sta decomeponendo, ma trova anche una cavalla che doma e con la quale arriva fino ad Atlanta. La città però è piena di zombie, che lo assaltano sul cavallo, che viene mangiato. Rick si salva da un attacco con la sua ascia, ma circondato inizia ad entrare nel panico e scappare. Viene salvato da un ragazzino che in seguito si presenterà come Glenn, e che lo salva dalla calca e lo porta fuori città. Rick è scosso dallo scoprire che gli zombie nella città erano gli abitanti di Atlanta, e che le città sono da tempo crollate. Rick è a pezzi e teme di aver perso ormai ogni speranza di rivedere mai sua moglie e suo figlio. Glenn lo porta però ad un accampamento di rifugiati che ospita dei sopravvissuti, e tra questi ci sono anche Lori Grimes e suo figlio Carl…moglie e figlio di Rick. L’albo termina con la loro riunione. [7/10]
  3. Issue 3: Nell’accampamento, Rick ritrova anche Shane, suo collega di lavoro, che apparentemente ha aiutato Lori e Carl giungere fino ad Atlanta. Shane presenta a Rick l’accampamento ed i suoi abitanti, prima di lasciare a Rick e Lori tempo da soli. I due passano tempo assieme e anche con Carl, mentre Lori spiega come l’accampamemto sia stato raramente attaccato. Il giorno dopo, uno dei sopravvissuti, il vecchio Dale, dice a Rick che Shane pare aver buttato un occhio su Lori. Rick non vuole credergli e sorride all’idea. I due vanno a caccia mentre Lori, Donna e Carol vanno al fiume a lavare i vestiti. Lori racconta alle due di Rick, mentre Rick e Shane parlano della situazione. Di ritorno dal bucato, le donne vengono attaccate da uno zombie. Allen non riesce a spararlo senza colpire Donna, che paralizzata gli rimane di fronte. E’ Dale a salvare Donna, decapitando lo zombie, che continua a vivere. Glenn lo spara e lo sparo fa tornare Shane e Rick di corsa all’accampamento. Lori gli si butta tra le braccia spiegandogli cosa è successo. Shane guarda i due con ostilità. [8/10]
    The Walking Dead

    Rick sul Cavallo sulla copertina del secondo numero.

  4. Issue 4: La stessa sera, Rick dice a Shane che ha intenzione di non rimanere così vicino alla città; dopo gli avvenimenti della giornata, lo ritiene fin troppo pericoloso. Shane, invece, spera che il governa li venga a prendere. Rick non ne è convinto e fa notare a Shane che l’inverno sta giungendo. Ammette però di non sapere come fare di preciso. Il giorno dopo Glenn e Rick vanno in città in cerca di armi. Per evitare di venire avvertiti dagli zombie, si cospargono di carne putrefatta dello zombie del giorno prima; l’idea è di Rick e funziona alla grande. Insieme, i due giungono dentro Atlanta e mettono quante armi possono in un carro della spesa. Sfortunatamente, inizia a piovere e l’odore da zombie inizia a venirsene. I due vengono attaccati e Rick teme di venire morso. I due fuggono con le armi e ci riescono per un soffio.
    All’accampamento, Lori è nella pioggia che attende Rick. Shane le si avvicina, dicendole di entrare. Lori rimane fuori in attesa di Rick e gli chiede di smettere. Shane inizia a parlare di una notte mentre erano in viaggio per Atlanta e Lori gli dice che quella notte è stato uno sbaglio. [9/10]

  5. Issue 5: Il gruppo di sopravvissuti viene allenato da Shane e Rick su come usare la pistola. Andrea, una delle ragazze del gruppo, è la migliore del gruppo, ma anche Carl, il piccolo figlio di Rick e Lori, viene addestrato. Lori è contraria all’idea del figlio di sette anni che ha una pistola, ma Rick insiste. Donna, d’altro canto, non apprezza che Dale viva nel camper con due giovani ragazze, Amy e Andrea, ma Dale assicura loro che non ha intenzioni con loro, non potendoselo neanche permettere. Shane intanto reagisce in maniera stizzita a Rick, citando di nuovo la pessima idea di abbandonare la città, senza che Rick neanche l’abbia citato.
    The Walking Dead

    La famiglia Grimes al gran completo!

    Quella notte, il gruppo siede sotto la neve davanti al fuoco mangiando un daino ucciso da Shane e cerca di conoscersi meglio. Ad un certo punto, però, dal nulla compaiono zombie da ogni lato. Amy viene morsa. Carl salva Lori da uno zombie. Presto Shane, Rick, Jim (la cui intera famiglia è stata uccisa davanti ai suoi occhi), Dale ed Allen salvano il gruppo dall’attacco. A zombie finiti, Lori è grata a Rick di aver dato a Carl una pistola. Il gruppo spara in testa Amy per evitarle la fine da zombie. A fine lotta, però, il gruppo nota che Jim è stato morso… [9/10]

  6. Issue 6: Il gruppo seppellisce Amy lontana dal campo; ognuno dice qualche parola su di lei. Jim, nei giorni seguenti, peggiora. La situazione nel campo è tesa e Rick e Shane fanno a pugni davanti a tutti; Rick, convinto che se fossero stati lontani da Atlanta la cosa non sarebbe successa, incolpa Shane della morte di Amy e futura morte di Jim. Shane non la vede così e spera ancora che le cose presto si aggiusteranno. Jim, nel frattempo, chiede di venire lasciato a morire lontano dall’accampamento, sperando che così rincontrerà la sua famiglia. Il gruppo lo lascia fare.
    Tornati al campo, Rick e Shane hanno una nuova discussione; anche Lori si intromette questa volta, chiamando Shane un lunatico e dicendogli di stare lontano da suo marito. Shane piange, poi se ne và dal campo. Rick lo insegue, ma Shane lo minaccia con la pistola, parlando a vanvera (anche che Lori, ma non citandola di nome, alla fine sarebbe rimasta con lui). Rick gli dice di calmarsi, ma Shane si arrabbia di più e minaccia di spararlo. Carl in quel momento lo spara da dietro alla gola. I due si abbracciano vicino al corpo morente di Shane. [8.5/10]
The Walking Dead

Nel quinto volume l'accampamento viene attaccato da Zombie

The Walking Dead è ormai diventato un successone per via della serie TV che ne è scaturita, ma è un successo prevedibile secondo me. Il fumetto si adatta molto bene a diventare una serie TV; ha un cast ricco e diversificato, dei personaggi interessanti ed un problema serio intorno al quale si svolge tutta la trama. Certo, è la solita apocalisse di zombie, ma i fumetti sono originali del 2003, quando gli zombie ancora non venivano messi in ogni terzo film e secondo videogioco. Esisteva Resident Evil, certo, e Romero i suoi film li aveva già girati, ma non c’era la follia zombie di questi giorni.

Detto questo, il fumetto è ben disegnato, ben scritto e tutto sommato interessante. Le storie sono narrate bene e si evolvono in fretta. La situazione Lori-Shane-Rick si sarebbe potuta estendere per molti numeri, e invece è stata conclusa nel giro di pochi episodi. Anche la permanenza del gruppo vicino Atlanta sembra essere giunta ad una conclusione, con la morte di Shane.
Alcune scelte narrative mi sono risultate un pò troppo ovvie; Atlanta ovviamente era invasa, e che miracolo che giusto la moglie di Rick e Carl sarebbe stata salva, tra le miliardi di persone che invece pare non ce l’abbiano fatta.

The Walking Dead

La morte è il costante compagno dei sopravvissuti

I personaggi secondari sono non troppo interessanti e presentati con non troppi dettagli, almeno fino al quinto numero, durante il quale finalmente si scopre un pò sul conto di tutti. Alcuni fino ad ora non hanno avuto molto rilevanza a livello di trama e quindi li ho omessi dalle sinossi, come una piccola ragazzina che ha perso il padre nell’apocalisse, di cui si prende cura al momento Carol. Lei e Carl condividono una scena strappa-lacrime nella terza puntata. Il fumetto non ha ancora dato troppe possibilità al lettore di venire a conoscere tutti i personaggi che circondano i protagonisti, e credo che uno sfoltimento così precoce non ha aiutato molto a voler conoscerne altri presto. Mi dispiace molto per Jim, che sembrava essere un personaggio turbato e quindi interessante, ma la sua morte al contempo per il gruppo è una liberazione. Shane, pure, credo morirà o sarà morto per il prossimo albo, ed al gruppo probabilmente mancherà un poliziotto e bravo cacciatore come lui.

Personalmente, sono curioso di sapere come continua la storia e spero di essere in grado di leggere presto un altro numero di The Walking Dead. Il primo mi ha piacevolmente colpito.

Voto Personale: 8.5/10

The Last Remnant

(A Cura di Caprichard)

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Piattaforma:360/PC(giocata) Data di uscita: 20 novembre 2008

Qualche anno fa, quando la Square Enix era impegnata a produrre Final Fantasy XIII, arrivò l’annuncio di un nuovo gioco di ruolo, di un nuovo IP, che sarebbe stato il cardine del loro progetto occidentale, per chiudere un po’ il gap esistente tra i fan occidentali e quelli orientali dei loro franchise.

Questo progetto si rivelò essere una falsa partenza, con The Last Remnant che fece un bel flop, che portò alla cancellazione della sua versione ps3 ed al focalizzarsi interamente sul nuovo Final Fantasy XIII e sequel.

Però io non ho trovato il gioco molto malvagio, anzi offre un’esperienza particolarmente unica nel campo dei jrpg degli ultimi anni.

Sidequestst!

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La mappa del mondo si naviga con un semplice cursore, ma ogni ambientazione è realizzata in 3D ed è esplorabile.

 

La storia di The Last Remnant onestamente è alquanto interessante e ben fatta anche se fondamentalmente semplice, ma questo è proprio il suo punto di forza a mio avviso.

Le vicende iniziano con uno spunto narrativo vecchio come il cucco: quello della damigella in pericolo. In questo caso la sorella del protagonista, un giovane diciottenne baldanzoso di nome Rush Skyes, viene rapita da ignoti e così Rush si mette sulle sue tracce. Fortunatamente riceverà l’aiuto di un’intera nazione, visto che riesce a farsi amico il Marchese di Athlum, uno dei pezzi grossi del gioco fin dalle prime battute. La storia si evolverà gradualmente, passando dalla ricerca di una persona rapita a dover salvare l’equilibrio del mondo.

Macchinazioni dei soliti megalomani e di forze oltre l’umana comprensione mineranno lo stato di pace del mondo e spetterà ai protagonisti della storia risolverlo. Tutti i personaggi coinvolti non hanno un approfondimento caratteriale od un’evoluzione estremamente forte nel corso della storia, risultando a volte piatti e prevedibili, ma almeno Rush non è il solito protagonista stupido fino al midollo oppure uno di quelli mestruati nell’anima. Invece è particolarmente… medio. Entusiasta, coraggioso e con una solida seppur stereotipata morale da bravo ragazzo. Insomma, non darà fastidio. I nemici anche sono poco più che macchiette, eccezione fatta per il Conquistatore, ma non tanto per cosa dice ma per il suo design: è un armadio svedese che picchia come un vichingo ed è veloce ed agile come un fringuello, un avversario davvero formidabile e di grande presenza scenica.

Quello che davvero da molto colore al gioco sono le tantissime sidequest, che vi vedranno interagire con una moltitudine di personaggi secondari, a seguirne le vicende in quest concatenate ed a cambiare le sorti delle città che aiuteremo.

La storia principale vi porterà in meno della metà del totale delle ambientazioni presenti nel gioco e per godersi appieno l’avventura occorre mettere da parte la storia nei momenti opportuni e darsi all’esplorazione del mondo per scovarne tutti i segreti. Questo comporta però il bisogno di avere una guida sotto mano in quanto alcune sidequest spariscono o sono disponibili solo in alcuni specifici momenti della storia principale.

Noi abbiamo un esercito

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Ogni volta che un attacco speciale si presenta VA USATO.

 

Il sistema di combattimento di The Last Remnant è forse il suo aspetto meglio e peggio riuscito contemporaneamente, vista la sua unicità.

Invece di comandare singoli personaggi, si comanderanno unità, composte da 1 a 5 personaggi diversi, organizzati in svariate formazioni. Ci sarà un leader designato, che deciderà l’accesso all’unità a determinate tecniche speciali e fino ad altri 4 soldati. Nel gioco esistono due tipi di personaggi reclutabili: i normali soldati e i “leader” ovvero personaggi non generici, ma con un carattere ed una personalità, i quali si uniranno alla vostra combriccola solitamente dopo aver completato le loro sidequest. Nella versione per 360 c’era un limite a quanti personaggi unici si potevano usare e quindi si era costretti a lasciarne in panchina tantissimi ed a riempire le squadre con inferiori soldati. Su PC invece questo limite è stato rimosso e questo permette la creazione di squadre estremamente variegate.

Ovviamente questo vale anche per i nemici: affronterete unità di soldati e le battaglie per questo risultano particolarmente eccitanti da vedere, con alcuni scontri per la storia dove i nemici riceveranno rinforzi vari o con attacchi su più fronti da dover gestire.

Ogni unione può essere ingaggiata e bloccata in combattimento solo con un’altra unione, tranne alcuni boss che possono tenere testa anche a 3-4 unioni contemporaneamente. Questo aspetto dovrà essere sfruttato nel miglior modo possibile per uscire vittoriosi dalle numerose battaglie in quanto ogni unione che attacca un’altra già impegnata in combattimento otterrà un bonus di fiancheggiamento, che causerà un bonus ai danni inflitti ed un aumento del morale. Questa tattica è impiegata anche dai nemici, che spesso e volentieri si lanceranno in gangbang violente contro una delle vostre unioni. Servirà quindi avere un tattica molto alla warhammer ovvero la tecnica “incudine e martello”. Un’unione grande e resistente dovrà funzionare da incudine, bloccando i nemici, mentre unioni più piccole e improntate tutte all’offesa attaccheranno ai lati.

Il problema di questo sistema di battaglia, potenzialmente molto profondo è dato dall’eccessivo effetto random e dall’incapacità di controllare in modo singolare i propri uomini. I comandi disponibili cambieranno ogni turno in base ad una miriade di fattori, come la salute massima, il bersaglio scelto, il morale e così via. E la legge di Murphy non perdona. Quando vi servirà caricare a piena forza con tutte le vostre tecniche speciali, apparirà un semplice attacca, senza possibilità di fare altro.

Un altro modo di rendere il tutto inutilmente più scomodo è la gestione dell’inventario. Solo Rush è gestibile al 100%, mentre tutti gli altri personaggi hanno equipaggiamento non modificabile, ma chiederanno di tanto in tanto al protagonista di andare a recuperare dei materiali od oggetti per potenziare le proprie armi. La frustrazione è estrema in quanto rende la crescita del proprio manipolo difficile da gestire e prevedere.

Anche il sistema di livelli e di potenziamento delle abilità è molto ottuso. Non avrete un livello vero e proprio, ma un rango di battaglia. Più questo è alto e più i nemici saranno potenti e non rappresenta direttamente la potenza dei vostri personaggi. Quindi per finire il gioco senza incontrare difficoltà, bisogna mantenere un battle rank basso, ovvero bisogna combattere poco, evitare nemici troppo più forti di se in quanto fanno salire il battle rank più velocemente, ma grindare gruppi di nemici di basso livello. Questo perché le proprie abilità migliorano più vengono usate, quindi se da un lato vorrete combattere il più possibile per potenziarvi, finirete per rendere alcuni boss estremamente ardui. Il bilanciamento di questo sistema è totalmente sballato ed è la causa principale di frustrazioni, in quanto non si può usare il ragionamento classico: il bossè troppo forte, quindi grindo un po’ e lo batto dopo. No, se si sbaglia ad allenarsi il boss sarà anch’egli più forte di prima e non sarà cambiato nulla.

Questo, unito con la randomicità della disponibilità di alcuni comandi genere un tasso di bestemmie/secondo durante le battaglie più ostiche particolarmente elevato. Fortunatamente su PC esistono un paio di mod che permettono di eliminare la restrizione sull’equipaggiamento dei vari soldati sotto il vostro comando, così almeno da ottimizzarne l’equipaggiamento e c’è anche la possibilità di aumentare il numero di unioni e di uomini schierabili. Quest’ultima cosa può rompere il gioco facilmente, ma rende le battaglie ancora più gloriose visto l’alto numero di persone coinvolte.

Y U SO UNREAL?

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Le città sono ben dettagliate anche se sono esplorabili solo in zone ristrette

 

Dal lato tecnico il gioco è sufficiente su PC. È stato il primo gioco della Square Enix ad essere sviluppato su Unreal Engine 3 e presenta i soliti problemi noti del motore, come un pop in delle texture, ma è sufficientemente leggero da girare un po’ ovunque. Su PC l’esperienza è tutto sommato ottima, di fronte ad un ottimo framerate e da una pulizia grafica tutto sommato buona. Alcuni scorci delle ambientazioni che si andranno a visitare sono estremamente evocativi e trasmettono sempre alla perfezione le giuste emozioni e sono inoltre molto vari, vi ritroverete davvero in una miriade di ambientazioni diverse ed uniche nel loro aspetto. I personaggi hanno vestiti veri e complessi ed aiutano a caratterizzarli a modo, anche se le animazioni sono molto rigide.

La musica è ottima. Tsuyoshi Sekito non è forse conosciutissimo, ma ha lavorato a parecchi giochi ed in questo Last Remnant ci da dentro. Le musiche di background delle ambientazioni sono piacevoli e sempre azzeccate anche se nulla di eccezionale. Il vero punto di forza sono le musiche da battaglia. Queste sono legate al morale e variano in base alla situazione. Passare da un morale basso ad uno alto in un turno ed avere la musica che cambia anch’essa da disperata e senza speranza ad un fantastico motivo che carica tutti per arrivare alla vittoria è molto galvanizzante come esperienza. Anche i temi dei boss sono molto epici e ben orchestrati.

Insomma, la Square Enix si trovava in un momento dove ha voluto osare e provare. Il prodotto su 360 era buggoso, pieno di problemi grafici, lento, con stupide limitazioni che ne affossavano il potenziale. La versione PC invece è molto più pulita, più stabile e godibile. Però quando è arrivata, un anno dopo l’uscita su 360, il gioco era già stato dimenticato dai più.

Io ci vedo invece una storia semplice ma mai troppo banale che si lascia seguire in modo piacevole, un bellissimo mondo realizzato molto bene dal profilo artistico ed un sistema di battaglia anche se dannatamente ottuso e frustrante a tratti, è così diverso da ogni altra cosa che offre il mercato che vale la pena essere provato.

Voto finale: 7.5/10

 

Tornato il buon umore? La prossima volta che ci sentiremo, sarà primavera! 😉
Per allora, vi delizieremo con altre perle, ma per quest’oggi abbiamo concluso! A settimana prossima!

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