
Anodyne, nome strano per uno “Zelda Clone” da Sean Hogan e Jonathan Kittaka.
E sì, è “fortemente ispirato da The Legend Of Zelda”, e nello specifico al primo per NES, ma ci sono alcune differenze notabili: niente denaro o negozi in Anodyne, neanche un ricco arsenale di strumenti per il vostro eroe. Non un problema, visto che il gioco è pensato con in mente la vostra unica arma, una scopa che funziona come la spada di Link, ma ha una particolare meccanica che vi permette di raccogliere e depositare polvere. Semplice, sì, ma i modi in cui è utilizzata sia per i puzzle sia per l’esplorazione sono creativi ed ingegnosi. Oltre a questa, c’è una buona dose di platforming e la necessità di ottenere carte da scrigni per sbloccare cancelli e proseguire.
Buona la varietà e quantità di ambientazioni, ed è abbastanza facile capire dove andare per proseguire, ma non è raro rimanere bloccati in alcune occasioni.
Per vedere la fine ci vogliono circa 7 ore, non male per un gioco da 8 euro, la difficoltà è più che discreta e c’è del contenuto apposito per il postgame.
Tecnicamente abbiamo una grafica in stile “retrò 8/16 bit”, non originale ma adeguata per l’intenzione. Sarebbe stato gradito il fullscreen, questo sì. A livello di storia siamo di fronte ad un viaggio onirico nel subconscio del protagonista, che si riflettono in una surreale commistione di foreste, città moderne, templi, tributi/parodie a Zelda ed altri videogames e incarnazioni delle sue paure.
Anodyne non è un capolavoro, ma un titolo indie ben fatto che prende la formula dei vecchi Zelda e ci fa qualcosa di leggermente diverso e degno di merito, come lo stile onirico e leggermente inquietante ma con un che di fantastico e familiare. Meritevole di maggiori attenzioni.
