Prima intro del Weakly Hobbyt che vi scrivo dalla mia nuova abitazione! Finalmente ho il mio Computer nella casa nuova, non sapete che soddisfazione.
Mancano poche settimane all’E3 di Los Angeles, nel ben conosciuto Convention Center in cu il sottoscritto è stato nel 2012 durante la Conferenza del SIGGRAPH. Oggi, in via eccezionale, cinque i temi di cui parliamo, anche se di uno abbiamo già parlato in passato. Il sommario lo avete già visto, come avete anche visto la copertina, quindi sapete di cosa parliamo. Passiamo agli articoli!
The Witcher 3: Wild Hunt
(a cura di CapRichard)
Piattaforme: PC(giocata),Xbox One, PS4 Data di uscita: 19 Maggio 2015
Cd Project ne ha fatta di strada. Erano in principio un piccolo studio atto alla localizzazione di titoli dall’inglese al polacco. Un giorno decisero di creare una società satellite, i CD Project RED per sviluppare videogiochi. Decisero di utilizzare un’IP del fantasy locale, largamente sconosciuta al pubblico internazionale all’epoca: Saga o Wiedziminie, inglesizzato poi con The Witcher Saga e italianizzato con La Saga dello Strigo.
Il primo The Witcher fu realizzato con un team di poche persone, usando un motore grafico in licenza della Bioware ed era estremamente grezzo, anche se l’amore verso la saga e l’attenzione al dettaglio era già molto elevata.
Grazie alla creazione del sito di vendita di giochi drm free conosciuto come GOG, che ha da solo quasi eliminato la pirateria videoludica in Polonia, lo studio ha potuto espandersi e quando arrivò il momento di portare in vita The Witcher 2 si passò ad un motore grafico interno, un numero maggiore di impiegati e ne uscì un prodotto migliorato sotto ogni possibile aspetto. Per The Witcher 3 le cose si sono ingigantite ancora di più. Un team di più di 200 persone ha lavorato al progetto, lanciando il gioco in contemporanea su PC e console e mettendosi nel filone degli open world.
Il risultato? Meglio di ogni rosea previsione.
Non hai letto i libri? AHIAHIAHIAHI!

I mostri sono fantastici ed alcuni grazie all’Hairworks su PC hanno un pelo magnifico.
Come sempre, discutiamo un po’ di tutto il comparto narrativo. The Witcher si distingue dagli altri RPG occidentali per presentarci un protagonista principale non personalizzabile in aspetto e neanche in carattere, in quanto Geralt of Rivia è preso direttamente dalla prosa di Andrzej Sapkowski ed è quindi un personaggio con una corposa caratterizzazione alle spalle. Nonostante questo, CD project è sempre stata molto brava a mettere il giocatore di fronte a scelte estremamente difficili e complesse, che vanno a definire non tanto Geralt, quanto il giocatore stesso, in quanto sono ottimi momenti di introspezione. Witcher 3 si stacca da questa linea e rispetto ai precedenti capitoli offre un approccio molto più neutrale, in linea con il Geralt dei libri, e lascia tutti i momenti estranei dal personaggio nelle sidequest a stampo politico, lasciando l’iniziativa totalmente nelle mani del giocatore in quei frangenti e lasciando la storia principale più concorde col l’atmosfera dei libri.
Il ritmo della storia è totalmente opposto a quello del capitolo precedente. Geralt è sulle tracce di Ciri, la sua figlia adottiva, sparita tempo fa e che ora sembra sia tornata in zona e la Wild Hunt, la caccia selvaggia del folklore nordeuropeo, è sulle sue tracce. Dopo un incipit che ci mette al corrente della situazione, il resto è abbastanza semplice: cercare indizi nella zona di Velen, nella città di Novigrad e nelle isole Skellige. Ed il gioco ci lascia nel suo open world.
Qui libertà totale data al giocatore in che ordine seguire la storia principale, quanto tempo perdere nelle missioni secondarie o nelle missioni di caccia ai mostri. La cosa più straordinaria di tutto questo è come il gioco reagisce al giocatore. L’ordine di completamento delle quest influenza l’ordine con il quale si ottengono le informazioni e la percezione degli eventi. Questo cambio non è solo sul giocatore, ma anche nel mondo, con dialoghi tra i personaggi che variano di conseguenza. Anche cose completamente secondarie vengono prese in considerazione. Un esempio che mi è rimasto impresso è come la quest principale mi ha mandato in una zona che avevo già esplorato per conto mio e già ripulito. Geralt esclama: “meno male che ci sono passato già prima”.
Questo ovviamente porta ad eventuali problemi di ritmo, tipici però di tutti i giochi open world, dove la fretta dettata dalla quest principale cozza con i tempi rilassati di fare ogni cosa secondaria.
Fortunatamente, ogni singola quest secondaria ha un perché, ha una storia legata, dei personaggi unici ed una vita propria nel mondo. Se all’inizio andrete a farle per ottenere soldi, armi, materiali per il crafting e quant’altro, dopo le vorrete fare per il puro piacere della scoperta di nuove situazioni, nuove personalità e per sapere di più sul mondo. Una cura simile in un open world non si è mai vista ed è il vero punto di forza del gioco a mio avviso.
Come aneddoto: mentre stavo cavalcando, mi imbatto in un gruppo di lupi che sta aggredendo un cane. Lo salvo. questo ha una medaglietta con una chiave al collo. Mi porta alla casa del suo padrone, morto e depredata dai briganti. Li uccido, apro la cassa come “ricompensa” grazie alla chiave del cane e trovo al suo interno oltre che qualcosa di utile, anche un documento, pezzo di un diario della persona morta, un viaggiatore di terre lontane…. Una quest triviale nasconde comunque la vita di una persona, complessa e variegata che l’han portato dov’era. Nulla è lasciato al caso, nulla.
La storia principale prende velocità mano a mano che si avanza e l’atto II e III sono altamente esplosivi, pieni di momenti toccanti ed epici. Io sono un amante dei momenti ensemble e quello di The Witcher 3 è uno dei migliori mai fatti anche solo per la compresenza sullo schermo di tutti i partecipanti, non cose fatte a metà come nei giochi Bioware.
I personaggi coinvolti nelle trame e sottotrame sono davvero tanti e moltissimi presi dai libri sono introdotti per la prima volta in questo capitolo. Un’enciclopedia interna aiuta a tenere traccia dei veri personaggi, ma si fa un po’ fatica ad affezionarsi ad alcuni di essi se non si sono mai letti i libri e si perderanno i migliaia di rimandi presenti nel gioco. È un po’ un peccato che abbiano deciso di inondare il terzo capitolo di gente “sconosciuta” che non ha molto spazio per esprimersi al meglio. Questo porta a creare una differente visione dell’insieme e degli affetti per i fan dei libri e per quelli che invece han giocato solo ai videogames. I nuovi arrivati si ritroveranno un po’ spaesati solo ogni volta che Geralt saluta la gente con “ehi è da un po’ che non ci si rivede”, ma tutte le informazioni importanti vengono date in modo chiaro e sufficientemente graduale risultando in un’insieme godibile da tutti.
CD project aveva inoltre detto che questo capitolo sarebbe stato il finale per Geralt. Senza spoiler, posso dire che la chiusura non è forte come mi sarei aspettato, ma è abbastanza definitiva. In base alle vostre scelte ci saranno 3 finali possibili per Geralt e 3 per Ciri con moltissime varianti minori per le varie sidequest e lo stato sociopolitico del mondo.
Nel finale ho pianto, mi sono emozionato e tirando le somme, sono stato molto soddisfatto del risultato.
A passo di danza
Da un punto di vista un pochino più meccanico, troviamo una versione riveduta e corretta del sistema di Witcher 2.
Geralt si comanderà in un sistema di combattimento in tempo reale in terza persona tipico dei giochi di azione. Un comando per gli attacchi leggeri, uno per quelli pesanti, uno per la parata ed uno per gli incantesimi. Le schivate sono di due tipi: un salto breve in tutte le direzioni ed una rotolata classica a lunga gittata.
Geralt aumenterà di livello abbastanza lentamente e riceverà un punto abilità per livello da distribuire in vari alberi, rimasti quelli classici della saga: fisico, magico e alchemico. Specializzarsi come sempre porta risultati migliori che spendere punti ovunque, specie perché per accedere alle abilità di livello alto servono molti punti investiti nello stesso albero. Ogni build è forte e questo causa una curva di difficoltà inversa nel gioco. Se i primi momenti saranno difficili, più si va avanti e più il gioco diventa semplice. Per fortuna si può variare la difficoltà in ogni momento.
Io ho finito il gioco con una build basata sui segni, gli incantesimi usati dai Witcher, ed ero abbastanza forte, in grado di essere immune ai danni, di rigenerare la mia vita a schifo sfruttando gli attacchi avversari ed avevo un controllo del campo di battaglia non indifferente. Molto appagante ed usare spesso gli incantesimi rende il gameplay più interessante a mio avviso. Dall’essere totalmente impacciato all’inizio, sono arrivato nel finale dove mi muovevo agilmente da un nemico all’altro, in quella che sembrava una danza. Colpo, affondo, piroetta, scarto laterale, incantesimo, di nuovo colpo, parata, doppio scatto e via si ripete.
L’unico problema del sistema di combattimento è la lag tra input ed output. Per alcuni può essere la cosa peggiore del mondo, ma ricordiamo, non è un action puro quindi non si soffre allo stesso modo. Non sono mai morto perché i comandi non sono stati eseguiti al momento giusto. Basta comunque farci la mano e poi si va avanti abbastanza lisci.

Il design delle armature è perfetto ed il movimento dei mantelli è davvero ottimo con pochissime compenetrazioni
Un’altra meccanica a mio parere molto riuscita anche se oggi un po’ derivativa sono i sensi da Witcher. Geralt può focalizzare i suoi sensi entrando in modalità… detective mode di Batman. Non c’è modo migliore di spiegarlo. Un’abilità molto tematica visto che i Witcher hanno sensi sovrumani per la caccia ai mostri. Questa modalità verrà usata spessissimo sia nelle quest di caccia che in quelle principali. Potrebbe portare un po’ alla noia visto che si tratta di premere un pulsante vicino ad oggetti colorati di rosso, ma ogni interazione è commentata da Geralt ed avanza la trama o la caccia al mostro, quindi sarete incuriositi nel progredire per scoprire tutto ed è usata abbastanza bene per spezzare il ritmo tra un combattimento e l’altro nelle missioni principali.
C’è anche un minigioco alquanto corposo: Gwent, un gioco di carte collezionabili. L’ho provato nell’area tutorial, mi ha fatto schifo e non l’ho più toccato, ma in giro alcuni giocatori ne vanno pazzi e la quest di raccogliere tutte le carte, creare mazzi e partecipare al torneo di Gwent.
Shit, a storm
La cosa forse più apparente del gioco è il suo open world. Diviso in macroaree per ragioni geografiche (una zona sono delle isole molto distanti dalla terraferma) non ha un dannato caricamento dopo quello iniziale. Anche gli edifici, sono tutti aperti. Questo crea un senso di libertà di movimento e di coerenza raramente visto in altri open world. Ah e considerate che una macroarea è grande poco più di mezzo Skyrim.
La cura al dettaglio è straordinaria, ogni cosa non è messa a caso, ma è pensata, ragionata, ha un perché, una storia ed un motivo. Certo, alcune caverne sono riciclate e qualche struttura si ripete un po’ troppo, ma ve ne accorgerete solo dopo aver esplorato in lungo ed in largo.
La varietà di ambientazioni non è la più elevata, ma è controbilanciata dalla cura con la quale sono realizzate. Velen è una zona devastata dalla guerra tra due regni, con paludi, rifugiati di guerra, piccoli villaggi sparsi e mostri a non finire. Novigrad è invece una grande città e si trova nella stessa macroarea di Velen quindi è tutto continuativo. Immensa, circondata da terreno fertile per coltivazioni. Tra le due c’è anche la cittadina di Oxenfurt, di stile più culturale ed universitario. Le isole Skellige sono piene di vichinghi, vette innevate e paesaggi mozzafiato con vista mare e con una vegetazione da climi più rigidi. I posti sanno di vissuto, di reali e non di fasulli.
Il vento che ulula e che fa muovere ogni singolo albero, le tempeste che bagnano tutto, unite all’ottimo sistema di illuminazione creano degli scenari che di solito sono visibili solo nella vita reale. Il ciclo giorno notte è anche realizzato molto bene e per noi Italiani può risultare spaesante: il sole si alza alle 3 del mattino e più si va a Nord e prima sorgerà, esattamente come nel mondo reale.
Personalmente il “piove col sole” non l’ho mai visto in un videogioco. Qui è realizzato alla perfezione, con il fronte delle nuvole che si intreccia con il sole per creare uno scenario realistico e fantastico allo stesso tempo. Davvero magistrale. La pura resa grafica è molto inferiore rispetto ai trailer rilasciati nel 2013 e il passo in avanti rispetto a Witcher 2 non è così marcato. Ma come ho detto prima, il salto non è stato in qualità puntuale, ma in scala.
La musica è fantastica, sempre stesso stile polacco che a me piace molto. Forse però quando si esplora potrebbe convenire toglierla per immergersi ancora di più nel bellissimo mondo.
GOTY
CD Project ha dimostrato una volta per tutte di non essere seconda a nessuno. Il primo vero gioco Open World fantasy fatto come si deve. Non un sandbox, ma un gioco dove c’è un mondo vivo che reagisce alla presenza del giocatore e che cambia con lui ed in base alle sue decisioni. Una storia complessa, piena di personaggi interessanti incernierata su un mondo molto realistico e high fantasy allo stesso tempo. Un monito che i giochi AAA possono ancora dire tanto, a tutti e forgiare mondi fantastici da esplorare e vivere. Insomma, un gioco open world con l’integrità narrativa e la profondità di un gioco lineare. Il sogno proibito di molti si avvera.
Una curva di difficoltà a caso ed un sistema di combattimento un po’ grezzotto potrebbero far storcere il naso ai giocatori che guardano più quell’aspetto dei giochi di ruolo, ma se siete giocatori che guardano di più all’esplorazione, al mondo ed alla storia, è un’esperienza imprescindibile. Il modo migliore di finire la trilogia, in continuo miglioramento e punto di riferimento per tutti i videogiochi open world da ora in poi.
Voto personale: 9,5/10
Les Choristes
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Conosciuto anche in Italia col nome “I ragazzi del coro”, questo Les Choristes è un film che mi era perfettamente sconosciuto, nonostante fosse tra le nomination di miglior film straniero agli Oscar del 2005. La mia ragazza, invece, lo adora, e come al solito, in una serata di relativa noia, tra trasferimento e lavoro, ci siamo goduto un film francese. Si, è possibile.
Il film comincia quando due anziani si incontrano la prima volta dopo tanti anni. Uno dei due, di nome Pierre Monhange, è un affermato conduttore di orchestra, e ha appena saputo della morte della propria madre. La sera della giornata, viene raggiunto da Pepinòt, con cui ha frequentato alcuni anni di scuola assieme. Pepinòt gli mostra una vecchia foto di classe, ed i due, grazie al diario che Pepinòt da a Pierre, ricordano i loro tempi di scuola assieme al loro Maestro, Matheiu.

L'incontro iniziale è tra Monhange, a sinistra, e Pepinòt, a destra.
Il diario appartiene a Mathieu stesso, e narra di come il Maestro, abbandonate le speranze di diventare un compisitore di successo, si candida come Maestro in un riformatorio Maschile. Il primo giorno, incontra proprio Pepinòt, che sta davanti al cancello del riformatorio in attesa che i genitori lo vengano a prendere. Gli avevano promesso di venirlo a prendere Sabato, e pur non essendo sabato, il piccolo Pepinòt già si prepara per l’evento.
Matheiu in seguito scopre che i genitori di Pepinòt sono morti nella seconda guerra mondiale, ed è improbabile che chiunque lo verrà mai a prendere. Presto, Mathieu scopre i problemi che attanagliano il riformatorio. I bambini vengono trattati in maniera molto severa dal direttore, Rachin, un uomo senza scurpoli, frustrato dall’impossibilità di andarsene dal riformatorio, ed i bambini stessi sono dispettosi oltre ogni limite. Ad esempio, all’arrivo di Mathieu, Maxence, il custode del riformatorio, viene ferito all’occhio da una trappola dei ragazzi, al punto da non poter più assolvere ai propri compiti.

Mathieu e Rachin hanno vedute su come trattare i bambini completamente diverse
Matheiu scopre chi è stato a mettere la trappola, ma invece di portarlo da direttore, se lo tiene per sè, e convince così il colpevole ad aiutare Maxence nei suoi compiti in cambio di averla fatta franca. Matheiu, inoltre, che pur ha i suoi problemi con i bambini, cerca di stare dalla loro parte, e così si ingrazia presso di loro. Per stimolare ulteriormente il loro scopo di vita, inizia a creare un coro di voci bianche, sperando ancora una volta che la musica da lui composta possa in qualche modo divenire famosa.

Mathieu s'impegna per i bambini e tenta di dare loro uno scopo
Tra tutti, Mathieu ha particolari problemi con un ragazzino di cognome Monhange, che fa il bullo, pur avendo una faccia da angelo. Spesso, Monhange sembra farsi influenzare dagli altri ragazzi, e quando Matheiu scopre che ha una voce bianca particolarmente bella, gli da il ruolo di voce solista, che a Monhange piace e porta al proprio compiacimento. Mathieu, nel frattempo, si innamora della madre di Monhange, ma presto questa si innamora di un altro uomo; tuttavia, Monhange nota l’infatuazione da Mathieu verso la madre, ed il rapporto tra i due si incrina.

Mathieu scopre il talento vocale di Pierre Monhange
Le cose nella scuola vanno nel verso giusto, ed anche Rachin diventa più amichevole nei confronti dei bambini, finchè non giunge lì un ragazzo di nome Mondain. Già cacciato da diversi riformatori, Mondain fa il bullo contro Pepinòt, e distrugge l’armonia creata da Mathieu. Le cose vanno di male in peggio, quando Mondain scappa e contemporaneamente scompaiono i soldi di Rachin destinati a pagare acqua calda e corrente del riformatorio. Quando Mondain viene riportato alla scuola dalle forze dell’ordine, i soldi non fanno ritorno comunque, e Rachin sospende il coro di Mathieu, mandando via Mondain al contempo, che ora viene imprigionato.

Mathieu s'infatua della madre di Monhange, ma c'è poco da fare, lei presto incontra un altro uomo
Mathieu non si da per vinto e continua a provare con i ragazzi di nascosto, per poi ritornare in voga quando una Contessa locale, sentito del coro, vuole assistere ad una loro esibizione. Mathieu fa fare di sorpresa l’assolo vocale a Monhange, ed i due si rappacificano. Rachin, però, si prende il merito del coro, e viene invitato ad una riunione di alta dirigenza di riformatori, in cui Rachin spera di ingraziarsi la Contessa e venire promosso. Mathieu, “per dispetto” di non venire coinvolto nel successo ufficiale del suo coro, organizza una cita con Maxence coi ragazzi.
Durante la loro assenza, Mondain, scappato di prigione, appicca un incendio nelle stanze dei ragazzi della scuola. Quando Rachin ne viene informato, teme il peggio, e lascia la conferenza per tornare alla scuola. La sua promozione, ovviamente salta, e si teme per la vita dei bambini. Quando però si scopre che i ragazzi erano in gita con Mathieu, i genitori dei bambini sono enormemente sollevati. Rachin, tuttavia, è frustrato e arrabbiato, e licenzia Matheiu, e forza i bambini all’arresto nelle loro stanze. Nonostante questo, con aeroplanini di carta, i bambini salutano Mathieu.

Mathieu affronta Mondain, vero e proprio diavolo
Lì, il diario finisce, e Monhange completa la storia dicendo che sua madre lo recuperò dal riformatorio e lo portò alla scuola di musica di Lyon, dove poi apprese il suo mestiere attuale, con cui divenne famoso in tutto il mondo. Pepinòt, invece, rivela a Monhange che dopo l’arresto, lui fuggì dalla propria stanza e raggiunse Mathieu, pregandolo di portarlo con sè. Dopo un iniziale rifiuto, Mathieu acconsentì, e Pepinòt infine lascio il riformatorio. Era un sabato.
La storia, semplicemente, è di una dolcezza incredibile, in particolare quella di Pepinòt che, più piccolo tra tutti i ragazzi, veniva sempre maltrattato, prima anche da Monhange, ma poi soprattutto da Mondain. Mathieu, che lo prese in simpatia, minacciò seriamente Mondain di lasciare in pace il piccolo Pepinòt.
I protagonisti delle vicende, comunque, rimangono Mathieu e Monhange, lui il maestro, l’altro l’apprendista musicale; e forse è protagonista anche lo spitito con cui ai bambini devono venire insegnate le cose a scuola.

Reale scena del film, tra Pepinòt e Le Querrec. Dolcissima!
Il messaggio principale, infatti, è che con la violenza si risolve poco. Se i ragazzi non hanno voglia di imparare, con severe punizioni non si risolve niente. E al contempo, se i ragazzi fanno i dispettosi, idem. Ci vuole pazienza e comprensione.
Rachin e Mathieu rappresentano i due opposti di questa equazione. Rachin non ha pazienza, non ha comprensione, odia il proprio lavoro e tutto ciò a cui aspira è una promozione e andarsene da lì. Mathieu, invece, adora fare quel che fa, ed ha un cuore per i bambini, cercando di capirli e impegnandosi a migliorarli.

L'esibizione davanti la Contessa
Un altro temo del film, ovviamente, è la musica, e di come la musica ha il potere di unire un gruppo, placare i ribelli spiriti di un gruppo di individui iper-attivi; Mathieu scrive musica e spera di diventare famoso, ma non per la fama, più che altro per riconoscimento. Vede nei giovani l’ultima chance per avere successo, e quando fallisce, e gli vengono rubati i riconscimenti da Rachin, la sua delusione è grande. Ciononostante, in qualche modo, la sua opera è proseguita, con Monhange divenuto così famoso alla fine proprio grazie a lui.

La faccia da angelo di Monhange è in sintonia con la sua voce
Il film è girato bene, gli attori sono tutti bravi nei loro ruoli, ed il doppiaggio, almeno in tedesco, è di buona qualità. Purtroppo il mio francese non è di livello sufficientemente alto da permettermi di vedere il film in lingua originiale.
Un merito speciale va alla colonna sonora, che rimane in testa per diversi giorni dopo aver visto un film. Peccato non poterla cantare con Mathieu e Monhange.
Chiunque non conoscesse il film o non ne abbia mai sentito parlare, dovrebbe quindi recuperarlo. E’ un film bello, dolce, e con un messaggio importante, soprattutto nella società di oggi. Caldamente raccomandato.
Voto Personale: 8.5/10
CounterSpy
(A cura di Alteridan)
Versioni giocate: PlayStation 4, PlayStation Vita
Se c’è un merito che si può, e si deve riconosce a Sony è sicuramente quello di aver cercato di espandere il più possibile l’offerta videoludica delle console della famiglia PlayStation. È già da diversi anni che il PlayStation Store ospita produzioni minori che si vanno ad affiancare ai vari tripla A in vendita nei negozi, ma è solo nell’ultimo periodo che le console Sony sono diventate un vero e proprio paradiso per gli sviluppatori indipendenti, lontani dall’oceano di shovelware che sta iniziando a inondare Steam, e spesso sotto i riflettori grazie agli straordinari sforzi comunicativi della compagnia giapponese.
A volte, però, questo sodalizio sfocia in una vera e propria collaborazione per creare videogiochi esclusivi per le piattaforme Sony: è il caso di CounterSpy, titolo sviluppato da Dynamighty e pubblicato direttamente da Sony Computer Entertainment.
CounterSpy è un gioco difficile da classificare: è un po’ action, un po’ platform, un po’ stealth, e non si fa mancare quel pizzico di casualità tipica dei roguelike, un genere che pare essere tornato particolarmente in voga in questi ultimi anni. Ambientato in un mondo alternativo in piena Guerra Fredda, CounterSpy ci mette nei panni di una spia che lavora per una terza parte non invischiata né con i sovietici, né con il blocco occidentale: si tratta di un’agenzia impegnata a sabotare le operazioni di entrambe le fazioni al fine di evitare l’escalation del conflitto e il successivo scoppio di una guerra termonucleare globale. Lo scopo del gioco, quindi, è raccogliere quanti più segreti militari possibili da utilizzare per prevenire la costruzione e il lancio di un’arma definitiva in grado di obliterare l’intero pianeta e che, ovviamente, sia gli americani che i russi stanno costruendo.

L’approccio furtivo è sempre preferibile.
Per raccogliere informazioni, il gioco ci dà di volta in volta la possibilità di scegliere quali missioni affrontare, in quali complessi infiltrarsi, e soprattutto quale fazione colpire. La struttura dei livelli verrà generata ogni volta in maniera procedurale, con obiettivi casuali e un grado di difficoltà variabile: chiaramente più sarà elevata la difficoltà e maggiori saranno le ricompense in termini di segreti da raccogliere, denaro da rubare, schemi di potenziamento delle armi nascosti nei laboratori di ricerca, e così via. Sta poi al giocatore decidere come affrontare ogni missione, magari provando a non farsi notare e raggiungere la fine del livello senza colpo ferire, oppure con le armi spianate in pieno stile James Bond, con tanto di salti rocamboleschi, esplosioni devastanti, e una scia chilometrica di cadaveri. Attenzione però a non attirare troppo l’attenzione evitando che i nemici chiamino i rinforzi: in questo caso salirà il livello di DEFCON globale, una volta raggiunto il grado di DEFCON 1 verranno attivate le procedure di lancio automatico dei missili intercontinentali e addio Terra.

Le casseforti contengono denaro o potenziamenti per il nostro agente.
Permettetemi di spendere qualche parola sullo stile grafico del gioco: ci troviamo di fronte a un gioco in 2,5D, questo significa che gran parte dell’azione avverrà in un ambiente bidimensionale, ma non mancheranno sezioni in cui la visuale passa dietro le spalle del protagonista, trasformando il gioco in una sorta di shooter in terza persona. Questa visuale si attiva solamente quando siamo in copertura, dandoci l’opportunità di valutare attentamente le mosse successive e mirare con più semplicità. Per quanto riguarda lo stile artistico in senso stretto, CounterSpy fa sfoggio di uno stile tipicamente anni ’60, con figure particolarmente squadrate, enormi computer pieni di lucine colorate, e armi che sembrano essere prese di peso dall’arsenale di quel James Bond interpretato da Sean Connery.

Mettersi in copertura permette di preparare agguati per gli ignari soldati che pattugliano il livello.
Per quanto l’idea di fondo sia particolarmente intrigante, purtroppo CounterSpy soffre di diversi problemi, riconducibili soprattutto alla parte roguelike del gioco: se è vero che i livelli sono generati casualmente, è altresì vero che questi sono sempre molto uguali tra loro, andando a differenziarsi solamente nella posizione delle varie stanze, ma la conformazione generale delle varie basi resta pressoché invariata. Ne consegue che già dopo una mezz’ora di gioco abbiamo già visto tutto ciò che CounterSpy può offrire. Un altro problema, questa volta di natura tecnica, riguarda la versione PlayStation Vita: qui abbiamo un spesso un frame rate ballerino che peggiora drasticamente nel caso in cui le stanze siano gremite di soldati nemici.
CounterSpy è un esperimento riuscito solo in parte: da un lato abbiamo uno stile grafico particolarmente azzeccato e una libertà di approccio alle situazione da manuale, dall’altro queste caratteristiche vengono azzoppate da problemi tecnici che non permettono di godere appieno dell’esperienza di gioco e da una struttura procedurale che avrebbe giovato di qualche contenuto in più.
Voto personale: 6,5/10
I Wanna Reboot Too!!
(A cura di Wise Yuri)
Il reboot di Alone in The Dark (noto anche con il nome dell’anno, come molti reboot ed a volte chiamato Alone In The Dark 5, visto che è il quinto gioco della serie, tecnicamente) fu un titolo molto discusso, ma non in positivo. Un poutporri di tante meccaniche che volevano fare qualcosa di originale o sembravano perfettamente funzionali su carta, come un sistema di inventario realistico, esplorazione alla sandbox, un particolare sistema di combattimento e di utilizzo del fuoco, un particolare sistema di cura e gestione della salute, sezioni di guida, platforming ed ancora.
Tantissime idee (alcune interessanti od originali, altre infilate a forza), tanto potenziale, troppe idee per un’esecuzione che lascia a desiderare per colpa dell’eccesso di roba che volevano infilare in questo gioco, il tutto codiuvato da un comparto tecnico colmo fino all’orlo di bugs e glitch, controlli incostanti e macchinosi, un bel po’ di filler ed una storia sghemba e piena di buchi, che quasi nulla spartisce con il titolo originale.
Il tipo di gioco che poteva davvero essere ottimo se solo qualcuno avesse tenuto a bada il team e mantenuto il focus (e magari fatto più beta testing), il classico esempio di occasione sprecata.
Questo ho ricavato dalle molte recensioni, opinioni e video che generalmente concordano sul fatto che il titolo poteva essere molto di più, ma è alla fine schiacciato dalla propria ambizione e la voglia di fare tanto, troppo, perchè non ho giocato la versione originale.
MY NAME IS EDWARD CARNBY, I GUESS
Incuriosito volevo comunque prenderla, visto che si trova usata ad una miseria, ma poi scoprì che esiste una versione Director’s Cut, chiamata Alone In The Dark: Inferno, uscita come esclusiva PS3 e che dovrebbe sistemare molti dei problemi della versione originale. (Esistono anche versioni PS2 e Wii del gioco, per la cronaca)
Quindi l’ho recuperata e – come potete immaginare- oggi recensiamo questa, sperando che davvero questa director’s cut riesca a rimediare ai problemi dell’originale.
La storia, di per sé è banalotta, francamente stupida (c’è roba come pietre mistiche, il diavolo, e crepe demoniache che assolgono le persone, crepe, non scherzo) e raccontata in maniera goffa con eventi a volti assurdi, ed abusando del sempreverde clichè del protagonista amnesiaco a cui si avvicina gente che lo conosce per raccontargli palate di criptica od al contrario esplicitissima esposizione su di lui. Già visto, già fatto. Meglio.
E sul discorso dei collegamenti con Alone In The Dark credo che ci sia solo un personaggio chiamato Edward Carnby, il vostro protagonista, ed anche se ho giochicchiato a A New Nightmare su PS2 tempo orsono e provato l’originale via GOG (che vi consiglio tra l’altro), ma nonostante il ridicolo tentativo di collegare il gioco in questione all’originale (collegamento che non torna, tra l’altro), è un capitolo “apocrifo”, per così dire, c’è solo il nome del brand ed un tizio che si chiama Edward Carnby. Un tizio amnesiaco, uno stronzo e pure antipatico, questo nuovo signor Carnby.
In ogni caso, la storia è mediocre alla meglio, risibile alla peggio, specialmente visti i personaggi e dialoghi bruttini e risibili come “dammi la mia pietra” detto da un demone e risposto da un “non ce l’ho la tua pietra. E vaffanculo comunque!” o perle come “Sono il fottuto universo!”, roba da dozzinale b-movie horror, con un sacco di scene insensate o situazioni convolute, o roba semplicemente stupida, a cui puoi dare un taglio da serie tv hollywoodiana quanto ti pare, ma non cambia la stupidità di pipistrelli con bocca a ventosa che alzano una cazzo di macchina e la fanno saltare, per fare un esempio. I personaggi in generale sono vapidi, poco interessanti ed i loro dialoghi non sono meglio.
Ed il finale:o meglio, i finali. A seconda di cosa scegliete ad una decisione a fine gioco, ottenete un finale buono o cattivo. E nessuno dei due è granche o particolarmente soddisfacente, anche se forse quello brutto è meglio, più ridicolo ma più divertente, se non altro per il doppiaggio italiano che ha voci diaboliche assai stridule. XD
Non aiuta la bizzarra strutturazione del gioco in episodi, e no, non in maniera simile a quanto fatto dalla Telltale, ma in episodi con tanto di crediti finale come se fosse una serie TV.
E quando continuate vi beccate il riassunto stile serie TV, che ha senso se riprendete il gioco dopo aver spento la console, ma non se continuate dopo aver finito un capitolo, nel senso “lo so che cazzo è successo, l’ho appena visto”.
Non brutto di per sé, ma non funziona, in quanto spesso frammenta la storia e male.
A volte spezzare il contenuto e frammentarlo può essere una soluzione buona per mantenere il giocatore curioso sullo sviluppo della vicenda. Qui sembra che qualcuno prema per sbaglio il tasto “salta filmato” a metà. Cosa che paradossalmente non potete fare per saltare le cutscene.
Onestamente mi chiedo cosa abbiano sistemato rispetto alla versione originale.
Perchè è tutto comunque un polpettone incredibile di qualunque cosa e continuano ad esserci alcuni bug notabili di vario tipo, come bug di compenetrazione, fisica dei veicoli che spesso agisce come cazzo gli pare. Ma andiamo per ordine, c’è una bella matassa da districare qua.
MINESTRONE IN THE DARK
La prima domanda è se questo Alone In The Dark è un survival horror. La risposta è boh.
Forse lo era in qualche punto dello sviluppo, ma il gioco finito è qualcosa di descrivibile come un action-adventure con meccaniche di vario genere, tra cui alcune da survival horror.
Questo perchè per qualsiasi motivo questo Alone In The Dark ha grandi dosi di platforming stile uncharted (tante tante discese da funi), addirittura un pulsante dedicato al salto, tra le altre cose.
Oltre a puzzle ambientali relativamente semplici ed altri non male che vi fanno usare il vostro sistema di crafting per creare roba come molotov adesive da attaccare a nemici, oppure potete usare biadesivo su luci per attaccarle al muro, o combinare benzina con la pistola per avere proiettili infuocati. Ed altre cose ganze come creare un lanciafiamme con benzina ed una bomboletta spray, ed altre cose ancora che purtroppo servono quasi a nulla e che se i suggerimenti duranti i caricamenti non vi dicessero come si fanno, non saprete neanche che potevate fare.
Apprezzo le idee, ma porca troia, l’eccesso di esse non è molto meglio della mancanza di creatività.
Per esempio, la meccanica dello sbattere le palpebre, che viene introdotta nell’intro del gioco, in cui siete in prima persona ed usate R3 per schiare la visione. Ed a parte l’intro, ci sono pochissimi altri momenti in cui vi trovate ad usarla, per risolvere alcuni puzzle e per pulirvi gli occhi quando dei nemici vi sputano veleno addosso.
Poi c’è quella del fuoco, che è forse una delle migliori meccaniche del gioco, perchè oltre a potervi servire come fonte di luce improvvisata (magari usando una sedia come stoppino) per attraversare zone buie, è essenziale contro i nemici che devono essere colpiti con il fuoco per morire davvero.
Peccato che i nemici in sé siano stupidi e se non necessitassero del fuoco per schiattare li uccidereste ancora più facilmente.
Poi c’è l’inventario, che è tutto nel vostro giacchetto e quindi limitato (molto limitato), che vi spinge anche a combinare oggetti come proiettili e gas per ottenere proiettili infuocati, un briciolo di crafting che non ci sta male. Buono anche questo, ma attenzione perchè è in tempo reale.
Poi ancora c’è il sistema di salute e guarigione: la salute è mostrata sul modello del personaggio da cicatrici e pelle esposta, ma questo sistema non vi dà un’idea di quanto siete danneggiato a colpo d’occhio (cosa che invece dovrebbe), ed in ogni caso dovrete usare una direzione sul d-pad per vedere in che stato siete di preciso, e poi curarvi con oggetti come spray medici. Nel caso vi facciate molto male, sanguinerete ed avrete un tempo limite entro cui curavi con bende, ma queste non sono comuni, che rende questa ulteriore meccanica più un dito (non desiderato) nello sfintere che altro.
E va fatto notare come fin dall’inizio il gioco vi forza ad imparare i suoi astrusi e contro-intituivi sistemi di controllo.E dico sistemi perchè il gioco ha tipo 3 differenti schemi di controlli.
Se vi aspettate qualcosa come RE 4, no, il sistema di controllo principale è più simile a quello di un gioco d’azione/avventura e con il bizzarro (e forzato) passaggio in prima persona quando usate pistole od estintori.
Il controllo più simile allo stile “tank” lo avete quando afferrate oggetti come sedie, solo che per agitare questi come armi dovete usare la levetta analogica destra. Sul serio.
Ed è scomodo ed anti-intuitivo come potete immaginare.
Poi ci sono sezioni su veicoli che usano controlli perlomeno stavolta più tipici e più intuibili (ma la fisica delle macchine è brutta, non orripilante, ma brutta), anche se pure qui potete fare cose inutili come guardare nella macchina per cercare chiavi od attivare la radio. E c’è anche una cazzo di sezione in cui dovete guidare un muletto per procedere, perchè… Alone In The Dark. (odio quella parte). Ed oltre ad essere presenti più del dovuto queste sezioni in cui dovete guidare una macchina, negli ultimi atti decidono di mettervi un timer durante l’ultima corsa in veicolo del gioco, un timer che però termina e si riattiva, azzerrando qualsiasi pretesta di tensione o senso d’urgenza.
Poi c’è roba assurda come una sezione nelle fogne in cui dovete fare il solito mini-game di sorta in cui unite due cavi elettrici, ma dovete farlo anche dentro l’acqua, e senza trail and error non capirete come proseguire, perchè il gioco decide per qualche motivo che per disattivare la corrente dovete avvicinare un cavo e poi l’altro (i due sono pure di colore uguale), altrimenti va in cortocircuito.
Dimenticavo, avete anche un cellulare. Che ci potete fare? Beh, talmente poco che forse non valeva la pena inserirlo come caratteristica/meccanica. Potete chiamare alcuni contatti nella lista, vedere gli obiettivi di gioco (cosa che potevate già vedere mettendo in pausa normalmente e raramente vi aiutano a capire cosa dovete fare effettivamente comunque) ed usare il tastierino.
UN PO’ DI QUESTO, QUELL’ALTRO E CODESTO…
Ma aspettate! C’è dell’altro! Il gioco ha anche un pizzico di open world, permettendovi di esplorare Central Park? Per quale motivo? Nessuno! In Central Park non c’è un cazzo da trovare o scoprire che non siano macchine a caso (che hanno meccaniche a loro volta come il poter aprire il serbatoio di una macchina con un coltello o cacciavite e riempire una bottiglia vuota con benzina) od oggetti random che trovate in tutto il gioco, nulla, nessun collezionabile, arma o che si voglia.
Serve solo perchè il gioco vi forza ad un certo punto a distruggere un certo numero di radici malvage per poter proseguire, e non poche. Sì, l’esplorazione di Central Park ha come sola utilità l’allungare artificialmente la durata del gioco. E perchè immagino dovesse averla, visto che altri giochi la hanno. Ovviamente questa è un’altra delle cose che potevano tagliare dalla versione originale, ma non hanno fatto, peccato perchè non c’è motivo né dell’open world né delle radici.
Siccome ne vanno distrutte parecchie per solo proseguire ed il gioco vi forza alla laboriosa procedura di trovare una macchina, guidarla e lasciarla sotto la radice, e poi farla esplodere sparandole al serbatoio, ho saltato la sequenza, l’ho “skippata“ anche perchè le radici sono molto distanti tra loro, Central Park inutilmente grande ed attorno ad ogni radice ci sono nemici, e per qualche motivo in queste situazioni in cui vi servono munizioni o benzina/liquido esplosivo non ne trovate.
So cosa mi sono perso: ore di noioso padding, di filler inutile solo per potervi fare salire su una piattaforma e vedere due simboli. Siccome il gioco me ne dà modo, questo non è “barare”, non con schifezze del genere, mi è permesso, direi. Non è un gioco per cui valga la pena fare tutto in maniera giusta, non con tutti questi problemi e sta qualità di gioco. E non succede mica una sola volta, ma ben due, di seguito una dopo l’altra, praticamente.
E tornando sul discorso munizioni, in alcuni segmenti (dei due capitoli finali) mi sono ritrovato in zone senza quasi nessun oggetto utile, specialmente una sezione con diversi mostri in cui ero rimasto accidentalmente senza liquido esplosivo o taniche, praticamente forzato ad usare l’orripilante combattimento melee contro troppi nemici per quello che il combat system vi permette di fare, e dopo aver perso un’ora a cercare disperatamente di far avvicinare i nemici al fuoco e poi muoverli da storditi nelle fiamme per ucciderli (per poi morire colpito da nemici che la telecamera mi nascondeva), ho deciso di saltare alla sequenza successiva, non so per quanto altro mi sarei bloccato lì se non se avessi fatto così.
Il che serve da esempio di come il solo level design sia un problema di per sé.
Il gioco in generale vi dice sempre cosa fare, ma come gran parte dei brutti videogames, riesce comunque ad essere confusionario ed a farvi bloccare a puzzle non poi difficili o far sembrare situazioni semplici complicate, in quanto vi veicola male informazioni.
Ed ovviamente in casi in cui servirebbe davvero un suggerimento, il gioco non vi dice nulla, o meglio vi dice qualcosa, ma nulla di veramente utile, come per esempio usare le luci d’emergenza da lancio su delle strane sabbie/ombre che vi risucchiano intero anche se le toccate appena.
Ed a volte vi trovate bloccati perchè non avete le minima idea di cosa il gioco voglia da voi, ed è ancora peggio in quanto il gioco decide di buttare roba nuova a caso ad ogni livello, impedendovi di stabilire qualche regola o meccanica ricorrente utile a capire che cazzo fare.
Il che toglie il piacere che altrimenti rimaneva nel vedere cos’altro il gioco decida di introdurre capitolo dopo capitolo, pure come un mago pazzo che tira fuori dal cilindro cose a caso.
Per esempio, la sezione puzzle nella stanza 943, che seppur vi faccia usare la meccanica di sbattere le palpebre, è assolutamente convoluta in idea, ed un motivo in più per non togliere i suggerimenti nelle opzioni. E le boss battle sono assai facile una volta “indovinato” cosa il gioco vuole che facciate, e ribadisco indovinato perchè non c’è nulla a farvi intuire cosa dobbiate fare, specialmente nella prima contro il “bat tornado”, in cui è difficile anche capire se fate male al boss.
A credito del gioco, ci sono alcuni puzzle che ruotano attorno all’uso della luce e del fuoco che non sono affatto male, lo devo ammettere. Ma anche tra essi ce ne sono alcuni che (pur buone idee di fondo) vi faranno tirare il controller contro il muro come una sezione nel capitolo finale che vi forza a camminare lentamente al buio in un labirinto illuminato solo da un’oggetto a cui date fuoco, e dovete farlo mentre il soffitto incombe per schiacciarvi, e sono morto sempre.
Fino a che non ho scoperto guardando una guida che potete fermare lo scendere del soffitto bloccando la luce con l’oggetto che avete in mano, cosa che avete fatto prima, ma a cui non pensate in una situazione del genere che vi dice “muovi il culo, corri!”. Una volta che sapete questo la sezione diventerà assai più facile, ma comunque frustrante per i controlli di merda. Sì, è proprio quel tipo di gioco.
Parlando di lunghezza/longevità, il gioco è sul corto (anche rimanendo bloccati in alcuni punti, che succederà, oh succederà), e non c’è francamente motivo per rigiocarlo, a meno che non vogliate prendere tutti i trofei, che richiedono di fare cose come riempire una bottiglia vuota con benzina da un serbatoio di una macchina, almeno vi fanno scoprire cosa potete fare che il gioco non vi dice. Ma anche se siete dei “trophy hunter”, non credo vi divertirete molto a prendere tutti gli obiettivi qua.
Ed a livello di extra, nulla. Sul serio. Anche perchè se avete preso un finale invece di un altro basta riselezionare l’episodio, arrivare alla sequenza e fare l’altra scelta. Non dovete rigiocare il titolo per avere l’altro finale, meglio così, ma toglie qualsiasi rigiocabilità. Una volta finito non avrete motivo di ritornarci, sul serio.
Anche se alcuni bug grafici di pop-up sembrano siano stati sistemati, ciò non mi ha impedito di rimanere incastrato sopra una portiera di una macchina, forzandomi a ricaricare un checkpoint ed a notare come volendo potevo saltare interi pezzi del livello, visto che lo stile “serie TV su DVD” sembra estendersi fino a questo punto. Ed ho incontrato un freeze. Ed una volta un freeze temporaneo, il motore di gioco ha singhiozzato, per così dire.
A parte questo, la grafica rimane sul mediocre livello qualitativo della versione 360, con modelli dei personaggi e texture che già ora appaiono un po’ datati e poco dettagliati a tratti. Giocando normalmente ci potreste passare sopra, ma nelle cutscene non c’è scampo ai pessimi modelli dei personaggi, con facce legnose e fattezze assai grezze, e no, per un titolo del 2008 non sono accettibili, sembrano più qualcosa uscito ad inizio ciclo della 360 o giù di lì.
Ed ancora le ferite sul corpo di Edward sono mere texture di pelle che sono semplicemente messe sopra il suo giacchetto. E spesso anche se siete guarito del tutto rimangono dei pezzi di pelle su Edward, a dimostrare quanto sia inutile questo sistema per mostrare la salute, ancor più visto che quando siete in pericolo c’è il tipico ingrigirsi dello schermo con battito di cuore pulsante.
Ed a questo riguardo, è strano notare come anche i mostri non perdano sangue (se è sangue, è nero come inchiostro), e di fatto gli elementi horror siano veramente a livelli quasi nulli, zero gore, ridicolmente pulito.
La musica è a sorpresa buona, molto buona, anche troppo per questa storia e questi personaggi: è composta in gran parte da pezzi corali bulgari (fatti seriamente dal coro nazionale bulgaro, che è fantastico) molto evocativi ed atmosferici, sicuramente la parte migliore dell’intero pacchetto.
Commento Finale
Il fatto che questa sia la versione “deluxe” mi fa tremare all’idea di come fosse la versione originale, anche se pare ci sia molto poco di “espanso e rivisto” in Alone In The Dark: Inferno, visto che pressapoco tutti i problemi di cui avevo sentito parlare nell’originale release sono qua.
Molteplici ed inutilmente astrusi sistemi di controllo, e tante, troppe meccaniche.
Va riconosciuto che in questo gioco ci sono delle buone idee, sul serio, va riconosciuto, ma chiaramente non c’è stato focus di nessun tipo su che tipo di gioco fare, in quanto Eden Games ci ha tirato di tutto dentro, da crafting ed inventario da survival horror, a sequenze d’azione su veicoli, ad un open world, multipli schemi di controllo tutti sghembi o scomodi, ampie sezioni di platforming, a meccaniche specifiche per prima e terza persona, a finali multipli ed altro ancora.
Lasciando da parte il fatto che non ha nulla a che vedere con i precedenti titoli della serie, pur provando a far credere (assai goffamente tra l’altro) che questo Edward Carnby sia lo stesso del primo Alone In The Dark, il gioco poteva essere un buon gioco, anche se non un survival horror come sarebbe stato logico pensare.
Ma questo nel magico mondo del “se”, perchè chiaramente nessuno ha detto basta al team di sviluppo, che ha infilato qualsiasi cosa voleva o pensava di dover inserire “perchè gli altri giochi ce l’hanno” senza lavorare bene su una singola meccanica, e senza fare beta testing, vista la pletora di bug di vario tipo che sopravvivono anche questa versione, che ha semplicemente sistemato un po’ la telecamera ed i controlli (almeno così dicono), cose che potevano essere fatte via una banale patch, non una nuova edizione del gioco, tra l’altro.
Non aiuta poi avere una storia stupida, sghemba e convoluta sul diavolo, ordini segreti, saggi, etc. con un protagonista amnesiaco stronzo e personaggi secondari sullo stesso filone di stereotipi e clichè a caso di cui nulla vi importerà, tutto contornato da dialoghi ridicoli ma esilaranti per questo che tolgono qualsiasi dignità alla narrazione e trama.
Alone In The Dark: Inferno è un casino, un guazzabuglio, non la peggior cosa del mondo, ci sono videogame assai peggiori, ma è un titolo brutto, spesso confusionario e frustrante tanto da togliere il piacevole senso di varietà dato dall’avere fin troppi tipi di gameplay pasticciati assieme.
E la mancanza di extra o rigiocabilità non aiuta, non che vorrete giocarci di nuovo una volta finito.
Solo per veri curiosi che non sanno più a cosa giocare ed hanno qualche ora da perdere in questo fallimentare tentativo di resuscitare il franchise di Alone In The Dark.
Volete un voto? Ok. 4.5 su 10.
P.S.: cosa buffa, questo non è l’ultimo titolo della serie, visto che è in lavorazione Alone In The Dark: Illumination, previsto per PC in generico “early 2015”, e dovrebbe essere un action horror cooperativo online con livelli generati casualmente, sviluppato da Pure FPS (mai sentita prima d’ora). A quanto pare la trama avrà quasi nulla a che vedere con… tutti gli altri Alone In The Dark, mettendovi nei panni di eredi di Carnby ed Emily Hartwood (assieme ad altri due tizi a caso) in una cittadina di nome Lorwich (strano non sia Innsmouth o Black Bay, o roba simile).
Mah, boh, forse sarà un gioco decente, forse no. Personalmente non so neanche perchè farlo, ma dillo alla Atari, che mi sorprendo sia ancora in giro… circa.
Big Eyes
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Si, volevo dirvi la mia a riguardo di un film di cui vi ha già parlato WiseYuri a inizio anno, per la precisione nel Weakly Hobbyt #176. In quanto tale, la mia recensione si terrà piuttosto breve, avendo WiseYuri già parlato abbastanza della trama del film, che riassumerò solo per sommi capi.

Margaret Ulbrich è la protagonista artista del film
Protagonista del Film è Margaret Ulbrich, donna divorziata e artista non affermata, che adora dipingere bambini con grandi occhi (da cui il nome del film). La sua vita cambia quando incontra Walter Keane, broker che adora l’arte e afferma di essere a sua volta artista (ma di paesaggi). I due dipingono insieme e vogliono fare di più della loro arte, ma Margaret è una donna e viene presa poco seria all’epoca (erano gli anni ’60), mentre Walter è bravissimo nelle vendite. Walter inizia ad affermare che i dipinti con i bambini dagli occhi grandi sono suoi, e li vende ad lato prezzo. Presto i “suoi” quadri diventano un cult, e Margaret lascia fare il marito, pur di ottenere soldi e successo.
Tuttavia le cose vanno male quando Walter forza Margaret a mentire a sua figlia, Jane. Dopo anni di vita sotto mentite spoglie, durante i quali Walter diventa sempre meno affascinante e sempre più megaloide, Margaret decide di abbandonarlo e trasferirsi alle Hawaii. Lì annuncia al mondo di essere lei autrice dei quadri, e accusa Walter di diffamazione. La corte forza i due a dipingere un quadro, che Margaret completa in meno di un’ora, e che Walter neppure comincia a causa di un “mal di spalla”. Il film termine con Margaret che vince la disputa legale e vive felice con la sua famiglia ad Hawaii.

Walter Keane finge bene di saper dipingere
Il film, ad essere sinceri, mi è piaciuto. La regia, sì, e di Tim Burton, ma a dire il vero, questo non si nota se non in alcune scene del film, girate in maniera particolare. Il film è molto main stream, come regia, e ben fatto, ma non particolarmente artistico, a mio parere.
E’ la storia di per sè che è qualcosa di diverso di quanto narrato solitamente. La storia di un’artista e di un pseudo-artista, col secondo che sfrutta la prima, non è qualcosa di già visto, già sentito, e quindi la ritengo aria fresca per Hollywood. Per quanto il film sia tratto da una storia reale, poi, è ovvio che questa vada abbellita un pò, resa drammatica, e scritturata per un film di tre Atti. Per questo, fatti reali sono stati omessi, e fatti fittizi sono stati aggiunti. Questo, però, fa sì che il film si lascia guardare bene, e che risulti mai noioso.
Difatti, pur essendo lungo due ore, a fine film non pensavo fosse così tanto il tempo passato.

Walter Keane convince sua moglie a dare a lui i diritti dei suoi quadri
L’interpretazione di Amy Adams nei panni di Margaret Keane mi è piaciuta abbastanza, anche se a rubare la scena è Christoph Waltz nei panni di Walter Keane. Per quanto lui sia bravo nel suo ruolo, però, mi è sembrata una performance già vista. E per fortuna è da poco che su queste pagine vi ho parlato di Come l’acqua per gli Elefanti, perchè difatti Christoph Waltz ha lo stesso identico ruolo nei due film. E non che questa sia una cosa malvagia, Waltz è bravo in quel ruolo, ma il suo rischio è quello di diventare presto un type-cast, e poi da quel ruolo non si esce più.

Il rapporto tra i due presto si incrina
Detto questo, il film ha dramma, ha bei momenti, momenti dolci, momenti matti; è un buon mix di sentimenti e l’audience viene ben coinvolta nella vicenda. Aggiunge al tutto un bel tocco la colonna sonora di Lana Del Rey, che ho molto apprezzato.
In conclusione, bel film, che merita di venire visto. Nulla di straordinario, ma una “semplice” storia ben scritta e ben trasposta su grande schermo. Non so se in Italia al cinema gira ancora, se no, recuperatelo! 🙂
Voto Personale: 7.5/10
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Per ancora una settimana abbiamo finito! Non ho idea ancora quali possano essere tutti i temi della settimana prossima, ma penso che possiate prepararvi a venire…Splatoonati!!
1 giugno 2016 alle 11:48
[…] anni se non di sempre ed ero molto entusiasta alla sua uscita, come potete leggere nella vecchia recensione. Il suo primo DLC, Heart of Stone era di una fattura eccezionale, superando per certi versi il […]