Per chiarezza, devo premettere che non mi aspettavo moltissimo da Southpaw, adoro Gyllenhaal, ma la storia sapeva di già visto, e la critica non pareva poi molto convinta all’uscita (nelle sale americane, intendo). Ma parliamo del film, e non di quello che mi immaginavo prima di vederlo. 🙂
La premessa è leggermente diversa dalla solita storia di boxe, nel senso che il nostro protagonista Billy Hope non deve allenarsi con Burgess Meredith per vincere il titolo e cercare di emanciparsi dalla povertà: è già un boxer realizzato, detiene il titolo e vive nella sua lussuosa casa con sua moglie e sua figlia. Però il signor Hope è anche un po’ un animale, e la sua vita va a scatafascio quando la moglie viene uccisa incidentalmente durante una zuffa tra lui ed il nuovo aspirante alla cintura, il colombiano Miguel.
Distrutto psicologicamente, ridotto in povertà perchè non puole e non vuole combattere e la figlia affidata ai servizi sociali, Billy deve farsi un bagno di umilà e cercare un lavoro per rivedere e riconquistare sua figlia, e l’occasione per la sua redenzione avviene in una piccola palestra in cui Billy si allena e lavora sotto l’ala di un vecchio pugile di colore, fino a che non gli viene proposta l’occasione di sfidare Miguel per riprendersi il titolo e praticamente sistemare tutto.
Mi piacerebbe dirvi che non è la solita storia di redenzione vista in altri film di boxe, ma purtroppo Southpaw… è la solita storia di redenzione di un boxer. Non ciò sia necessariamente un problema, e non lo è di per sé, ma questi film sono più sui personaggi e sul loro dramma che sulla boxe di per sé. E purtroppo il dramma è un po’ sapido, i personaggi non sono idioti ma è difficile dire che crescano o si sviluppino psicologicamente a causa degli eventi, se non comprovate comodità di script. Il cast è buono e come prevedibile Gyllenhaal spicca sul resto, facendo un ottimo lavoro nel ruolo di questo animalesco boxer che cerca di migliorare sé stesso per la famiglia, peccato che anche lui non possa far molto quando lo script è quello che è, ed in certi casi non è molto brillante. Perlomeno il film ha anche un po’ di senso dell’umorismo, e le scene comico/buffe sono divertenti e gradevoli.
Non è brutto dramma, ma in più casi sembra forzato invece di venire come naturale conseguenza degli eventi, e combinato questo con la generale prevedibilità dell’intreccio, in certi momenti preferireste che il film si desse una mossa per arrivare allo scontro finale contro il rivale. I personaggi sono decenti ma – come ho scritto sopra – sembrano più tirati da comodi fili che reagire in maniera naturale.
Ovviamente non mancano gli scontri veri e propri ed i vari montage di allenamento, che sono buoni a dirla tutta, ma il fatto che verso metà film ero quasi più interessato a vedere questi che le parti drammatiche qualcosa dovrà pur dirlo. Ed il film fa sentire le sue due ore di durata, specialmente nella seconda metà, nulla di eccessivo, ma sembra un po’ più lungo del dovuto, non è una pellicola tutta di boxing sanguigno e brutale, se vi aspettate questo.
Nel complesso il film di Antoine Fuqua è ok, senza dubbio decente, ma è fortunato ad avere Gyllenhaal nel cast, perchè tolto lui questo film ha molto poco da offrire. Non MEDIOCRE!, ma sa di già visto e già fatto, meglio. Se vi piace Gyllenhaal non dico di non guardarlo, ma aspettate che diventi “noleggiabile” o lo passino in TV, e nel frattempo volgete lo sguardo verso Everest, che si prospetta più interessante. E se non l’avete ancora fatto, recuperate/vedete l’eccelso Nightcrawler – Lo Sciacallo.
P.S.: Per chi se lo chieda, il titolo indica semplicemente una normale posizione di combattimento per boxer mancini. Non che io sapessi nulla di questo di mio (fonte: internet, come spesso capita), ma giusto per essere precisi…
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