Qualche giorno fa, arrivò la news che Warner Bros stava lavorando ad una versione hollywoodiana di Full Metal Alchemist, un lungometraggio, ovviamente, che sarà diretto da Fumihiko Sori.
E con una certa ilarità una versione breve della news (che non riesco a ritrovare, sorry) riportava “con cast giapponese”. Se la vostra memoria a breve termine non è stata ulteriormente accorciata dall’era di internet, vi ricorderete la recentissima pila di critiche mosse alla Dreamworks per il cast completamente “mulino bianco” dell’imminente remake live action di Ghost In The Shell.
Il fatto che circolarono voci su come la Dreamworks cercò di “rendere più asiatici” via computer grafica la dice lunga sugli studios in sé, e francamente visto la storia di Hollywood sull’argomento, un’idea del genere non è così improponibile come potrebbe sembrare.
Tra i soggetti di questo argomento sul whitewashing ci fu anche la scelta di mettere l’eccelsa Tilda Swinton nei panni del personaggio dell’Antico nell’imminente trasposizione cinematografica di Doctor Strange, ma oltre a non sapere molto del fumetto su cui è basato, pare più un problema politico relativo al Tibet, che la Marvel ha voluto evitare in toto, il classico non prendere posizione. Perlomeno ha senso a livello di business non volersi inimicare la tutt’altro che minuscola fetta d’utenza cinese, dirò questo perchè sono troppo gentile.
La cosa che mi fa ridere è che se nel caso di Ghost In The Shell aveva perfettamente senso avere un cast giapponese visto anche i personaggi e l’ambientazione (chiamasi logica e ragionamento questi incredibili laborii mentali), nel caso di Full Metal Alchemist non così tanto, visto che (come ho twittato in risposta all’articolo di Indiewire sull’argomento) la serie sarebbe locata perlopiù in una versione steampunk dell’Europa, non il giappone.
Certo è che questa è una reazione di maniera al problema, giusto per far star zitto un po’ l’internet, perchè il problema del whitewashing è un problema che va oltre la solita massa informe di facilmente incazzabili e di cavalieri del politically correct sempre e comunque.
Giusto per chiudere il discorso, spero che il remake di Ghost In The Shell (di cui sono fan, cosa che non ho nascosto su questo blog) venga bene, e credo che Scarlett Johansson sia una scelta assai migliore di quanto possa sembrare. Ma d’altro canto, mi riservo il diritto di aspettarmi il peggio, vista la storia di serie o prodotti prettamente giapponesi trattati da studi occidentali.
Del film di Full Metal Alchemist…. meh, onestamente la serie manga mi piacque, ma non mi interessa molto vederne una versione live-action. Non che importi perchè il film si farà comunque, evidentemente questo è l’anno in cui Hollywood ha scelto anime e videogame come altro media da minare per non dover creare qualcosa di originale. Solita roba, diverso sito di scavi, forse qualcosa di decente viene fuori, vedremo.
Quello sul whitewashing è tanto un discorso sugli attori in sé, cioè lo è, ma il problema principale è l’attitudine degli studio. Come dicevo inizialmente, il fatto che Warner Bros. e compagni di merenda pare stiano evitando di avere cast caucasici anche quando non ha molto senso è una cosa buona. M a probabilmente una mossa temporanea per allontanare da sé il malcontento, forzata, visto che l’industria in generale ha dimostrato più e più volte di strafregarsene dell’argomento.
Andiamo al 1956, anno in cui esce Il Conquistatore, ovvero la storia di Gengis Khan, il notorio condottiero mongolo… interpretato da John Wayne, con baffetto alla Fu Man Chu, lui che strizza gli occhi e delle sopracciglia meno folte per cercare di renderlo cinese. E con Suzan Hayward nei panni di una regina tartara. Of course.
Fuori discorso, ma il fatto che il film fu un flop colossale, fu girato controvento su un sito nucleare, tanto da dare radiazioni agli attori (ci sono foto con il cast che legge un contatore Geyger e ride del risultato, buon cristo), e far sentire così il produttore Howard Hughes responsabile, tanto che non volle vedere il film prima del 1974, quando poi iniziò a vederlo ossessivamente; ecco, queste cose lo rendono un film leggendario.
60 anni dopo, ed a parte il NON dare avvelenamento da radiazioni ai propri attori, Hollywood non ha imparato niente, o meglio, non ha voluto imparare niente, chiusa nel suo club “casa sull’albero” di attori, di attori metà americani e metà aquila bianca, con un razzismo silente e strisciante alla base, forzate all’occasione contentino da “dover dare” alle minoranze per soddisfare le richieste di correttezza politica, anche quando le “minoranze” sono diventate un’enorme fetta di pubblico che si vuole sentire rappresentata.
Non siamo più negli anni 50, ma come molte corporazioni, questi sono dinosauri, che cambiano pelle e mettono alcuni cappelli diversi nel tempo, ma che vogliono sia il mondo ad adattarsi a loro, non viceversa, e così andranno avanti, “vittime” di sé stesse anche nella remota possibilità che volessero cambiare. Forse verranno forzati a cambiare, ma non finchè il pubblico andrà a vedere comunque questi film ed a riempire le casse degli studios.

Sia chiaro, si può sempre ridere di stereotipi razziali, specialmente robe datate come queste che non riesco a prendere sul serio, anche se è uno stereotipo razziale tutt’altro che grazioso. Riderne e non accettarli come “dato di fatto”.
Non è tanto avere attori asiatici o no, perchè soddisfare una quota “etnica” è fatto spesso per mero calcolo, ed è ormai comprovato che anche registi celebrati ed intelligenti come i Coen non porteranno storie che provengono da altre culture, perchè non è qualcosa che sanno o vogliono raccontare. Per dire, io non me la sentirei di raccontare la storia dei Tre Regni quando la maggiore conoscenza che ho della storia cinese è Dynasty Warriors.
Motivo per cui ci sarà bisogno di dare giustamente più spazio a registi ed attori non solo bianchi, europei e/o caucasici, non perchè a gente come me si sente figa a parlare di diversità, ma perchè c’è tanto pubblico che non si sente rappresentato anche quando è così numeroso al punto che ignorarlo è sintomo di miopia cronica autoinflitta.
Sì, si può dire che le cose si stiano muovendo per la meglio nel mercato mainstream con l’imminente Black Panther (che sarà il primo film del genere ad avere un cast totalmente afro-americano), ma è troppo poco e poco lentamente, ed accade perchè ormai le case si sentono forzate a farlo, perchè altrimenti non lo farebbero. É buono che accada, ma è troppo poco.
E non mi venite a dire che la rappresentazione non importa, in una società che usa i media per vedere sé stessa, di celebrarsi allo specchio di continuo. Ma forse siete quel tipo di persona che ha visto Nascita di Una Nazione e si è chiesta perchè tanto scandalo e perchè tanta merda fu tirata addosso al regista, che ne so io? (in tal caso, statemi lontani e datevi fuoco, copiosamente).
Certo, si può trattare la cosa con la banalità nata dall’abitudine, visto che Hollywood fa così da sempre, basta andare indietro di qualche mese per ripescare Gods Of Egypt, in cui di egiziano non c’era manco la frutta secca. Ma per quanto il film fosse una cosa deliziosamente bruttissima e ridicola che forse è meglio sia Gerard Butler a prendersi i pesci in faccia, dubito non esistano attori egiziani e così sia stato necessario mettere nel cast il caro vecchio Gerard a prendere a pedate e spadate persone (che ammesso, è uno specialista ormai).
Inoltre, sarebbe ottimo solo per un po’ di semplice varietà, parlando a livello molto schietto e “banale” dell’argomento.
Che altro dire, spero che uno dei miei rari articoli critici/editoriali vi sia piaciuto!
2 novembre 2016 alle 16:28
[…] se parlai brevemente nel mio editoriale “FMA in The Shell: Whitewashing Human Interface” di come il personaggio della Swindon sia stato cambiato rispetto al fumetto originale, sia perchè […]