I giocatori con qualche anno in più sulle spalle potrebbero aver riconosciuto in quello che sta accadendo in questi giorno i segnali di un qualcosa che è già accaduto: quanto sta riguardando Batman: Arkham Knight in queste ore successive al suo lancio è, a mio avviso, il sintomo di un problema ben più grande.
Come saprete, la versione PC dell’ultima avventura dell’Uomo Pipistrello è stata lanciata sul mercato in una condizione tecnica letteralmente imbarazzante, uno stato così inequivocabilmente disastroso da costringere il publisher, Warner Bros. Interactive, a ritirare il gioco dalla vendita sui principali store digitali e dare il via a un’operazione di risarcimenti su vasta scala. È la prima volta che si assiste a un’azione di tale portata per un titolo tripla A, nemmeno Ubisoft mise in atto un intervento simile successivamente al lancio di Assassin’s Creed: Unity, anch’esso afflitto da un gran numero di criticità nelle settimane successive all’approdo del gioco sugli scaffali dei negozi.

Fortunatamente non siamo di fronte a un nuovo caso E.T., ma i parallelismi si sprecano.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg, oppure, se preferite, la fatidica goccia che fa traboccare un vaso che negli ultimi anni si è riempito sempre più velocemente. A tal proposito, come non citare la versione PC di Mortal Kombat X, il già nominato Assassin’s Creed: Unity, DriveClub, Halo: The Master Chief Collection, Battlefield 4, e molti altri titoli che non sono riusciti ad arrivare sugli scaffali in uno stato decoroso. Tutti giochi dalle indubbie qualità, questo è bene precisarlo, ma che hanno sofferto, chi più e chi meno, di un periodo di lancio burrascoso, per usare un eufemismo. Secondo il parere di chi scrive, le motivazioni di quanto accaduto e di quanto sta accadendo ora sono da ricercare nell’esponenziale lievitazione dei costi di sviluppo e nella rincorsa delle deadline da parte delle software house. Lo sviluppo di progetti di questa caratura impiega centinaia o, in alcuni casi, migliaia di dipendenti, richiedendo investimenti gargantueschi, utilizzati in gran parte dal reparto marketing, e che devono essere ripagati immediatamente, se non addirittura in anticipo grazie alle varie opzioni di preorder. Una situazione che per molti attori del mercato sta diventando insostenibile, tanto che molte software house storiche di medie dimensioni, per sopravvivere, hanno iniziato ad affidarsi a metodi di finanziamento alternativi, come le campagne di crowdfunding o la pubblicazione di giochi in accesso anticipato, questo perché i publisher più grandi non possono più permettersi di scommettere denaro in progetti minori.

Dopo diverse patch che si sono succedute nel corso dei mesi, Assassin’s Creed: Unity è giocabile senza molti intoppi.
Cosa accade invece alle software house più grandi? Qui assistiamo a un altro fenomeno ben più indicativo dei tempi in cui viviamo: queste iniziano a perdere pezzi, andando a dare vita a una vera e propria diaspora di game designer, compositori, art director, e altre figure di spicco che decidono di provare una strada alternativa, di staccarsi da mamma Ubisoft o papà Electronic Arts, e di percorrere il sentiero della pubblicazione indipendente. Ed è qui che che entrano in gioco degli altri attori importanti: negli ultimi anni sono nati nuovi publisher, nuove compagnie che si occupano di supportare le realtà della scena indie. Penso a Devolver Digital, oppure Paradox e Focus Home Interactive, i cui ruoli nel corso di questo periodo sono andati ad assumere dimensioni sempre più importanti. È un film già visto: cambiano le cause scatenanti, ma è così che nacque Activision alla vigilia della crisi del 1983, fondata da quattro programmatori che ritenevano insostenibile la situazione che si era venuta a creare all’interno degli uffici Atari.

Senza compagnie come Devolver Digital disposte a rischiare sui piccoli sviluppatori probabilmente titoli come Hotline Miami non avrebbero mai visto la luce.
Oggi come allora, le personalità che hanno dato vita ai grandi giochi degli ultimi decenni si stanno defilando da quel carrozzone che è diventata l’industria dei titoli tripla A: un business che sta diventando sempre più insostenibile, fondato più sul ritorno economico a tutti costi piuttosto che sulla volontà di creare opere di intrattenimento, opere che sono sì prodotti commerciali, ma che non dovrebbero essere utilizzate per spremere come limoni i consumatori. Purtroppo siamo di fronte a una bolla che è destinata a scoppiare, se sia un bene o un male solo il tempo potrà dirlo.
Piccola curiosità in chiusura: nel 1983, anno in cui scoppiò la grande crisi del mercato dei videogiochi, Atari era controllata da Warner Communications, una società ora incorporata in Time-Warner, compagnia che attualmente possiede Warner Bros. Interactive. Un caso?
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