Oggi ci prendiamo una pausa (temporanea vista la pletora di materiale in arrivo per appassionati di fumetti) dal “Marvel Storm” e torniamo con un Weakly Hobbyt più normale, per modo di dire, tra pirati di gomma, assassini & templari, biglietti d’oro e Mark Ruffalo!
Buona lettura!
Assassin’s Creed Rogue
(a cura di CapRichard)
Piattaforma: PC (giocata), 360, Ps3 Data di uscita: 13 novembre 2014 (console) 10 marzo 2015 (pc)
Mentre tutto il mondo, noi inclusi, era impegnato a giocare, guardare e lamentarsi di Assassin’s Creed Unity sulle nuove console, nello stesso periodo Ubisoft rilascia in sordina un altro AC, solo per le vecchie console: Rogue. In un secondo momento, in preda forse a qualche strana follia, la casa francese decide di fare un porting su PC, rendendo così il personal computer l’unica macchina a ricevere entrambi gli Assassin’s Creed. Da buon fan della saga, aspetto pazientemente fino alla sua uscita e me lo spulcio per bene. Il risultato? Voglia di prendere a schiaffi l’Ubisoft.
I make my own luck
L’aspetto più riuscito di questo Rogue è la storia. Il protagonista delle vicende è Shay Patrick Cormac, un tipo abbastanza anonimo devo dire, un Newyorkese che si unisce alla confraternita degli assassini d’America. Fin qui nulla di strano, almeno fino a quando la storia non va di traverso e Shay tradisce la confraternita e si unisce ai templari. Finalmente un gioco della serie che ci mette dall’altra parte, che ci fa vedere gli eventi sotto una prospettiva diversa. Il cambio di bandiera avviene a causa di un manufatto dei precursori gestito in malo modo dagli assassini e quindi Shay decide di porre rimedio a questa malata corsa al potere che ha portato molta distruzione e sofferenze cambiando sponda e distruggendo lui stesso la confraternita, andando ad eliminare uno dopo l’altro tutti i suoi vecchi amici e compagni. La storia potrebbe essere molto più tragica di quello che è in realtà. Ma oramai ci siamo abituati alla narrativa della serie che scorre veloce come il vento, senza mai soffermarsi più di tanto sui singoli eventi, importanti o meno per lo sviluppo del personaggio.
La storia coprirà dal 1752 al 1760, con un breve intermezzo nel 1776, nel bel mezzo della guerra franco-indiana combattuta tra le colonie francesi ed inglese nelle Americhe. Vengono toccati alcuni eventi storici, come la presa ed il massacro della fortezza di William Henry, divenuto abbastanza famoso grazie al romanzo l’ultimo dei Mohicani. Quindi incontreremo George Munro, colonnello inglese e templare, ed anche molti esploratori, come Christopher Gist e James Cook. Il cast storico ha un’importanza ed un livello di interazione maggiore rispetto ad altri episodi della serie, con molti personaggi imbrigliati nelle lotta tra templari e assassini e che rimangono per numerose missioni a fianco del protagonista. Anche Franklin ritorna in grande forma, con un intervento nella trama molto maggiore di quanto non fece al suo tempo in ACIII.
Ma non solo di riferimenti esterni vive Rogue, ma anche e soprattutto di riferimenti interni. Incontrerete volti noti della serie. Un anziano Adéwalé farà capolino, così come Achille, Haytam Kenway ed altri. La storia si incastra alla perfezione tra l’episodio III e IV di Assassin’s Creed e mette in luce alcuni retroscena interessanti di un paio di personaggi aiutandone ad espandere il background. Il finale del gioco sarà inoltre una bellissima chicca per i fan della saga.
Il pacchetto ovviamente non sarebbe completo senza quell’abominio delle sezioni del presente, ma oramai ci abbiamo fatto l’abitudine. Sono scarnissime, come quelle di ACIV, e durano davvero poco. Ancora non ho capito la necessità di averle, la saga sarebbe stata meglio senza di esse, però oramai ce le teniamo e via…
L’unico difetto di questo pacchetto è che scorre molto velocemente. Completare solo le missioni principali non dura di più di 6-7 ore, molto di meno per lo standard della serie e questo gioco più degli altri sopravvive di attività secondarie.
Black Flag 2.0, ristretto.
Non si può dire molto sul gameplay, in quanto è fondamentalmente identico a quello di Black Flag. Il che vuol dire che è buono, ma non fa molte cose di diverso.
Avrete sempre i vostri posti sulla terra ferma con i punti di osservazione dove sincronizzarsi, le missioni secondarie negli hub cittadini per liberare la ciurma, raccogliere foglio dei canti pirateschi, liberare settori della città occupati da banditi…… per mare invece ci saranno i forti da liberare, le balene e narvali da cacciare, tesori da scoprire, navi da abbordare….
In termini di varietà assoluta però, è superiore a AC Unity, visto che comunque abbiamo la dualità mare e terra ed il concetto dell’esplorare tipico di Black Flag.
Unica vera nota dolente è il sistema di navigazione, rimasto quello vecchio della serie. Avevo apprezzato dopo averci fatto la mano quello di Unity ed ora qui mi sento un po’ scomodo. Nulla di drammatico anche perché le abilità di navigazione vengono chiamate in causa molto di meno rispetto ai giochi della serie.
La varietà è più da ricercare negli ambienti questa volta. Le aree di gioco non sono grandissime, ma sono molto varie. Avremo New York come l’unica città urbana, ben fatta come al solito anche se piccolina rispetto alle altre città della serie. Le mappe nautiche sono etremamente diverse tra di loro. Avremo le valli intorno al fiume Hudson, navigabili grazie alla nuova nave, il brigantino Morrigan, in grado di navigare sia in mare che nei fiumi agevolmente e l’oceano Atlantico del nord. La differenza di ambientazione è fortissima, con il fiume rigoglioso di vegetazione verde e stretto, con poco spazio per la navigazione, mentre l’oceano è ampio e spazioso, ma molto minaccioso, con icebergs e alte onde.
La storia vi porterà avanti ed indietro tra tutte queste tre zone e si creerà un piacevole ritmo che riesce a non far venire mai la noia.
Le missioni sono strutturate però nel classico modo di Assassin’s creed, quindi se si gioca da molto nulla vi stupirà. Da notare come esiste una sola missione di pedinamento in tutto il gioco. MENO MALE.
Anche si si nota come il gioco sia comunque un progetto inferiore e come il manpower della Ubisoft era tutto impegnato su Unity. Le attività secondarie ci sono, i potenziamenti della nave e del protagonista sono presenti, ma tutte in numero inferiore rispetto a Black Flag, così come le ambientazioni sono meno dense di cose da fare e più ristrette, per quanto siano curate allo stesso livello degli altri giochi.
UGH, MY EYES!
Per quanto riguarda l’aspetto audiovisivo, ci troviamo sullo stesso livello di Black Flag, ne più né meno. Su un buon PC il gioco rimarrà inchiodato ai 60 fps tutto al massimo. Ci troviamo in questo caso in una situazione un po’ strana. Se da un lato oramai i miei occhi si stanno abituando al livello di dettaglio che offrono gli ultimi giochi, come Unity, Witcher 3, Batman Arkham (lo so non sono ancora usciti, ma i trailer ed immagini sono ovunque), DA:I e così via, dall’altro sono contento di giocare ad un Assassin’s Creed con delle performance ottime, visto che i 60 fps mettono davvero in risalto il gameplay fluido e le animazioni.
C’è sempre la solita buona così come i buoni canti marinareschi mentre si viaggia sulla nave.
Il risultato è un buon Assassin’s Creed a prezzo budget, con una storia un po’ mignon ma bella e ben inserita nel mito generale ed un gameplay solido e vario.
Voto personale: 7,5/10
“I left everything i own in One Piece…”
(A cura di Wise Yuri)
Cosa non si fa per amore. Platonico in questo caso, perchè non ho intenzione di limonare il signor Oda a tradimento per One Piece. Ho invece deciso di dare una chance comunque ad un nuovo titolo sulla licenza di One Piece, tale One Piece: Treasure, un free-to-play per iOS e presumo Android.
Sì, si può dire che è amore, perchè già avevo idea che sarei andato incontro ad altro masochismo gratuito provocato dalla mia curiosità, solo non sapevo di che tipo.
Nonostante sia un prodotto ufficialmente licenziato da Namco Bandai, all’occhio vi sembrerà un bootleg od un qualcosa fatto da un fan dedicato, perché la presentazione e stile non é qualcosa di cui andare tanto fieri, menchémeno stampare il proprio logo d’approvazione subito sopra.
Per farvi capire che questo non é un commento sarcastico a caso, vi mostrerò uno screenshot di una cutscene.
Sì, hanno riusato frame dalla serie TV, in tutta la loro gloriosa “qualità” (specialmente quella dei primi episodi), e senza curarsi di dargli una ripulita/aggiustata per il caso, anzi, spesso proponendo ritagli di screenshot anche eccessivamente zoomati. Senza stare manco a far notare come questi spudorati ricicli di materiale (roba degna di un bootleg fraudolento) stonino tremendamente con quanto è stato fatto ex-novo per il gioco a livello di grafica, che non é molto, ma é decisamente meglio di… quello.
Non che le cutscene composte da uno slideshow di sprite animati a metà siano eccitanti di per sé, ma un peccato perché il titolo ricopre la storia fin dagli albori a Fusha Town in maniera dettagliata, non saltando arc vari. Il che é fatto con motivazioni non proprio nobili, ma a quello ci arriveremo dopo. A livello di gameplay é un rpg… O meglio, le sezioni di battaglia di un rpg, visto che non c’è esplorazione di sorta e proseguite in maniera lineare di battaglia intervallata da cutscene ad un altra.
Quindi passiamo subito a parlare del combat system.
E lo dirò ora, se avete già giocato Puzzle & Dragons, sapete esattamente come funziona il sistema di power-up e debolezze elementali, e tutto il sistema di free-to-play in generale, perchè quello di One Piece Treasure Cruise è identico in pressapoco tutto. Forse uno dei migliori da copiare, visto che è un modello meno pressante nel cercare di estorcerci soldi ad ogni turno e vi fa giocare di più, ma rimane una mossa pezzente il copiarlo il tutto senza nessun ritegno. Ed il fatto che dovete per forza essere connessi ad internet per giocare (di nuovo, per gli stessi motivi di Puzzle & Dragons) rende ancora peggio il tutto.
In ogni caso sono combattimenti a turni, con a schermo la vostra ciurma (composta da 5 personaggi) ed il capitano di un’altra come ospite, con le rispettive icone da toccare per fargli attaccare, i nemici con un numero accanto alla salute che mostra tra quanti turni attaccheranno, e quando succede vi tirano un numero casuali di sferzate, ed il tipo di specializzazione é irrilevante, potrebbero attaccare usando giocattoli Clementoni invece di spade e cannoni nulla cambierebbe a livello di gameplay. Poi scelte di design come avere una un’unica grande barra della salute condivisa da tutti i personaggi tolgono le poche velleità strategiche possibili con queste meccaniche e design.
C’è un sistema di debolezze che divide i personaggi in tipologie quali Forza, Agilità e Destrezza, regolate da una logica carto-sasso-forbice, ed altre due che sono deboli solo l’una con l’altra. I personaggi poi si dividono in tipologie specifiche come Lottatore, Tagliatore, Pistolero (ed alcune non relative al combattimento) ed hanno statistiche di attacco, salute, recupero e via dicendo. Peccato che – come già detto prima- poco importino visto che servono solo a ricevere eventuali bonus d’attacco se scegliete come capitano uno con questa abilità passiva, ma ciò non vale per i nemici, perché non c’é un loro capitano.
Il gioco ha un sistema di potenziamento basato su carte(o poster da ricercato dei personaggi in questo caso) che è copiato pure questo (come quasi tutto in questo gioco, d’altronde) da Puzzle & Dragons: potete usare le carte come unità in battaglia, o fonderle con altre per potenziare quella usata come base, e se avete quelle adatte, potete usarle per far evolvere un personaggio.
Il problema é che sembra più complesso di quanto in realtà è, perché le opzioni tattiche sono relegate alle abilità speciali dei personaggi che richiedono un bel numero di turni per diventare usabili (come Usop che ritarda il turno d’attacco di un nemico o Krieg che avvelena tutti i nemici), ed ad usare a proprio vantaggio il sistema di debolezze ed eventuali boost dati dalle abilità dei personaggi capitano. E basta. Per curarvi dovete sferrare un attacco con una slot di recupero, e non dovete ne mancare ne azzeccare perfettamente il colpo, altrimenti non recuperate energia.
Non potete scegliere neanche di difendere per quel turno, non che serva visto che la migliore difesa in Treasure Cruise é l’attacco, ma nella maniera sbagliata, non come scelta data dalla valutazionedelle opzioni a vostra disposizione, ma come i suicidi di massa dei lemmings (anche se questa è solo una leggenda metropolitana), frutto di approccio ignorantissimo.
Il fatto che sia molto importante il tempismo e combo nel combat system per massimizzare il danno perlomeno mantiene un briciolo di partecipazione attiva come prerequisito per giocare, ma siccome ogni livello si svolge nello stesso identico modo, la ripetitività si insinua prestissimo e dopo il primo (od il secondo, se siete proprio fan di One Piece) mondo potreste anche fermarvi, non troverete nulla di nuovo ad attendervi. Anche se potrete capirlo dal secondo livello cosa sarà il resto del gioco.
Poi il fatto che procedendo nel gioco diventi il tutto pure più tedioso e prolungato fino all’inverosimile é amplificato da nemici con barre della vita ridicolmente lunghe e che vi possono segare via metà o più salute nel loro turno.Tradotto significa che il gioco infine cerca di sfiancarvi con le solite tattiche da free to play e rende al limite dell’inevitabile non usare valute premium, quelle o grinding per potenziare i personaggi.
Io ho smesso ad Arlong Park (completandolo per forma più che per altro) perché il modello free to play era diventato troppo pressante per allora. Per questo non so fino a che arco narrativo arriva il gioco nel suo stato attuale, ma ho giocato a sufficienza da capire che anche se coprissero fino agli ultimi capitoli del manga il gameplay rimarrebbe la solita robaccia identica comunque.
Commento Finale
One Piece: Treasure Cruise è esattamente il tipo di sforzo che ci si può aspettare da un titolo su licenza su smarthphone ed in formato free-to-play, una schifezza.
Anche se va ammesso che è più giocabile del previsto ed il modello free-to-play è meglio della media (nel senso mono abusivo e pedante), va anche detto che tutta la struttura free-to-play è copiata spudoratamente da Puzzle & Dragons, ed anche gran parte del combat system, se per quello.
Ma a prescindere è il solito titolo free-to-play che subito diventa monotono, ripetitivo e premia il giocatore che decide di proseguire in livelli tutti identici… con altri livelli tutti identici ancora più prolungati da nemici che fanno eccessivo danno e prendono un numero folle di colpi prima di cadere, il tutto per farvi usare quelle gemme o magari comprarne altre con denaro vero…
Brutto, ripetitivo e noioso, e vi forza pure ad essere connessi ad internet per giocare, se proprio volete scaricatelo (magari perchè come me siete fan di One Piece), giocatelo 10 minuti, poi cancellatelo e dimenticatevelo. Non vi perdete nulla a non giocarci, anzi, guadagnate tempo da spendere in altri giochi assai più meritevoli della vostra attenzione, pressapoco qualsiasi altra cosa.
Charlie and the Chocolate Fabric
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Nella lunga lista di film diretti da Tim Burton, Charlie and the Chocolate Fabric non è di certo il primo per bellezza, nè, se è per quello, per bruttezza. Io che di cinema non me ne intendo, forse avrei dovuto iniziare altrove a vedere film di Tim Burton, ma per qualche motivo, invece, una sera ci trovammo tra le mani questo film e il passo fu breve…
Charlie e la Fabbrica di Cioccolato è la storia, appunto, di Charlie, un ragazzo di una famiglia estremamente povera, che vive nella stessa città in cui c’è la più prestigiosa fabbrica di cioccolato (e di dolci) del mondo: quella del cioccolatiere Willy Wonka. Questa sta per riaprire, dopo che per spionaggio le formule di cioccolato furono rubate e conseguentemente tutti i dipendenti licenziati (inclusi il nonno di Charlie, Joe).
Ora però Willy Wonka sta cercando un erede per la sua Fabbrica di Cioccolato, e questo nella maniera più casuale di tutte: in cinque delle sue barre di cioccolata sono nascosti dei biglietti d’oro. Colui che trova un biglietto d’oro, ha la possibilità di fare un tour nelle fabbriche di cioccolato di Wonka. E uno di questi cinque, in seguito, diverrà collaboratore ed erede di Willy Wonka.

Charlie è fuori di se quando trova il quinto biglietto d’oro nella sua cioccolata!
Inutile dire che Charlie, per circostanze fortuite, otterrà uno di questi cinque biglietti, ed avrà la possibilità di visitare la Fabbrica di Cioccolato. Con lui ci sono il grasso Augustus Gloop, la viziata Verruca Salt, la competitiva Violt Beauregarde e l’aggressivo Mike Teavee. I cinque bambini, con i loro accompagnatori, incontrano così Willy Wonka, lo stralunato e strano proprietario della fabbrica, che permette loro un tour nei suoi stabilimenti. Chiunque arrivi alla fine del tour, potrà competere per diventare co-proprietario. Mentre si scopre che Willy Wonka ha problemi a parlare dei suoi genitori, ed in particolare della sua figura paterna, il gruppo via via si assottiglia sempre più. August rimane bloccato in un tubo che risucchia cacao da un lago di cioccolata, Violet prova una caramella a molla sperimentale che la fa gonfiare come un mirtillo, Verruca diventa vittima della propria cupidigia e viene portata via da Scoiattoli Sciaccianoci e Mike Teevee viene rimpicciolito per aver voluto giocare con una Tivù teletrasporto.

Ecco i cinque bambini con i loro cinque accompagnatori; da sinistra: Verruca, Charlie, Augustus, Violet e Mike
Rimanendo solo Charlie, Willy gli propone di venire a lavorare nella sua fabbrica. Tuttavia, per far questo, Charlie dovrebbe dire addio alla sua famiglia, in quanto non gli è permesso portarla con sè. Il bambino non accetta la condizione, e Willy rimane di nuovo da solo, deluso. Quando Willy va a trovare Charlie in città, il ragazzo scopre la natura dei problemi parentali di Willy; suo padre, un dentista, non gli ha mai permesso di mangiare cioccolata o dolci, e quando Willy, ribelle, viaggiò per il mondo in cerca di dolci, Wilbur Wonka, suo padre, sparì. Charlie aiuta i due a ritrovarsi e a far pace, e Willy Wonka accetta di far entrare la famiglia di Charlie nella sua fabbrica di cioccolata, e decide di far parte della sua famiglia. E così vissero tutti felici e contenti…
Charlie e la Fabbrica di Cioccolato, così scoprii dopo aver visto il film, in realtà è una specie di remake del primo film sulla fiaba di Roald Dahl, o anche una reinterpretazione dello stesso libro. Avendolo saputo prima, mi sarei goduto prima quel film, intitolato Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato, ma ormai la frittata è fatta.

Johnny Depp nei panni di Willy Wonka
Charlie e la Fabbrica di Cioccolato è un film che mi è decisamente piaciuto. La storia è carina, c’è molta suspance su come Charlie possa trovare il biglietto, soprattutto mano mano che i biglietti vengono scoperti altrove, ed anche il tour nella Fabbrica di Cioccolato è ben fatto e divertente. Sembra quasi di rivivere un’attrazione di DisneyLand, e una fabbrica così sicuramente non l’avete mai vista.
Grandi star di questa fabbrica sono gli Oompa-Loompa, dei piccoli ometti che amano cantare e sono pieni di idee per nuovi dolci. Questi vengono tutti interpretati da Gurdeep Roy, aka Roy Deep, e la sua interpretazione ruba la scena, secondo me, sia alla non sempre brillante interpretazione di Johnny Depp, sia a Freddie Highmore nei panni di Charlie Bucket. Le canzoni degli Oompa-Loompa sono geniali e le loro coreografie ancora migliori. Star del film, senza dubbio.

La Fabbrica di Cioccolato è davvero un luogo spettacolare!
Gli altri due attori che mi hanno particolarmente convinti sono Christopher Lee nei panni di Wilbur Wonka, padre di Willy Wonka, in un ruolo di breve durata ma di forte intensità emotiva, e David Kelly, nei panni del nonno di Charlie, Joe. Kelly è il classico nonno adorabile, dolce e gentile, che appena riceve la buona notizia di poter accompagnare Charlie nella Fabbrica, torna ad essere vitale ed ottimista.
L’interpretazione di Johnny Depp mi lascia un pochino perplesso. Non è di certo pessima, chiariamo, semmai è il suo personaggio ad essere un pò stralunato. Se uno ha visto Pirati dei Caraibi, si direbbe quasi che siamo di fronte ad un personaggio simile se non uguale; stralunato, folle, lunatico, infantile… Willy Wonka, in ogni caso, non me lo immaginavo affatto così, e per quanto il personaggio vuol esser reso complesso, con problemi che ne motivino i comportamenti, non mi ha del tutto convinto.

Star del film? Roy Deep nel ruolo di TUTTI gli Oompa-Loompa!
Protagonista della storia è Charlie, ed anche il suo modo d’essere non mi convince: troppo buono e troppo perfetto. Il film vuol essere una fiaba, certo, ma nessun bambino sarebbe mai perfettamente buono come Charlie. Il suo modo d’essere si ritrova così da un lato dello spettro del bene e del male così estremo, da risultare meno credibile di Verruca, Augustus, Mike e Violet. Anche questi quattro non brillano di certo per caratterizzazione, d’altro canto, nè lo fanno i loro genitori. Sono tutti stereotipi e, ripeto, per quanto siamo di fronte ad una fiaba, ritengo che si poteva fare meglio.
Nonostante queste critiche, ritengo il film un buon film; le musiche sono ben fatte, la trama diverte per la lunghezza della sua durata e per quanto la pellicola sia lontana dalla perfezione, si lascia ben guardare. Godetevi questo film, magari con un pò di cioccolata nelle vicinanze. Tanto la fame vi verrà. =)
Voto Personale: 7.5/10
Begin Again – Tutto può cambiare
(A cura di Alteridan)
Il mondo cinematografico non è fatto di soli capolavori. Al contrario, ritengo che le pellicole veramente imperdibili siano molto poche, e che queste si perdano in un oceano di mediocrità. In questa sconfinata distesa di film trascurabili, ogni tanto, spunta anche qualche lungometraggio degno di nota, magari non particolarmente entusiasmante, che non resterà nella storia del cinema, ma che comunque riesce a svolgere egregiamente il suo mestiere: intrattenere lo spettatore. È il caso di Begin Again, tradotto “Tutto può cambiare” nell’italico idioma.
Dan Mulligan (Mark Ruffalo) è un producer per un’etichetta musicale indipendente la cui vita è semplicemente andata a rotoli per una serie di circostanze sfavorevoli. Una notte, quella che con buona probabilità sarebbe stata l’ultima in questo mondo, Dan entra in un bar e scopre per caso la talentuosa Gretta James (Keira Knightley), un’autrice di brani musicali che ogni tanto si cimenta anche nel canto. Dopo questo incontro fortuito, Dan riscopre la passione per il suo lavoro e inizia la sua personale risalita.

Il disco sarà completamente registrato nelle strade di New York.
Begin Again è uno di quei film che possono essere tranquillamente classificati nel filone dei “feel good movies”, a metà tra film drammatico e commedia. L’ultima pellicola firmata da John Carney sfrutta più di qualche cliché del genere: abbiamo il classico uomo di successo in piena crisi di mezza età, che ha mandato alle ortiche il rapporto con la sua famiglia; e non poteva nemmeno mancare la tipica ragazza cornificata dal ragazzo. Diciamolo chiaramente, l’originalità non è il pezzo forte di questo film: fin da subito si capisce dove andrà a parare tutta la narrazione, ma il bello è forse proprio questo. Se il finale appare scontato, è ciò che avviene tra l’antipasto e il dessert che rappresenta la portata principale. Tutte le vicende che portano alla risalita sono narrate in maniera lineare, ma ogni cosa è al posto giusto e il tutto scorre in maniera estremamente piacevole.
Centrale, inoltre, è il ruolo della musica. Le vicende del film gravitano intorno al lavoro di Dan Mulligan, il quale ha intenzione di produrre un album di cui Gretta e i suoi pezzi siano i protagonisti. I pezzi che fanno da sottofondo sono di un pop che più classico non si può, ma si lasciano ascoltare e contribuiscono a generare il giusto mood per l’intera pellicola.

Gretta e Dave arrivano nella Grande Mela da Londra per inseguire i loro sogni.
Ciò che stupisce, però, è l’alchimia che si viene a formare tra Mark Ruffalo e Keira Knightley, entrambi in grado di immedesimarsi alla perfezione nei ruoli principali del film. Due attori che personalmente ritengo molto sottovalutati, ma che in ogni film danno il meglio di loro stessi e forniscono un valore aggiunto non indifferente alle opere di cui fanno parte. D’altro canto, fa storcere il naso la performance di Adam Levine: il frontman dei Maroon 5 qui interpreta Dave Kohl, ex fidanzato di Gretta e musicista di successo. Nulla da dire sulle sue doti musicali, ma quando recita scompare, completamente eclissato dagli altri attori su schermo: è chiaro che la recitazione non è il suo forte.
In definitiva, Begin Again è un film piacevole, da vedere se si apprezza questo tipo particolare di opere cinematografiche. Come scritto in apertura, non è un capolavoro, ma si lascia guardare ed è sicuramente più appetibile di altre produzioni a budget medio-basso.
Giunti alla fine di un’altro Weakly, è di nuovo il momento di salutarci… almeno fino al prossimo numero!
12 febbraio 2017 alle 14:47
[…] il gdr a turni che era Treasure Cruise (che recensii…. non tessendone le lodi), ora abbiamo un action-rpg stile Gauntlet, ma uno molto semplificato e basico, con il personaggio […]