Nevica finalmente nella Terra dei Crucchi nella quale ormai abito da tre anni; è un Sabato bianco in cui vi scrivo questa introduzione che i primi di voi leggeranno domani che per me sarà Domenica. In privato, tra WiseYuri, CapRichard, Alteridan e me si susseguono discorsi sul futuro del Blog, in particolare su cosa accadrà per il Numero 200 e oltre di questo formato settimanale; voi però non preoccupatevi, la nostra dose di articoli sta tutta qui e vi rimarrà ancora per diverso tempo.
Accompagnato dalle note dell’immortale Pino Daniele vi auguro buona lettura! =)
John Wick
(a cura di CapRichard)
Data di uscita: 22 gennaio 2015
Nel mondo di Hollywood esistono tanti film d’azione. Ci sono quelli esplosivi, quelli realistici, quelli stilosi, quelli fantasy, quelli di supereroi…
E poi ci sono quelli con Keanu Reeves.
Jhon Wick è un film particolare. I registi sono persone con un background insolito. Chad Stahelski e David Leitch sono entrati nel mondo del cinema facendo gli stuntman, e sono famosi per essere la controfigura proprio di Keanu Reeves nella trilogia di Matrix.
Il risultato è un film che ha una cura maniacale nella coreografia ed è uno spettacolo da vedere, sotto tutti i punti di vista.
Nonsense
L’incipit narrativo è di quanto più semplice e idiotico si possa pensare. Il nostro protagonista è un ex-sicario ed ha appena subito un lutto personale, perdendo l’amata. In un momento di pura depressione l’unica cosa che gli rimane è un cagnolino, l’ultimo regalo di sua moglie.
Purtroppo, il figlio di un mafioso russo decide di rubare l’auto a Jhon Wick ed uccidergli il cane. Pessima decisione. Da qui parte una storia di vendetta personale contro chi gli ha definitivamente distrutto la vita.
Raccontata così la trama può far ridere un po’, ma in realtà ha un tono particolarmente cupo e tutti gli attori recitano la loro parte magistralmente anche se si tratta comunque di stereotipi tipici di film d’azione. Keanu Reeves in particolare è dannatamente perfetto in ruoli come questo.
Il film ha un’ottimo ritmo e quando sembra che sia tutto finito, riesce ad avere un altro colpo di coda per finire in bellezza.
Ciak Azione
La regia de tutte le sequenze d’azione è magistrale, onestamente non ho mai visto nulla di meglio. I movimenti sono tutti fluidissimi, la telecamera mostra tutta l’azione, niente scatti violenti a destra e sinistra, niente motion blur eccessivo. Tutto è chiaro e cristallino.
Stranamente per i canoni di Hollywood, questo film ha un’elevatissima consistenza interna per come vengono interpretati i danni all’eroe ed ai nemici. Siamo abituati a scagnozzi che cadono dopo un singolo colpo indipendentemente dall’entità effettiva del danno. Qui invece Jhon Wick punta sempre e comunque al colpo in testa, adoperando tecniche realistiche come il Mozambico Drill, tecnica che consiste nello sparare due colpi al torace velocemente per stordire l’avversario e darsi tempo per allineare un colpo alla testa. Un qualcosa che si vede raramente nei film, ma qui è usata a dismisura. Anche l’uso delle munizioni è riportato realisticamente, con frequenti ricariche per tutti.
Anche l’eroe stesso mostra lo stesso livello di vulnerabilità dei suoi avversari. Un colpo di pistola al torso rallenta e stordisce, grazie ai giubbotti antiproiettile ed un colpo di pugnale infligge danni debilitanti al ungo andare. Si palpa la sensazione che il protagonista riesce a cavarsela perché è molto più allenato ed abile, ma non è ammantato dall’aura di invincibilità classica dei film hollywoddiani.
Qui tutto ha senso, ad ogni azione corrisponde una reazione.
Anche le movenze di Jhon Wick sono calcolate alla perfezione e realistiche. Ha un passato da ex-pugile che si riflette nella posizione delle sue gambe durante i combattimenti. Invece tutti i movimenti tattici e di manipolazione della pistola si rifanno alla tecnica chiamata CAR, Center Axis Relock, un insieme di movimenti e posture per massimizzare l’efficacia dell’utilizzo di una pistola in combattimenti ravvicinati. Questo stile è osservabile anche nel videogioco Splinter Cell Conviction.
Si, sono particolari che solo dei malati come me andrebbero a notare, ma effettivamente rappresentano quell’attenzione al dettaglio ed alla consistenza interna ed al realismo che portano Jhon Wick ad essere uno dei migliori film d’azione degli ultimi anni, se non proprio il migliore.
La sequenza d’azione che spicca di più è quella ambientata in un night club. Musica, colori, luci e coreografia formano un insieme pressappoco perfetto.
Caldamente consigliato a chiunque cerchi un po’ di azione fatta come si deve. Un film senza fronzoli, con grande coreografia e piena di attori di grande presenza scenica.
inFAMOUS: Second Son
(A cura di Alteridan)
Chi da bambino non ha mai sognato almeno una volta di avere dei poteri ed essere un super eroe? Volare, sparare raggi laser dagli occhi, avere una forza estrema, qualunque abilità che ci avrebbe permesso di fare quello che volevamo, di essere uno di quei personaggi dei fumetti più famosi.
I ragazzi di Sucker Punch ci hanno già dato in passato la possibilità di realizzare, anche se solo virtualmente, i nostri sogni d’infanzia: quando nel 2009 diedero vita a quel inFAMOUS per PS3 un po’ tutti siamo ritornati bambini. A distanza di cinque anni dal primo capitolo della serie, i Sucker Punch hanno debuttato su PlayStation 4 con il terzo episodio della saga: Second Son.
Il dopo Cole
Second Son ha luogo qualche anno dopo gli eventi narrati in inFAMOUS 2: il mondo viene a conoscenza dell’esistenza di alcune persone dotate di poteri straordinari, chiamati conduit, ma il governo degli Stati Uniti non prende bene questa cosa. Viene creato un organismo speciale, denominato D.U.P. (Department of Unified Protection), che ha il compito di catturare i conduit e offrirgli una scelta: vivere in prigione o entrare a far parte del D.U.P.

Non manca qualche scorcio interessante.
Il gioco segue le vicende di Delsin Rowe, un ragazzo nativo americano che si ritrova coinvolto nella fuga di alcuni conduit dalla custodia del D.U.P., proprio uno di questi conduit, toccandolo, gli trasferisce una parte dei suoi poteri, rendendo chiara la natura di Delsin: anche lui è un conduit. Nel tentativo di riacciuffare i fuggitivi, il direttore del D.U.P. Brooke Augustine, anch’essa una conduit, tortura e ferisce gran parte della tribù di Delsin. Il giovane decide quindi di dirigersi verso la vicina Seattle, città controllata dalle forze del D.U.P., per rintracciare Augustine e trovare una cura a una particolare malattia che sembra essere stata trasmessa proprio da Augustine ai membri della tribù.

I prigionieri del D.U.P. sono appena fuggiti grazie a un incidente durante il trasporto.
Una volta arrivati nella città nordamericana, la palla passa completamente al giocatore: è qui che, ricalcando lo stile dei due giochi precedenti, viene data una grande libertà al giocatore. Come nella quasi totalità dei giochi free roaming, sarà possibile esplorare la città alla ricerca di attività secondarie da alternare alle missioni necessarie per far progredire la trama principale.
Questione di Karma
Lo stile di gioco di Second Son è pressoché simile agli altri due capitoli della saga: anche qui assistiamo a una chiara demarcazione tra bene e male, con la trama che cambia radicalmente secondo le nostre azione, così come l’atteggiamento dei civili e i poteri a disposizione di Delsin. Seguire il sentiero malvagio donerà al nostro protagonista alcune delle abilità più potenti del gioco, mentre se optiamo per il karma buono i poteri saranno più spostati verso un utilizzo difensivo e di “crowd control”.

Ogni classe di abilità ha un potere speciale: quello del fumo è uno schianto al suolo che abbatte ogni nemico nella zona.
La particolarità di Delsin è che, al contrario di Cole, i suoi poteri non sono limitati a un singolo elemento. Il potere di Delsin è quello di assorbire le abilità degli altri conduit e imitarli, qualcosa di simile ai poteri di Peter Petrelli della serie tv Heroes, per intenderci; questo significa che non saremo limitati ai soli poteri del fumo, i primi che assorbiremo, ma nel corso del gioco sarà possibile entrare in possesso di altre tre classi di abilità, ognuna con un albero di progressione differente e poteri unici in base al karma. Inutile dire che ogni potere modifica l’approccio ai combattimenti, già di per sé abbastanza vari grazie alla possibilità di distruggere parte dell’ambiente (purtroppo solo le costruzioni del D.U.P. possono essere buttate giù), e a una discreta diversità nei nemici.

Il motore di gioco dà il meglio di sé con gli effetti particellari e di luce.
Quindi è un gioco perfetto? Decisamente no. Purtroppo i contenuti sono pochi rispetto agli altri capitoli della serie: il gioco può essere completato al 100% in una ventina di ore, questo significa che se non vi interessa svolgere ogni attività secondaria o raccogliere tutti i collezionabili porterete a termine l’avventura in quindici ore scarse. La trama, poi, è fin troppo banale e mette nel calderone un gran numero di cliché del genere supereroistico, compresi alcuni personaggi troppo stereotipati, come lo stesso Delsin.
Tuttavia, inFAMOUS: Second Son resta un titolo dannatamente divertente: se siete alla ricerca di un gioco in cui sbizzarrirvi facendo uscire fuori quel bambino che voleva diventare Superman, allora questo è il gioco che fa per voi.
Voto personale: 8/10
Braveheart
(A cura di Celebandùne Gwathelen)
Ultimo film visto da me nel 2014, nella serata del 31.12., questo Braveheart è un film che conosco da sempre, ma che non avrò visto da oltre una dozzina d’anni. Ero alquanto stupito, visto la notorietà del film, che la mia ragazza non lo conoscesse affatto e così abbiamo deciso di deliziare la l’ultima serata dell’anno con questa pellicola di guerra medievale, che infondo è molto più di questo. Perchè non siamo usciti a festeggiare? La vita lavorativa a volte richiede questo tipo di sacrifici…
Braveheart racconta la storia di Willam Wallace, figlio di un guerriero scozzese ucciso dagli inglesi, che viene educato e cresciuto da suo zio Argyle. Con lui impara a leggere e scrivere, il latino ed il francese, prima di tornare in patria. La Scozia è oppressa da anni dagli Inglesi, che l’hanno annessa al loro regno in assenza di un re Scozzese. I nobili scozzesi paiono corrotti e coltivano solo i propri interessi, mentre Edoardo Longshanks d’Inghilterra ha istituito la Ius Primae Noctis per ridurre il numero di Scozzesi in Scozia.
William torna in patria proprio durante una festa di matrimonio tra due amanti del clan di suo padre, che viene distrutta da alcuni soldati inglesi che, sfruttando il loro diritto, prendono in custodia la giovane moglie dello scozzese. William, che si innamora di Murron, sua amica d’infanzia, non vuole che anche lei debba soffrire questo fato, e dopo aver speso diverse giornate con lei, le chiede di sposarla in segreto. Murron accetta ed i due si sposano una notte, che passano insieme.

William e Murron sono dolcissimi insieme!
William, tuttavia, non è il solo ad aver notato la bellezza di Murron, ed alcuni soldati inglesi tentano di violentarla. Murron e William si oppongono e tentano di fuggire dal villaggio, ma Murron viene catturata e pubblicamente uccisa. William, che non trovandola al loro designato punto d’incontro, capisce che è accaduto il peggio e assalta la guarnigione locale, aiutato dal villaggio di scozzesi infuriati.
Edoardo viene a sapere di questa ribellione, ma è costretto a relegare la questione al figlio, essendo lui impegnato nella guerra in Francia. Il figlio, Edoardo II, però non è come il padre; effemminato, omosessuale e caratterialmente debole, Edoardo II non riesce a fermare l’avanzata di William Wallace; lo scozzese vince un’importantissima battaglia a Stirling ed in seguito assedia e assalta con successo la città di York. Edoardo, tornato dalla Francia, chiede al figlio la situazione; Edoardo II, ignaro degli eventi, dice che la questione è quasi sistemata e di avere nominato il suo amante, Phillip, suo consigliere di guerra. In quel momento viene recapitata la testa del Nipote di Edoardo Longshanks, il Conte di York. Arrabbiato, Longshanks defenestra Phillip e decide di mandare la moglie di Edoardo II, Isabella di Francia, come messaggera di resa da Wallace.

Williamo non ha intenzione di arrendersi agli inglesi per nessuna ragione...
Isabella, moglie tralasciata da Edoardo II, incontra Wallace e se ne innamora; Wallace, al contrario delle speranze di Edoardo I, non uccide la bella principessa ma invece rifiuta le condizioni di resa di Longshanks e spiega la disperata situazione scozzese alla nobildama.
Longshanks, comunque, aveva nel frattempo preparato un’esercito, pronto ad attaccare Wallace e le sue armate. William, avvisato da Isabella di questa imminente battaglia, supplica i nobili Scozzesi ad agire. Robert il Bruce vuole agire per William, ma suo padre, Robert il Vecchio, gli suggerisce cautela e lo convince a rimanere neutrale al conflitto. William vuole credere in Robert, e convinti i nobili Lochlan e Mornay, incontra gli inglesi in battaglia a Fallkirk. Lì, però, mentre gli Irlandesi tradiscono Longshanks, i nobili Lochlan e Mornay tradiscono William Wallace, e l’eroe è costrettp a combattere in solitaria le truppe inglesi, superiori numericamente. Quando vede Longshanks allontanarsi dalla battaglia, tenta di seguirlo a cavallo, ma viene atterrato da una guardia del corpo di Longshanks. Quando William scopre che si tratta di Robert il Bruce, la sua fede viene a meno. Robert stesso, scosso di vedere la sconfitta in faccia a William, lo aiuta a fuggire con un cavallo ed alcuni uomini, decidendo di non ucciderlo.

Il simbolo William Wallace rimane nei cuori scozzesi ancora oggi!
Longshanks ha ottenuto la sua vittoria, ma William è in vita e prosegue una guerriglia per sette anni, durante la quale uccide anche Lochlan e Mornay, traditori. Nel frattempo lui e Isabella di Francia passano diverse notti assieme, con la principessa che ogni volta avvisa William delle prossime mosse del Re inglese. Robert il Bruce, intanto, offre di nuovo il suo aiuto a William, e con sincerità questa volta. Invita Wallace a Edinburgo, ma suo padre cospira contro i due e fa arrestare William. Robert disconosce il proprio padre, ma è impotente di fronte alla legge inglese. Isabella, a sua volta, cerca di far sparmiare Wallace, ma è tutto invano. Edoardo Longshanks è in punto di morte, ma felice di sapere che il suo avversario scozzese presto morirà. Isabella, però, gli nega la felicità, dicendogli di essere in cinta di Wallace. William, frattanto, viene portato sulla force e torturato; il suo unico modo di salvarsi è chiedere Perdono per i suoi peccati contro la Corona Inglese, che Wallace ovviamente nega. Anche il popolo, che assiste alla tortura, chiede che l’uomo venga perdonato, ma Wallace invece di chiedere PErdono urla un’ultima volta la parola “Libertà!”. Così, William viene torturato e infine ucciso… poco prima della morte, un morente William vede una sorridente Murron camminare tra la folla, e morendo sorride.
Pochi anni dopo Roberto il Bruce porta le truppe scozzesi in guerra contro gli Inglesi, vincendo con loro la tanto agognata felicità cercata da Wallace.

Scozzesi e Inglesi si scontrano sul campo di battaglia!
Braveheart è uno di quei film entrati nella storia del cinema. Non a caso vinse cinque Oscar nel 1996 (anno successivo alla sua uscita), tra i quali Miglior Film e Migliore Regia (con regista Mel Gibson, anche protagonista del film); gli altri Oscar erano Miglior Fotografia, Miglior Trucco e Miglior Montaggio Sonoro. La storia narrata è uno stupendo mix tra racconto storico, storia d’amore e dramma umano. Il personaggio di Wallace è ricco di sfaccettature e complesso, per quanto abbia anche degli aspetti molto primitivi e selvaggi.
Particolarmente belli sono, nel film, sia la musica (sicuramente la colonna sonora originale vi dirà qualcosa ascoltandola) composta da James Horner, che le ambientazioni, che mi hanno fatto venire voglia di andare in Scozia, nonchè i drammi ed i rapporti personali, primo fra tutti quello tra William e Murron (Catherine McCormack), poi quelli dei personaggi secondari, Edoardo Longshanks (Patrick McGoohan) e Edoardo II, Haemish (uno dei più stretti amici di William) e suo padre, tra Edoardo II e Elisabetta di Francia, tra Robert il Bruce (Angus Macfadyen) e suo padre Robert il Vecchio (Ian Bannen), tra un seguace Iralndese di William, la “sua” Isola e gli Scozzesi, e non ultimo il rapporto tra William e Elisabetta di Francia stessa (interpretata da un ottima Sophie Marceau).

La storia tra Isabella di Francia e William Wallace è un'inaccuratezza storica, ma viene bellissima nel film!
I costumi, per quanto in parte anacronistici, sono spettacolari e rendono l’idea della Scozia del tempo. Belle anche le battaglia, anche se ovviamente terribilmente più piccole di quelle a cui siamo abituati oggi dopo i fasti del Signore degli Anelli.
Il film è particolamente lungo, quasi tre ore, ma ne vale davvero la pena; è appassionante, bello da vedere, bello da sentire e una lezione di storia (seppure da prendere con le pinze) dell’isola britannica. Non posso che caldamente consigliarlo!
Voto Personale: 9/10
Of Souls And Broken Modes
(A cura di Wise Yuri)
Con la serie in hiatus temporaneo ed il suo futuro incerto, è tempo di ripescare questo criticato episodio per PSP, tale Soul Calibur: Broken Destiny.
Ed in casi come questo mi chiedo perchè non potevo semplicemente fidarmi delle recensioni di altri, ma siccome ho recensito pure Lost Swords, non vedo motivo per tirarmi indietro da questo.
Dando per scontato che sappiate cosa è Soul Calibur (in caso contrario…. siete su internet in questo momento, date un’occhiata), inizierei dalla trama come di solito…. ma il problema è che in questo caso c’è un buco bello grosso nel gioco, che inevitabilmente ci porta a parlare dell’elefante nella stanza di Broken Destiny, perchè potrei parlarne dopo, ma è un problema talmente lampante che merita di essere analizzato subito.
Ecco, come probabilmente sapete.. perchè è la cosa più nota del titolo, Broken Destiny non ha una storia, né una modalità Storia, neanche una modalità Arcade vecchio stile in cui ci sono illustrazioni o filmati conclusivi diversi a seconda del personaggio. E no, un intro in cui si parla della solita roba “di anime e spade” non conta. Se non mi ricordo male pure Killer Instinct per il primo Game Boy aveva una modalità Arcade, questo è un titolo per PSP del 2009, serve che dica altro? ….. Oh, sbadato me, ho dimenticato che c’è la modalità Gauntlet (tradotta letteralmente in “Guanto”, ovvio), come ho potuto?

Questo è il surrogato di modalità Storia offerto, un ammasso di dialoghi a caso tra due ritratti dei personaggi in stili chibi.
Ho potuto perchè non è altro che un dannato e lunghissimo tutorial sulle basi del combat system, ed all’inizio c’è pure un’avviso su come la “trama” e gli eventi di questa modalità siano non-canonici, perchè sia mai che un ammasso che di missioni a caso tirate assieme dalla Namco durante un “break al bagno” rovinino il lore. Alcuni fan della serie potrebbero cacciare un sorriso per le vignette e scambi di battute testuali veramente a cavolo tra i personaggi, ma personalmente le ho trovate di un sapido incredibile, perchè vedere l’icona/ritratto di Alexandra (in stile chibi manga, ovviamente) che viene fatto volare via da un cazzotto del ritratto di Hilde, o leggere descrizioni pseudo-umoristiche nella schermata dei risultati in caso di fallimento mi fa solo pensare che nessuno aveva voglia di creare una trama, il fatto che Soul Calibur Legends sia meglio a questo riguardo è preoccupante.
Giusto per farvi capire, il nome di una missione è “Scoreggia Ninja Letale”, giusto per darvi un’idea della classe di questa modalità che non è un altro che l’ombra dell’ombra dell’ombra della modalità Maestro D’Armi. Ed anche se vi mettete in testa di finire questa modalità, la vostra ricompensa è una misera nuova arma per tutti. Yay.
Davvero, è una serie di missioni legata da uno scaracchio di scusa di premessa/trama/filo logico (e quando le missioni non sono facilissime é perchè venite messi con un briciolo di salute e pochissimi secondi nella missione/prova), e sebbene capisco che al tutto ci sia un utilità pratica di far imparare ai neofiti le basi con la pratica invece di spiegarvele con blando testo – ed a questo riguardo funziona, senza dubbio -, ma il fatto che questa sia la cosa più vicina ad uno story mode è imbarazzante a dir poco. E l’unico motivo per cui non termina in sole 3 ore è perchè continua per quello che sembra un infinità (ci sono 34 capitoli con un minimo di 2-massimo di 4 missioni l’uno, abbastanza da tenervi impegnati per 6 ore circa, ma già al decimo mi ero sfrangiato i coglioni), il tutto perchè devono farvi combattere contro tutti i combattenti del roster. Ahh, filler del menga, proprio quello che volevo.
Ed è peccato perchè onestamente a livello di puro gameplay, Soul Calibur: Broken Destiny è esattamente quello che potreste e dovreste aspettarvi da Soul Calibur per PSP, è una trasposizione ottima delle versioni per arcade e home console, nello specifico qui abbiamo una versione pressochè identica (da quanto ho capito c’è pure quella puttanata della gemma/ultra mossa) di Soul Calibur IV, che onestamente si gioca proprio bene sulla portatile Sony, il layout è identico a quello su PS3/PS2 (meno due dorsali che comunque erano abilitati principalmente a scorciatoie per combo), ed il d-pad della PSP è ottimo (potete anche usare l’analogico che non funziona male, ma per il tipo di gioco e la posizione dell’analogico sulla console, il d-pad è molto più comodo).
Lasciando perdere la modalità Guanto di Sfida, è interessante notare come in questo episodio ci sono alcune funzionalità che ritroveremo in Soul Calibur V, come la modalità Partita Rapida che vi mette contro un I.A. scelta casualmente (che immagino siano IA create a partire da partite di giocatori veri, forse scelte tra quelle dei giocatori online di SC IV, visto che ci sono riportati i nickname ed il numero di vittore e sconfitte) e che una volta sconfitta vi regala il suo specifico titolo, e qui vediamo il debutto di Dampierre, che sarà poi rilasciato come DLC per SC V.
Come personaggio, Dampierre è simile a Voldo in quanto le sue mosse sono decisamente erratiche ed imprevedibili, più sul goffo ed imbranato, ma comunque aspettatevi qualsiasi bizzarria a livello di attacchi da qualsiasi posizione con Dampierre Le Bello ed i suoi baffi.
Ma non è la sola nuova entrata, in quanto – come intuibile dalla copertina del gioco – c’è pure il caro vecchio Kratos a rimpolpare il cast, e sebbene sia divertente da usare, il pelato Dio Della Guerra è eccessivamente forte, tanto che mi sono bastate tre partite con lui per pulire il ring con la faccia di qualsiasi avversario senza neanche troppo impegno. Non molto bilanciato come personaggio, per quanto divertente da usare e ben integrato con il resto dei lottatori.
Il resto del roster è quello di SC IV senza i personaggi di Star Wars ed i personaggi-copia creati in collaborazione con vari mangaka, davvero nulla da dire che non abbia già detto Celebandune nella sua recensione. Per quanto riguarda le altre modalità, c’è il classico Versus in locale, un classico Allenamento, e la modalità Prove, che si divide in Attacco (più combo fate migliore il punteggio), Difesa (più contrattaccate maggiore il punteggio) ed Infinita (il classico Survival).
Senza dimenticare una modalità Creazione che a parte un numero più limitato di slot per i personaggi ed un paio di opzioni di in meno, è la stessa presente in Soul Calibur IV, che ricordo essere un passo indietro non da poco rispetto a quella di SC III, quindi pur avendo non poche opzioni per il look e tanti oggetti da ottenere per questo fine, potete solo creare skin visto che dovete scegliere lo stile di combattimento da quello di uno dei normali lottatori.
Purtroppo niente online, anche se in maniera un po’ grezza si poteva fare eccome anche su PSP, ed avrebbe reso più facile passare oltre il single player al limite dell’inesistente, c’è solo il multigiocatore locale via ad hoc play (traduzione: Wi-fi locale).
Tecnicamente non è il meglio di quanto si potesse fare su PSP, nel senso che ho visto titoli come God Of War: Il Fantasma di Sparta spremere di più la console, ma in generale è molto ben fatto, con texture buone e dettagliate a sufficienza, nessun lag ai controlli, e la musica, pur in gran parte (se non tutta) recuperata da SC IV normale, fa il suo lavoro nell’accompagnare questa portatile storia di anime e spade, nulla di cui lamentarsi.
Commento Finale

Giusto perchè sì, ecco a voi Kratos che festeggia un buon colpo da golfista. Non c’entra nulla con il gioco ma pensavo voleste poterla vedere! 😀
Soul Calibur: Broken Destiny a livello di puro gameplay è un’ottima versione portatile di Soul Calibur IV che si gioca benissimo sulla portatile Sony, ma ora come ora risulta davvero difficile da consigliare se non ai fan della serie, perchè sebbene le cose importanti ci siano tutte, questa offerta per PSP è un po’ monca di modalità, in quanto oltre a quelle canoniche, l’unica cosa vagamente simile ad una modalità Storia od Arcade è quella Guanto Di Sfida, un gigantesco, pedessiquo, ed eccessivo tutorial diviso in tante, troppe micro-missioni intervallate da stupidi dialoghi, tentativi scialbi di umorismo, ed uno scherzo di pseudo-trama che si proclama non-canonica. E la mancanza di una modalità online qualsiasi (anche se dubito ci sarebbe ancora online) non aiuta per niente.
Il roster è ridimensionato un po’ da Soul Calibur IV, ma ci sono due nuovi personaggi esclusivi, Dampierre e Kratos dalla serie God Of War che bene si inseriscono nel cast, ed a livello tecnico è esattamente quanto vorreste (e vi aspettereste) da un Soul Calibur per PSP. É meglio di Soul Calibur Legends e molto meno inutile rispetto a Lost Swords, ma a meno che non vogliate un Soul Calibur da giocare al volo e non siate molto esigenti, è davvero difficile da consigliare, anche se lo potete recuperare a poco e di per sé è decente. Alla fine centra l’obiettivo di offrire un’ottimo Soul Calibur in formato portatile, ma sa di occasione sprecata, peccato.
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E come sempre, rimanete con noi e spargete la voce! A settimana prossima! =)
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