Marvel’s Jessica Jones

Attenzione: questo pezzo non contiene spoiler!

Non posso non aprire questo pezzo senza un enorme ringraziamento: grazie Netflix. Un riconoscimento dovuto a una piattaforma che ha manifestato ancora una volta di saper confezionare prodotti di qualità, dimostrando a tutti che si possono creare serie televisive “intelligenti”, passatemi il termine, anche quando si ha a che fare con opere per forza di cose leggere come i fumetti e, ancora più nello specifico, con quelli Marvel.

La prova del nove, se ce ne fosse ancora bisogno dopo l’ottimo serial dedicato al diavolo di Hell’s Kitchen, l’abbiamo con Jessica Jones: il secondo dei quattro eroi urbani a comparire sul piccolo schermo, precedendo Luke Cage e Iron Fist e seguendo quel Matt Murdock appena citato. Jessica Jones è l’ennesimo esercizio di stile degli story writer di Netflix, già perché qui personaggio e background sono decisamente diversi da quanto abbiamo avuto di vedere nel caso di Daredevil: la nostra Jessica non è una supereroina, lo è stata per un breve periodo ma ha poi preferito diventare una detective privata e aprire un’agenzia di investigazioni. Se quindi la serie sull’uomo senza paura ci mostra un Matt Murdock alle prime armi, in Jessica Jones la protagonista deve far fronte alle conseguenze della traumatica fine della sua carriera al servizio degli indifesi cittadini di New York.

Da tutto questo ne esce fuori una ragazza che affoga cinicamente i suoi problemi nell’alcool, costantemente tormentata dall’esperienza traumatica del suo precedente incontro con Kilgrave, un uomo in grado di controllare la mente delle persone costringendole a fare tutto ciò che desidera, incontro che ha poi decretato la svolta nella vita di Jessica facendole appendere il mantello al chiodo. È proprio qui che troviamo una prima differenza rispetto a Daredevil: il villain si mostra immediatamente sia agli spettatori che alla protagonista, eliminando tutta quella fase di ricerca del colpevole delle varie vicende e ponendo subito l’accento su un gioco del gatto e del topo in cui la parte del felino, però, spetta al nemico di turno. Un twist narrativo senza dubbio interessante che garantisce una discreta dose di freschezza alle dinamiche di un genere televisivo che troppo spesso si fossilizza su meccaniche di racconto sì collaudate, ma piene zeppe di cliché.

Questo non significa che i cliché manchino: se l’intreccio di base se la cava puntando su una formula originale, non si può dire lo stesso dei personaggi e di alcune situazioni secondarie che vengono a crearsi tra questi. In parte ciò è dovuto al fatto che, volente o nolente,  stiamo parlando di un opera tratta da un fumetto, quindi già in partenza vengono posti dei paletti ben definiti agli sceneggiatori. D’altro canto, però, sono state fatte delle precise e deliberate scelte di inserire alcune scene (per fortuna poche) totalmente irrilevanti dovute a quel buonismo politically correct che da un po’ di tempo a questa parte imperversa in un po’ tutte le produzioni, e non mi riferisco al solo piccolo schermo: in particolare questo aspetto si traduce nell’inserimento di inutili scene di rapporti lesbo, emotivi e non, tra un paio di personaggi secondari. Scene a dir poco stucchevoli che non aggiungono nulla al prodotto finale ma che sono state messe lì solo per dire “Ehi, attivisti LGBT, vi pensiamo. Ora non rompete i coglioni, ok?“. Fortunatamente il minutaggio complessivo non è talmente elevato da inficiare la buona riuscita dell’intera serie, resta comunque tanto amaro in bocca per uno spazio che avrebbe potuto essere occupato in modo molto più produttivo per l’economia del serial.

Un plauso, invece, merita tutto il team che si è occupato della fotografia, in particolare chi ha avuto l’idea semplicemente geniale di far comparire in un modo o in un altro, sempre utilizzando un approccio estremamente discreto, qualche elemento di colore indaco o porpora in ogni occasione in cui i personaggi e le vicende hanno direttamente a che fare con Kilgrave. E non mi riferisco, banalmente, al vestiario indossato dal nemico numero uno di Jessica Jones, ma a tutti quei giochi di luci che si stagliano sullo sfondo della recitazione, come può esserlo il bagliore di un’insegna al neon che si riflette sui muri di un appartamento, per fare un esempio concreto. Questo è ciò che chiamo fanservice intelligente: piccoli easter egg posizionati in modo tale che non vengano sbandierati ai quattro venti, ma allo stesso tempo facilmente apprezzabili da un appassionato di fumetti. Giusto per dire, il nome “Uomo Porpora” non viene mai accennato in tutti i tredici episodi.

Che dire poi degli attori? Anche qui è stata seguita la stessa filosofia applicata con successo in Daredevil: è stato scelto un attore carismatico per impersonare il villain, onestamente non ho parole per descrivere il Kilgrave di David Tennant. Come il Wilson Fisk di Vincent D’Onofrio, anche l’ex dottore si distanzia dalla controparte cartacea mantenendo ferme alcune delle caratteristiche principali, aggiungendo a esse quella dose di carisma che solo un ottimo attore riesce a infondere a un personaggio. Il risultato è l’Uomo Porpora di David Tennant, che è al tempo stesso simile e diverso da quello della Casa delle Idee. La stessa cosa si può dire per la Jessica Jones di Krysten Ritter, un’attrice che personalmente non ho mai apprezzato tantissimo, ma che riesce nel non facile compito di mettersi nei panni di uno dei personaggi più complessi dell’universo Marvel. Buona anche la performance di Mike Colter, il quale ci dà un piccolo assaggio di quel Luke Cage che vedremo in azione nella serie a lui dedicata.

Tirando le somme, Jessica Jones è l’ennesimo esercizio di stile di Netflix e del suo team di autori. Chi si avvicina a questa serie aspettandosi un prodotto simile a Daredevil per forma e contenuti farebbe meglio a modificare le proprie aspettative: Jessica Jones non offre il classico mix investigativo e action che ci si aspetterebbe da una serie sui supereroi. No, qui le parti di azione, che pure sono validissime, sono ridotte all’osso, e si è preferito porre l’accento soprattutto su una sorta di guerriglia psicologica che coinvolge in varia misura i diversi personaggi. Ci troviamo di fronte a un triller dalle tinte noir in cui l’esistenza di umani con i superpoteri è solo un pretesto per dar vita a una narrazione complessa composta da una pluralità di situazioni e personaggi dalle mille sfaccettature.

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