The Weakly Hobbyt #100

The Weakly Hobbyt #100

Quando scrissi la prima introduzione al primo numero del Weakly Hobbyt, non avevo di certo pensato che avrei potuto, novantanove numeri dopo, scrivere ancora introduzioni per questa rubrica. Casualmente, poi, questo è anche il mio PERSONALE centesimo articolo su Checkpoint Cafè, quindi i motivi di festeggiare sono doppi. La tendenza di iniziare qualcosa e abbandonare a metà dell’opera credo sia insita a molti di noi in quest’epoca di rapidi cambiamenti, e scrivere un blog con così tanta dedizione e insistenza non è una cosa da poco, soprattutto considerato che ci appoggiamo e ci siamo sempre appoggiati a contributi volontari, gente che senza vedere “una Lira” continua a scrivere su questo blog per il semplice piacere di voler dire la propria sui nostri hobby e passatempi preferiti.
Non posso ringraziare a sufficienza persone come WiseYuri, che continuano a supportare e aiutare il Checkpoint Cafè, collaboratori vecchi e nuovi come Alteridan e Fall, che hanno indubbiamente contribuito a tingere coi loro colori l’arcobaleno di articoli che vi presentiamo settimana dopo settimana, e l’unico co-creatore del blog ancora attivo, ovvero Dunther, che in modo seppur occasionale scrive sul blog, ma soprattutto tiene attiva la nostra pagina FaceBook, che da questa settimana riceverà un nuovo banner. Voglio ovviamente ringraziare anche i lettori del blog, da qarion a Stian, a tutti gli altri occasionali o silenti lettori delle pagine. Sappiamo che ci siete (il contatore delle visite ha ormai superato i 60.000) e grazie di esserci! =)
Passiamo agli articoli, che come avrete notato dal banner, concludono per ora il mio avventurarmi nella serie Soul Calibur. Parleremo inoltre ancora una volta di Devil May Cry, con la recensione di WiseYuri dell’ultimo titolo Ninja Theory, di Dishonored che ha fatto parlare moltissimo di se e di Beautiful Creatures, per parlare del quale per fortuna si è mortalato WiseYuri per molti di voi.

Soul Calibur IV

(A Cura di Celebandùne Gwathelen)

Soul Calibur IV

Con questa recensione, il cerchio si chiude. Quasi, a dire il vero, visto che per chiunderlo in maniera completa dovrei parlare quest’oggi anche di The Tourist, che invece dall’uscita nelle sale cinematografiche non ho ancora avuto il piacere di rivedere, Persona 3, che purtroppo per varie vicende non ho mai più continuato, e Devil May Cry 2, di cui però vi ho parlato ancora un paio di volte e di cui forse tornerò a parlare una volta recensito il grave assente della serie su questo blog, ovvero il capostipite della saga! Visto comunque che di Devil Mary Cry in questo numero si parla comunque, me la scappotto un pochino! 😉
E comunque spero che ci siano ancora sufficienti iterazioni del Weakly Hobbyt per parlarne!

Ciancio alle Bande! Soul Calibur IV, ovvero come esagerare il game design di personaggi all’ennesima potenza: come avrete facilmente notato dal banner, Soul Calibur IV è diventato tristemente famoso per aver deciso di ritoccare, non poco e non in maniera subdola, le sue combattenti femminili, graziandole di grazie più grandi e sinuose che in passato. La cosa è triste, in quanto questo cambio estetico sembra essere l’unica cosa che ha davvero subito un “one up” tra questa e la precedente iterazione della serie. Ma andiamo con ordine…

Soul Calibur IV riprende “il filo narrativo” dove termina Soul Calibur III, ovvero con l’eterna ricerca da parte dei suoi combattenti della Soul Edge. Questa è stata recentemente costretta in un “Soul Embrace”, in cui la Soul Edge e la Soul Calibur si sono legate tra di loro nel fatale incontro dell’una con l’altra. Adesso sono una e la stessa spada, indivisibili e inutilizzabili dai lottatori. Che quindi sono in cerca, per la prima volta, delle origini della spada e cercano di capire quale storia si cela dietro questi avvenimenti che li lega insieme in un modo o nell’altro.

Soul Calibur IV

Il One-Up grafico di Soul Calibur IV è facilmente notabile in questa immagine di lotta tra Maxi e Yoshimitsu!

Le modalità di gioco presenti nella quinta iterazione della più famosa serie di combattimenti all’arma bianca sono, come sempre, divise in single e multiplayer. Nella modalità in singolo ritroviamo la cara vecchia modalità Arcade, l’Editor di Personaggi e come novità la modalità Storia e la Torre delle Anime (Tower of Souls). Quest’ultima mi pare l’unica modalità che merita davvero di venire descritta, visto che la modalità Arcade è ripresa fondamentalmente da Soul Calibur II e (purtroppo) non da quella sublime e al limite della perfezione di Soul Calibur III. Anzi, a dire il vero, la modalità Arcade è ancora più scarna di quella di Soul Calibur II, visto che non presenta neanche un intro o un outro di alcun tipo.
Queste due cose vengono invece presentate, e in bello stile, nella modalità Storia. In questa vivrete la storia di ciascuno personaggio, con introduzione e una bella lotta epica col boss finale (questa volta non un anonimo Inferno, ma cangiante, a differenza di chi sceglierete, tra Siegfried, Nightmare o la new entry Algol). Le battaglie saranno o singole o multiple (ovvero voi contro molteplici avversari) e c’è anche la possibilità che altri personaggi si aggiungano a voi durante la lotta, facendovi effettivamente diventare un “party” di personaggi. In queste lotte, e purtroppo SOLO in queste lotte, sarà possibile sfruttare l’AMB, Active Matching Battle, in cui allo schiacciare di un tasto, potrete switchare (come introdotto in Tekken Tag Tournament) attivamente tra uno dei vostri personaggi all’altro. Meccanica davvero utile, ma purtroppo utilizzabile solo nelle modalità singleplayer. Comunque sia, come la modalità Arcade, anche quella storia ha una serie fissa di battaglie contro il solito cast di Soul Calibur O combattenti generati dal editor di personaggi, per poi concludersi nella battaglia finale. Seguirà un filmato e fine.

Soul Calibur IV

Lotta tra mostri: Voldo vs. Lizardman

Nella Torre delle Anime, invece, sarete costretti a scalare piano dopo piano partecipando a particolari sfide, un pò come facevate anche nella modalità Edge Master in Soul Calibur II e Mission Mode di Soul Calibur per DreamCast (come ricorderete, la versione X360 era tristemente privata di tale modalità). Come al solito le particolarità delle sfide si basano su condizioni di vittoria via via più difficili da soddisfare, come nemici con barra della vita infinita (battibili, quindi, solo con Ring Out), impossibilità a difendervi o l’obbligo di dover vincere molteplici lotte di fila per passare l’evento.
A differenza della modalità Edge Master, però, o della simile ma al contempo diversa Cronistorie della Spada, la Torre delle Anime non presenta una narrativa di fondo, non vi immerge in un mondo parallelo o qualsiasi cosa di vagamente somigliante a questo. Ci sono queste sfide, vengono descritte, e basta. Farlo ovviamente comporta bonus, vi permette di ottenere soldi e sbloccare pezzi di costumi poi disponibili nella modalità di creazione del personaggio, ma per lo più ho trovato poco incentivo a scalare i sessanta piani della torre (e per ridiscenderli con due personaggi, se proprio volete completare tutto al 100%, ugh!).

Soul Calibur IV presenta anche per la prima volta nella serie la possibilità di sfidare altri giocatori online. Avendo il gioco per XBox 360 e non disponendo di un abbondamento XBox-Live Gold, non l’ho mai usata, ma da quello che ho sentito è implementata abbastanza bene dal punto di vista tecnico. Ma, ripeto, non mi dilungo a riguardo non avendone mai fatto esperienza personale.

Quello di cui posso invece parlarvi è il multiplayer locale, che è fatto bene, e d’altronde la saga a questo ci ha abituato. I controlli sono rimasti precisi e non presentano grossi lag come invece avevo notato nella precedente iterazione su PS2. Anche i cambi introdotti nel sistema di combattimento sono tutto sommato accettabili per delle oneste sfide tra molteplici giocatori.
La modalità multiplayer è disponibile in due salse, standard e speciale. In quest’ultima entrano in gioco gli effetti speciali di armi e costumi, come ormai è usanza dai tempi di Soul Calibur II.

Soul Calibur IV

L’agilissima Talim prova a sbilanciare indietro Ivy. In realtà l’ha solo ribilanciata! 😉

Parlavo di cambi introdotti al sistema di combattimento; il cambio più corposo e sostanziale è l’aggiunta di una “super mossa” per personaggio, chiamata Critical Finish. Accanto alla barra della vita, adesso i personaggi hanno una sfera di colore verde. Mano mano che si effettuano attacchi che vengono bloccati dall’avversario, la propria barra diventa sempre più bluastra, fino a brillare, mentre quella avversaria, se il nemico continua a stare solo in difesa, diventa sempre più rossa. All’ennesimo colpo consecutivo parato dall’avversario, la sfera diventarà rosso acceso e inizierà a brillare, e c’è un’alta possibilità che venga distrutto un pezzo del proprio costume o dell’armatura. In questo momento, premendo tutti i pulsanti contemporaneamente (se la propria sfera è azzurra luccicante) è possibile eseguire il Critical Finish che, con un solo colpo, ucciderà l’avversario. Queste mosse sono potenti ed estremamente coreografiche, ma al contempo verranno usate molto di rado visto che necessita che contemporaneamente la vostra Soul Gauge sia azzurra luccicante, quella avversaria sia rossa luccicante, voi con un colpo distruggete un pezzo dell’armatura avversaria, l’avversario rimanga in piedi vicino a voi e voi abbiate la prontezza dei riflessi di premere in fretta i pulsanti giusti del joypad.

Con mio fratello ci siamo messi un pomeriggio intero a provare DI PROPOSITO di farci le Critical Finish l’un l’altro, e ci siamo riusciti forse in totale una manciata di volte. E’ un aggiunta carina, ma nulla più. Per potervi parlare dell’altra piccola aggiunta introdotta (direi in esclusiva per questo capitolo), dobbiamo prima rapidamente parlare dei personaggi presenti nel gioco (come sempre, le new entry saranno sottolineate) e delle guest start di questo episodio.

Soul Calibur IV

Ivy fa subire a Yun-Seong il suo Critical Finish!

  • Algol: Partiamo subito con il carismatico boss finale del gioco. Algol è l’antico re che per primo impugnò sia la Soul Edge che la Soul Calibur, che dovette uccidere il proprio figlio per la corruzione subita da quest’ultimo dalla spada malefica, e che ora brama di unire in sè i poteri di entrambe le spade. Il suo stile di combattimento è molto particolare, riuscendo a levitare sopra il terreno e materializzando nelle sue mani spade, artigli, chele e quant’altro. Riesce addirittura a sparare sfere di plasma con un braccio cannone in stile Samus Aran. Un avversario temibile.
  • Amy: Si, Amy era sbloccabile in Soul Calibur III come personaggio “extra”, ma fondamentalmente il suo debutto avviene proprio in Soul Calibur IV. Il suo stile ricorda quello di Raphael, ma è adatto al suo fisico più minuto e più agile. La sua arma è uno stocco.
  • Astaroth: Il golem di pietra torna più “golemoso” che mai, con un aspetto più di pietra e magma che in precedenza. Rimane un personaggio lento ma che con colpi potenti della sua ascia riesce a incutere timore in qualunque avversario.
  • Cassandra: La giovane della famiglia Alexandra torna in campo, agile e ragazzaccia come non mai. Il suo stile non ha subito grosse modifiche, e con daga e scudo rotondo continua ad essere un personaggio agile, ma dalla corta gittata.
  • Cervantes: Il pirata dalla doppia spada incasse ulteriori colpi in questa iterazione della serie e perde ulteriori mosse che lo avevano caratterizzato positivamente in precedenza. La cosa strana è che nelle animazioni di fine sfida, la mossa continua ad esserci. Comunque sia, Cervantes rimane tutt’ora un personaggio temibile, abbastanza rapido e letale, che con le sue due spade, una con tanto di pistola incorporta, è adatto per colpire avversari da vicino e da lontano.
  • Hilde: Altra New Entry e forse la donna più vestita dell’intero universo di Soul Calibur. Hilda è la figlia di un re germanico impazzito a causa dell’Evil Seed. Armata sia della sua lancia che di una spada, la giovane principessa si mette in cerca della Soul Calibur per sperare di liberare il padre dalla maledizione. Le sue mosse sono decisamente temibili, essendo in grado di colpire dalla distanza con la sua lancia e in vicinanza con la spada. Non è la combattente più agile del rooster, ma con armatura completa addosso, è decisamente uno dei meglio armati e corazzati.
  • Hong Yun-Seong: il combattente coreano fa il suo ennesimo ritorno in Soul Calibur IV, come sempre armato di sciabola. La sua agilità e velocità continua ad essere uno dei punti forti più apprezzati del suo stile di lotta.
  • Ivy: Come poteva mancare? Come avrete visto dal banner, la ragazza è tornata più svestita che in precedenza, mentre il suo stile di lotta si sveste e si complica al contempo. Adesso, la Snake-Sword invece di avere due forme tra cui scegliere (spada o frusta), ce ne sta anche una terza in cui la spada è divisa, ma arricciatra su se stessa fino a formare un cerchio. Aggiunta, secondo me, inutile, e che complica il parco mosse di Ivy (già non facile di suo) e lo depriva, per di più, di diverse mosse davvero efficaci.

    Soul Calibur IV

    Astaroth è più roccioso che mai!

  • Kilik: il primo in ordine alfabetico del famoso trio di Soul Calibur continua ad essere un combattente feroce, con il suo usuale bastone riesce ad essere al contempo agile ed avere una gittata notevole. Il suo parco mosse si differenzia ulteriormente da quello di Seung Mi-Na. Lo preferivo, tutto sommato, nella sua versione di Soul Calibur II.
  • Lizardman – Aeon Calcos: Finalmente si scopre l’identità di Lizardman. Un tempo era un guerriero greco di nome Aeon Calcos, che venne maledetto anche lui dalla Soul Edge e perse il controllo delle proprie azioni. Adesso pare aver recuperato un minimo di umanità e cerca la Soul Edge per distruggerla e tornare nella sua forma umana. Aeon Calcos combatte, come in Soul Calibur III, con uno scudo greco e con un’ascia, e il suo parco mosse adesso ricorda solo vaghissimamente quello di Sophitia e Cassandra, essendo stato molto diversificato e “lucertolizzato”. Anche il suo aspetto è cambiato, con tanto di armatura e coda che è possibile recidere!
  • Maxi: il marinaio vendicativo torna con uno stile più salterino che mai, e continua a lottare con il suo Nunchaku assieme a Kilik e Xianghua. Il suo stile non è cambiato molto, e tra calci e ruotate improvvise continua ad essere un personaggio letale nella breve gittata.
  • Mitsurugi: Poteva mai mancare il più bravo Samurai del mondo fittizio della Namco? Certo che no! Il suo stile di lotta è non purtroppo rimasto invariato (sigh!) ma la sua katana è più affilata che mai.
  • Nightmare: Uno degli antagonisti fissi del gioco, Nightmare è ancora più demoniaco che in precedenza, collezionando anime per potersi ancora manifestare nell’armatura posseduta di Siegfried. Il suo stile di combattimento è rimasto più o meno invariato, brandendo ancora una feroce spada a due mani, ma facendo anche perno non di rado sui suoi poteri demoniaci.
  • Raphael: continua a incattivirsi di volta in volta, sempre più posseduto dal frammento di Soul Edge riuscito a conquistare. Il suo stile è ancora basato sull’uso del suo stocco, ma è ora meno agile che in precedenza e più “potente”.
  • Rock: Il gigante bianco torna più aggerrito che mai. La sua ascia è ormai roba del passato e Rock ha imparato a brandire con sicurezza la sua gigantesca mazza ferrata. Con la quale, bisogna dirlo, se la cava decisamente bene.

    Soul Calibur IV

    Visto che era troppo vestita, Nightmare ha provato a svestire Hilde!

  • Seong Mi-Na: la giovane guerriera coreana è ormai sempre meno giovane e con sempre più esperienza. Ormai vice-addestratrice del dojo del padre, viaggia un’ultima volta per il mondo per distruggere la Soul Edge, armata come sempre della sua fida alabarda. Il suo stile di lotta è rimasto abbastanza invariato, ma anche per lei vale il discorso fatto per Kilik: la versione Soul Calibur II rulla! 😉
  • Setsuka: fa il suo ritorno vendicativa come sempre nei confronti di Mitsurugi. Dei suoi cambi estetici parleremo in dettaglio più in basso, il suo stile è rimasto piuttosto invariato da Soul Calibur III, si presenta come combattente non agilissima ma veloce e dalla gittata media. La sua arma continua ad essere una katana nascosta in un ombrello.
  • Siegfried: Il paladino della saga, così viene detto, è stato ucciso alla fine di Soul Calibur III e resuscitato poco dopo dalla Soul Calibur. Ora “Siegfried il Bianco”, con nuovi poteri derivati dalla gigantesca spada magica cristallosa a due mani che brandisce, è ancora più determinato a porre fine alla sua nemesi, Nightmare.
  • Sophitia: Costretta da Tira a combattere per la difesa di Soul Edge, la guerriera greca è in questo capitolo costretta a fronteggiare molti di quei personaggi che un tempo erano suoi compagni. Anche sui suoi cambi fisici parleremo in un secondo momento. Il suo stile di lotta è come sempre centrato intorno alla daga e allo scudo datole da Efeso.
  • Taki: La ninja, come Sophitia e tante altre, ha subito pochi cambi nel modo in cui combatte, e molti invece nel suo modo di apparire e vestire. Comunque vada, le sue armi continuano ad essere le due corte lame ninja ed i suoi micidiali calci. Agile come non mai, Taki è un avversario davvero temibile.
  • Talim: La giovane guerriera della polinesia fa la sua ultima apparizione, per ora, nella serie Soul Calibur. Il suo stile di lotta ha subito alcune modifiche, ma fondamentalmente continua a ruotare intorno al rapido e letale utilizzo delle sue tonfa lamate.
  • Tira: Sempre più somigliante a Rita Repuslar e Yuri della serie Street Fighter, Tira viene rappresentata come una ragazza dalla doppia personalità, a volte dolce e tenera, altre crudele e sadista. Ha rapito la figlia di Sophitia e se ne serve per ricattare la madre. Come in Soul Calibur III, Tira combatte con il suo hula-hoop affilato.

    Soul Calibur IV

    Sophitia e Tira provano a combattere…e ad evitare incidenti col guardaroba al contempo!

  • Voldo: Oddio. Il vecchio guardiano palermitano, sordo cieco e muto, fa il suo ennesimo ritorno, con abiti sempre più buffi e improbabili e mosse come sempre imprevedibili. Le sue katar continuano ad essere le sue fide armi.
  • Xianghua: Ultima del trio di guerrieri intenti a distruggere la Soul Edge e chiunque la difenda, la giovane guerrieria continua a combattere con una grazia ultraterrena con la sua spada cinese senza nome. I suoi vestiti sono sempre più belli.
  • Yoshimitsu: Si, anche lui fa il suo ritorno in Soul Calibur IV. Personalmente ho sempre pensato a lui, e non a Taki o Setsuka, come nemesi di Mitsurugi. I suoi vestiti sono strambi come non mai in questa iterazione, ma il ladro nobile del giappone combatte come sempre con la sua fidata katana.
  • Zasalamel: L’uomo con la falce, burattinaio nell’ombra, torna in questa nuova iterazione del gioco con un parco mosse pressochè identico al terzo episodio, ma con uno sguardo più malvagio che mai. A ben pensarci, è l’unico uomo di colore del roster della serie.
  • Angol Fear: personaggio bonus disegnato dal mangaka Mine Yoshizaki, Angol Fear mima le mosse di Seong Mi-Na. Personaggio in diretta relazione con quello del manga Sgt. Frog, Angol Fear viene da un’altra dimensione per esplorare la terra e capire se merita venire salvata dalla distruzione. La sua arma è una specie di alabarda con una grossa sfera all’altra estremità.
  • Ashlotte: creata dal culto di Fyngul Cestemus per cercare Astaroth e distruggerlo, questo robot dalla forma femminile usa lo stesso set di mosse del gigantesco golem e combatte con una ascia-lancia. E’ stata disegnata, come personaggio bonus, dal mangaka Oh! Great aka Ito Ōgure.
  • Kamikirimusi: Ennesimo personaggio bonus, questo disegnato da Hirokazu Hisayuki, capo della Sunrise (Gundam, Cowboy Beebop), Kamikirimusi riprende lo stile di combattimento di Nightmare. Un oni tenuta prigioniera per secoli in un pozzo, Kamikirimusi riesce a uscirne finalmente e sentendo il potere della Soul Edge, ne viene magicamente attratta. La sua arma è una gigantesca mazza chiodata.
  • Scheherazade: Un’elfa di una civilità che secoli prima aveva aiutato un antenato di Hilde a fondare ils uo regno, Scheherezade fugge dal suo villaggio dei boschi in cerca del suo amato in direzione del castello di Algol. Il suo stile di mosse (così come la sua arma, una spada) è ripreso da Amy, e il personaggio è disegnato da Yutaka Izubuchi, anche lui affiliato al marchio Gundam.

    Soul Calibur IV

    A breve Scheherazade incontrerà in lotta re Algol!

  • Shura: ennesima femme fatale del cast di Soul Calibur, questa donna impossessata da un demone riprende lo stile di mosse di Cervantes, ma è più agile e combatte con due katane, avendo quindi anche più gittata delle armi del pirata. Mantenendo misteriosamente le mosse attivate con la pistola. E’ disegnata da Hiroya Oku, designer del famoso gioco online Gantz.
  • Darth Vader: personaggio bonus della versione PS3 di Soul Calibur IV. Dubito che Anakin Skywalker necessiti di introduzione. Il suo stile di combattimento in Soul Calibur IV è abbastanza lento, ma basato su attacchi di potenza. Combatte sia con la sua spada laser rigorosamente rossa, che con i poteri della forza. E’ disponibile come DLC nella versione XBox 360.
  • Yoda: personaggio bonus della versione Xbox 360 di Soul Calibur IV. Come già citai nel Weakly Hobbyt #1, è un personaggio che sbilancia incredibilmente il gioco, essendo così basso da essere imune a qualsiasi tipo di presa. La sua Spada Laser verde ha una gittata piuttosto limitata, ma la sua agilità ed i suoi salti lo rendono comunque agile e letale. E’ disponibile come DLC nella versione PS3.
  • The Apprentice: Personaggio della serie “The Force Unleashed”, il giovane Starkiller compare in Soul Calibur IV armato di Spada Laser rossa e tutta una serie di mosse basate sui poteri della forza. Per di più è incredibilmente agile e rapido nei suoi attacchi, fisici o basati sulla sua arma.

E con questo il roster è al completo. I personaggi sono davvero tanti e quasi tutti, eccetto quelli bonus disegnati da mangaka e simili, hanno un parco mosse diverso dall’altro.

Soul Calibur IV

Chi non avrebbe voluto vedere questa lotta nei film di Star Wars?

Come dicevo, c’è una piccola meccanica extra per i tre personaggi dell’universo di Star Wars. Sotto la loro barra della vita ce n’è una seconda che indica la quantità di “Forza” che possono utilizzare. Che siano fulmini, strangolate a distanza o levitazioni, quando un personaggio della saga di George Lucas usa il proprio potere, questa barra viene svuotata leggermente, e una volta del tutto vuota, il personaggio rimane immobile per qualche secondo. La stessa barra si può ricare col tempo e subendo colpi.

Vorrei un attimo anche parlare del aspetto tecnico del gioco, per poi passare alle note dolenti: Soul Calibur IV si presenta con una veste grafica assolutamente straordinaria. Per quanto le arene belle del gioco si contano sulle dita di una mano (una grotta nei ghiacci con tanto di mammut congelato, una nave arenata nelle caraibi, una palude con dei dodo e dei giardini imperiali tropicali), e quelle mediocri sono in grande abbondanza (grige, marroni e sinceramente non molto ispirate), sono comunque graficamente ben realizzate, con effetti di vario genere causati da mosse spaccapietre e con animazioni un pò ovunque (dai dodo che camminano sull’area a orde di cavalieri che scorazzano giù una valle, ne vedrete di tutti i tipi). Aggiungete a queste tre arene tratte dall’universo di Star Wars e avete un quadro completo di un set di arene niente male, ma neanche troppo diversificato. Indubbiamente inferiore a Soul Calibur III.
L’aspetto sonoro si attesta più o meno sugli stessi livelli. Le voci dei personaggi sono davvero niente male, le loro frasi sono accoppiate meglio all’inizio delle lotte, e le musiche sono da buone a ottime (in particolare quelle basate sull’universo di Star Wars!). Siamo su livelli, tutto sommato, buoni, anche se come sempre non c’è davvero una traccia particolare dell’universo di Soul Calibur memorabile.
In tutto e per tutto, però, la veste grafica è straordinaria, i modelli dei personaggi presentano un dettaglio mai precedentemente visto nella serie, le movenze sono fluide e credibili, le ambientazioni piene di dettagli e non mi sento assolutamente nel torto dicendovi che Soul Calibur IV è tra i giochi con la migliore grafica a cui ho mai giocato.

Soul Calibur IV

Quest’arena tra i ghiacci è tra le location più belle del gioco. Peccato siano poche.

Veniamo alle critiche: Soul Calibur IV ha un editor dei personaggi, come anche il predecessore, ma a differenza di questo, i personaggi che creerete saranno semplicemente dei cloni di quelli già presenti nel gioco. Ricorderete da settimana scorsa che vi dissi quanto fosse ricco Soul Calibur III (e quindi anche decisamente sbilanciato) con la sua quarantina di diversi stili di combattimento, alcuni presi dai protagonisti della saga, altri inventati ex-novo.
Ecco, in Soul Calibur IV potete scordarvi gli stili creati ex-novo; gli unici disponibili sono quelli dei personaggi base del gioco, e neanche tutti: mancano all’appello infatti Algol, Darth Vader, Yoda e Galen Marek aka The Apprentice. Come magra consolazione abbiamo la possibilità di scegliere tra una vastissima quantiytà di vestiti per testa, petto (3 layer), gambe (tre layer) cintura, piedi (2 layer) e se non bastasse, c’è la possibilità di custimizzare tipo e colore dei capelli, colore degli occhi, aspetto del viso, voce, sesso e fisico del personaggio, creando quindi donne esili o formose e uomini smilzi o forzuti.

Le varietà di aspetti che potrete creare supera in ogni suo aspetto quella presente in Soul Calibur III, ma l’assenza di stili “nuovi” rende i personaggi che creerete delle semplici “reskin” di personaggi che già ci sono. Potrete creare un Maxi al femminile o un ragazzo-checca che combatte saltellante come Cassandra, ma avrete sempre la sensazione di non aver creato qualcosa di nuovo, ma di aver semplicemente “mutato” un personaggio già esistente.
E questo, alla luce del fatto che gli stili Namco già li aveva, e che li avrebbe solo dovuto bilanciare un pochino, per me è una lacuna gravissima nonchè indice di pigrizia. Le mille e uno “scintille” del creatore di personaggi non riescono a reggere questa enorme mancanza.

Soul Calibur IV

Nonostante le sue lacune, l’Editor di Personaggi può ancora essere origine di scontri improbabili, come questo tra Ronald McDonal e Hatsune Miku!

Un ulteriore critica va detta per quel che riguarda il design dei personaggi, in particolare quelli femminili.
Adesso, io sono un maschietto eterosessuale e come tale non sono assolutamente contrario all’avere dei protagonisti femminili dei videogiochi dal bell’aspetto. E so bene che avere delle femme fatale, delle sex bomb o provocatrici di ogni genere nel proprio videogioco fa vendere (in questa luce, potrei quasi giustificare il banner messo per questo Wekaly Hobbyt, che però principlamente vuole richiamare quello “identico” del primo numero del settimanale). Ma sono assolutamente convinto che con Soul Calibur IV la Namco, in particolare Project Soul, abbia calcato troppo la mano. Avrete ormai visto le immagini allegate all’articolo, e capito da solo di cosa sto parlando. Le lottatrici principali della serie (Ivy, Sophitia, Setsuka, Cassandra, Seong Mi-Na, Taki e Tira) hanno tutte subite un (più o meno) SOSTANZIOSO aumento della taglia di seno. Per di più, Sophitia, Ivy e Taki hanno subito un tale cambio ai vestiti, che questo “ritocco” fisico abbia potuto mettersi in mostra il più possibile. E una delle guest character, Shura, non è da meno, con tanga e un decoltè molto profondo.
L’aumento del seno delle lottatrici di Soul Calibur era già una realtà nel secondo episodio della serie, e il graduale svestirsi di alcune delle donne del franchise era più o meno visibile su Ivy e Sophitia, ma con Soul Calibur IV siamo arrivati davvero a dei livelli assurdi. Il vestito di Ivy in particolare è una sfida ai consorzi di controllo dei contenuti dei videogiochi come PEGI, USK e ESBR, per vedere fino a dove una donna può essere spogliata per poter ancora rientrare nel PEGI 15/16/T tanto ambito dai giochi di lotta.

Soul Calibur IV

Shura è l’ennesimo esempio di sex symbol del gioco. E per di più è terribilmente sbilanciata!

Che la donna, in particolare nei videogiochi, sia visto principalmente come un “oggetto”, purtroppo, è un dato di fatto, ed gli esempi di donne “forti” sono presenti, ma purtroppo ancora fin troppo pochi. Ma Soul Calibur IV spinge davvero l’oggettivazione ai limiti. Sono d’accordo nel dire che Sophitia, Ivy, Taki e tutte le altre hanno una personalità nell’universo del gioco, e che riproporle sempre con gli stessi abiti e costumi, iterazione dopo iterazione del franchise, avrebbe stancato l’audience; ma c’è modo e modo di rinnovare l’aspetto di una donna, e questo sicuramente non include l’aumento delle caratteristiche fisiche. Per di più, essendo un gioco di lotta, la personalità di ciascuna di loro non viene davvero esplorata, e il loro essere è fondamentalmente quello del “personaggio che lotta, privo di vera e propria personalità”. Per di più, sono convinto di essere nella minoranza delle persone a sapere che Ivy in realtà è un’esperta di alchimia, che ha vicende familiari non legate a Cervantes che l’hanno portata ad essere una donna autoritaria e così via. Gran parte delle persone che giocano Soul Calibur, lo fanno (giustamente!) per il gameplay che è uno dei migliori nel genere dei giochi di lotta attuali, e se ne frega del background. E proprio per tali persone, le donne del gioco diventano per lo più un sex symbol, un oggetto. E Namco non ha fatto che sottolineare che, sì, le donne di Soul Calibur sono sex symbol, e visto che ci siamo, le spogliamo un altro pò e le maggioriamo un pò tutte.

Soul Calibur IV

Una dimostrazione lampante di quanto appena descritto: Sophitia nelle sue varie incarnazioni! La differenza tra la prima e l’ultima versione è paurosa, sembrano due personaggi diversi! (click per ingrandire)

Ripeto; sono un maschietto e non mi dispiace questo aspetto se accoppiato a una bella caratterizzazione anche psicologica del personaggio. Ma sono anche un acerrimo difensore dell’equità tra uomo e donna, e Namco qui ha oggettivizzato le proprie donne.

Detto tra noi, Ivy, Sophitia o Taki sono bombe, ma impallidiscono davanti alla personalità di una Alyx Vance o Midna o Jade.

Tiriamo un pò le somme, aspetto sessista a parte.
Soul Calibur IV è un buon gioco di lotta, che continua la tradizione di una serie che ha fatto del suo punto di forza un sistema di lotta agile, profondo, che da soddisfazioni a newbies e veterani e che ancora sa di fresco. Le modalità in single-player sono non male, e garantiscono una decina abbondante se non di più di ore di gioco, e il multi-player, tra l’online e l’offline, ne promette altre a dozzine e dozzine. Tuttavia, facendo il confronto col proprio passato, Soul Calibur IV è costretto a chinare la testa.

Soul Calibur IV

Yoda e The Apprentice sono due dei personaggi che sbilanciano il gioco!

L’editor di personaggi è inferiore a quello di Soul Calibur III, e le modalità in singolo non raggiungono il coinvolgimento di quelle presenti in Soul Calibur II. La veste grafica scintillante e le nuove aggiunte al gameplay come i Critical Finish sono tocchi carini, ma nulla di rivoluzinario. Il cast di personaggi è buono e meglio bilanciato di quello presente in Soul Calibur III, ma siamo distanti dalla perfezione raggiunta in Soul Calibur II. In particolare la presenza dei personaggi di Star Wars rovina leggermente il bilanciamento. Yoda è un personaggio non a caso bannato da tutti i tornei ufficiali di Soul Calibur IV, e The Apprentice risulta tra i personaggi più forti del gioco con rapidità e potenza delle mosse senza pari. Shura è un effettivo rimpiezzo al 100% di Cervantes, rendendo quest’ultimo personaggio effettivamente inutile. Un gioco di lotta con questi difetti è ovviamente sub-ottimale.
Se avete Soul Calibur II o III, tenetevi quelli e saltate pure questa iterazione del gioco. Soul Calibur IV è un ottimo gioco di lotta, ma non all’altezza dei suoi prequel. A meno che non lo trovate sotto i 20/15€. In tal caso l’aggiunta di nuovi personaggi come Amy, Hilde e Algol, e una buona modalità online valgono la pena. In ogni altro caso, lasciate stare.

Voto Personale: 8/10

Face YOUR Demons

(A cura di Wise Yuri)

DmC devil may cry

Odiato a morte anni prima che uscisse, schifato da legioni di fanboys per un Dante dal taglio di capeli diverso, e lodato in sede di recensione da praticamente qualsiasi testata, è venuto il momento di dire la mia sul discusso reboot di una saga che ha praticamente creato la formula del beat ‘em-up moderno, ma che qualitativamente è stata molto singhiozzante (imputati Devil May Cry 2, meritevole della nomea e dell’odio dei fan, ed in maniera minore ma comunque significante, Devil May Cry 4). Prendetevi un caffè o qualcosa del genere, perchè stavolta vado maggiormente nel dettaglio rispetto al solito.

Nota: la versione giocata è quella PS3.

Partiamo chiarendo una cosa: questo È un Devil May Cry, a prescindere da quello che molti affermino. Certo, è un reboot vero e proprio, che cambia moltissime cose, ma a pad alla mano, DmC è esattamente quello che il titolo implica, un nuovo titolo della serie, un nuovo Devil May Cry, non qualcosa di alieno alla serie (se volete vedere esempi di pessimi reboot, c’è roba come Bomberman Zero). Come ho già scritto nel mio hands on della demo, il reboot non era necessario (così far sviluppare il gioco ad uno studio esterno), ma visto il deludente (decente e godibile, sì, ma anche deludente in qualsiasi modo lo si guardi) e pigrissimo quarto episodio, perchè non dare una chance a sviluppatori interessanti e forse capaci di rimettere in sesto la serie, aggiornandola e dandogli nuovamente “sapore”?

Certo è che questo è stato un azzardo grosso (soprattutto per la Capcom), ma il risultato ottenuto non lascia spazio a dubbi: ne è valsa la pena. Partiamo dal piatto principale di DmC, ovvero il gameplay, perchè parliamoci chiaro, la serie di Devil May Cry è diventata quello che ora mica per una caratterizzazione di spessore dei personaggi. E sono molto felice di poter confermare quanto scritto nel mio hands-on della demo.

Il gioco (che d’ora in poi abbrevieremo in DmC, scritto così, per comodità) riprende il classico stile di combattimento della serie frenetico ma tecnico allo stesso tempo, con un tasto per l’attacco con spada, uno per le armi da fuoco, uno per gli attacchi speciali (sostituito in questo caso dall’ attacco che solleva il nemico in aria), ed uno per il salto. Quello che questo episodio aggiunge è un sistema di gestione delle armi simile a quello di Heavenly Sword (primo titolo della Ninja Theory di cui io e Cele abbiamo già parlato in più occasioni), che vi permette di passare al volo tra l’utilizzo della spada Rebellion -l’arma equilibrata- a quello delle armi angeliche -rapidissime ma deboli- o delle armi demoniache -lente ma potenti-, rendendo molto fluido il sistema di combattimento e permettendovi di concatenare combo come forsennati.

Il sistema di acquisizione ed upgrade delle mosse è pressapoco identico a quello di DMC 4, nel senso che le sfere rosse non servono più per comprare tutto, ma solo per gli strumenti. in DmC sconfiggendo i nemici ottenete anche sfere bianche, ed una volta che riempite la barra apposita, ottenete un punto spendibile in un miglioramento a scelta, tra abilità per dante e mosse per le varie armi. questo sistema funziona bene e permette che non abusiate dello stesso, rompendo così l’equilibrio di gioco.

dmc devil may cry screen

La possibilità di passare in modalità demoniaca/angelica ha un utilizzo anche per le sezioni platform, visto che in modalità demone potete utilizzare una catena per tirare a voi nemici ed ostacoli, ed in modalità angelica una per aggrapparvi ad appigli e nemici. L’idea delle due catene è una sorta di evoluzione del braccio demoniaco di Nero in DMC 4, ma qui funziona in maniera più immediata ed è molto più integrata nella struttura di gioco. Molto buona anche la varietà dei nemici. Come giù molti sapranno, andando in Devil Trigger il “nuovo Dante” assomiglierà al Dante originale, con capelli bianchi e cappotto rosso.

L’unica scelta discutibile a riguardo è quella di non permettere il lock-on manuale di un singolo nemico, che nei precedenti titoli aiutava anche a sopperire ad una telecamera non perfetta. Qui avviene automaticamente, ma stranamente questa mancanza non si sente moltissimo, visto che c’è di modo di cambiare il nemico inquadrato, soprattutto per quando dovete combattere nemici volanti, e per aiutarvi questo tipo di nemici lascia a terra una specie di piccolo tornado, ad indicare dove si trova il nemico volante. Per il resto basta abituarsi un pò a muovere la telecamera, però questa scelta di non mettere (anche opzionale) il lock-on manuale è davvero strana, ancor più visto che sarebbe bastato assegnare tale funzione ad uno dei pulsanti dorsali (infatti R1 ed L1 – e corrispettivi pulsanti del controller X-Box 360- sono usati entrambi per la schivata).

Alcune scelte discutibili sui controlli a parte, DmC riprende la formula vincente della serie, apportando alcune modifiche ed aggiunte che rendono il combattere i nemici ancora più divertente, visto che il sistema di combattimento è estremamente fluido e vi permette con un pò di pratica di fare tutto, non siamo a livelli di Bayonetta, ma indubbiamente è stato fatto un ottimo lavoro (una nota minore: le armi da fuoco rivestono un pò meno importanza rispetto a prima, ma non molto). Parlando delle modifiche fatte alla struttura di gioco, DmC presenta livelli impostati in maniera più lineare e diretta, e spariscono quasi in toto quei leggeri elementi esplorativi/puzzle dei vecchi episodi, sostituiti dalle sopraccitate sezioni platform che fanno utilizzo delle catene e dell’abilità di Dante di scattare in aria, le quali sono ben fatte (tanto che alcune missioni segrete sono delle vere e proprie gare in cui dovete padroneggiare bene le catene per vincere) e mostrano un’approccio più dinamico e più da beat’ em-up occidentale, che funziona molto bene. Comunque perdere qualche minuto in più per esplorare l’area paga sempre, perchè in quasi ogni livello ci sono delle anime da liberare, e chiavi di vario tipo che servono per aprire l’accesso alle missioni segrete.

Longevità e difficoltà: premetto che ho giocato il titolo direttamente alla difficoltà più alta disponibile all’inizio -la Nephilim, che dovrebbe corrispondere a quella Difficile-, ma rispetto alla Difficile dell’originale DMC o di DMC 3 è più facile, e più simile alla difficoltà standard della serie originale (che comunque era molto ben equilibrata e offriva una buona sfida). Quindi, sì, il gioco in generale è stato reso un pò più facile -ed in parte è “colpa” del sistema di combattimento che vi permette di fare come vi pare-, ma vi troverete comunque di fronte ad una buona sfida (se iniziate il gioco direttamente alla difficoltà Nephilim, che vi consiglio caldamente di fare se avete un pò di esperienza con giochi del genere), e per gli amanti delle sfide più difficili (come il sottoscritto), oltre a difficoltà superiori più cattive e con nemici più aggressivi dotati di pattern di attacco nuovi, in DmC è stato introdotto un nuovo livello di difficoltà, denominato “Inferno od Inferno”.

Se già la modalità “Paradiso O Inferno” (apparsa in DMC 3) era bastarda, in quanto sia i nemici che Dante morivano con un colpo, questa nuova modalità raggiunge livelli di masochismo incredibili, in quanto i nemici sono tostissimi, Dante muore con un solo colpo… ma i nemici ed i boss no. 😀 Parlando di boss, è un pò una mixed bag, buona parte di questi sono ben fatti, ma alcuni potevano essere decisamente fatti meglio, peccato.

dmc kat and dante

Per quanto riguarda la longevità in sè, completare il gioco la prima volta alla difficoltà Nephilim impiegherà 11/12 ore, la classica durata di un Devil May Cry, e sopra la media del genere (che si attesta alle 8/9 ore), e la rigiocabilità è altissima, tra molte difficoltà extra, missioni segrete da scovare e completare (una cosa gradita è che una volta affrontata la missione, potete rigiocarla selezionandola dal menù apposito e completarla se non l’avete già fatto), anime da liberare, trofei ed il ritorno della modalità Bloody Palace (che non è presente nel disco di gioco, ma ora può essere aggiunta scaricandone il DLC dovutamente gratuito), un survival mode che vi vede ad affrontare piani e piani (per un totale di 101, ma se non finite il gioco prima ne avrete a disposizione solo 3, quindi lasciatevela per il post game) di nemici sempre più tosti. Inoltre da questo mercoledì/giovedì è disponibile il primo DLC vero e proprio, Vergil’s Downfall, che pare essere uno dei pochi DLC sensati, cioè roba davvero extra e nuova, ma è presto per dirlo.

Aspetto tecnico e stile. Stilisticamente ci troviamo di fronte ad un lavoro meraviglioso, con scenari molto variegati, tra una città che letteralmente si distrugge e plasma per ostacolarvi, ambientazioni surreali, c’è una maggiore enfasi su quelli urbani, ma non mancano le classiche ambientazioni fantastico/gotiche della serie. Per quanto riguarda il design di nemici e boss, ci troviamo di fronte ad una via di mezzo, con design gotici e/o grotteschi, meccanico/tecnologico/urbani, e vie di mezzo. In linea generale la direzione artistica è molto ispirata e varia, passando da demoni con motoseghe e facce da putto a disgustosi abomini.

Un peccato che a livello tecnico il gioco non sia altrettanto eccellente, con ambientazioni e modelli poligonali che sono ben curati ma non mancano di sbavature, ed in generale fanno la loro porca figura, ma che non sono l’esplosione di potenza grafica che ci si poteva aspettare da un gioco di tardo 2012/ 2013, tutto qui. Personalmente l’unica cosa che avrei fatto è smussare un pò i modelli poligonali dei personaggi, perchè si nota nei filmati con la grafica in-game. La colonna sonora per la prima volta nella serie è composta non internamente, ma da due gruppi, Noisia e Combichrist, con un pò più di tracce elettroniche ma anche quelle metallare incazzate tipiche della serie.

dmc devil may cry crescent slash

Ed infine, parliamo della storia e della caratterizzazione, criticata dai fanboys del menga anche quando non si sapeva un ceppo su questa. C’è da dire che a prescindere l’idea di un reboot, di una nuova storyline e una caratterizzazione diversa avrebbe necessariamente spaccato l’opinione, ma -ripeto- che senso avrebbe avuto fare un reboot/remake …. e rifare tutto uguale? Ad ogni modo, la nuova storyline prende luogo al giorno d’oggi, in cui i demoni ci controllano, schiavizzano, avvelenano e lobotomizzano nell’ombra. Al capo di tutto ciò Mundus il re dei demoni, e dall’altra l’Ordine, un’organizzazione dedicata a combattere i demoni, ed infine, Dante (che stavolta è mezzo angelo e mezzo demone invece di essere un mezzo demone), che l’Ordine vuole tra le sue file per porre fine al dominio di Mundus. Facendo dei paragoni, è una storia sulle origini di Dante come DMC 3, ma allo stesso tempo è un’introduzione del personaggio come l’originale DMC (e da quello proviene Mundus, comunque molto diverso da com’era nell’originale). La trama è molto differente sia in stile che narrazione da quelle dei giochi precedenti, ed è effettivamente una trama più curata rispetto a quelle dei precedenti titoli, con toni e tematiche un pò più seri, un cambio che non mi è dispiaciuto, in quanto differente dal taglio action anni ’80 dei precedenti.

I personaggi ricorrenti (Dante, Vergil e Mundus e volendo anche Sparda) sono caratterizzati in maniera differente, mantenendo al contempo alcuni elementi o dettagli in comune con le caratterizzazioni precedenti (come i vestiti e le armi tipiche). Il personaggio che è rimasto più simile alla caratterizzazione originale è appunto Dante, che qui è più simile a quello visto in DMC 3, ma più punk/hooligan e leggermente scurrile. Parlando di scurrilità, lasciando da parte quel boss veramente sboccato presente anche nella demo (che sputa parolacce e frasi talmente esagerate da risultare comiche “ti rompo le osse, le trito e ci cago sopra” XD), nulla di così esagerato accade nel resto del gioco, ci sono le occasionali “vaffanculo” e famiglia, ma nulla a cui anni di cinema americano non ci abbiano abituato. Personalmente il personaggio che trovo maggiormente riuscito è la new entry Kat, che probabilmente è venuto meglio perchè non hanno dovuto cercare di creare una nuova caratterizzazione per un personaggio già esistente, senza però ignorare quella vecchia.

Ritornando sul discorso della caratterizzazione, è sì un pizzico più profonda rispetto a quella della serie originale (con personaggi più realistici e definiti), ma non di moltissimo, il che è un pò deludente, considerato che la Ninja Theory ci aveva abituato ad un character design assai migliore con Heavenly Sword e Enslaved. Forse dipende dal fatto che la Capcom non voleva qualcosa di troppo diverso dai precedenti Devil May Cry, forse dalle tante lamentele ricevute per il nuovo design di Dante, ma peccato. A questo riguardo, gli sviluppatori hanno deciso di inserire un paio di scene che letteralmente sbeffeggiano i fanboys che fin dai primi annunci hanno urlato “Dante senza capelli bianchi, personaggio orrido, boooh”, isteriche ed esilaranti. XD

Giudizio Finale: Devil May Cry- DmC è un ottimo beat’ em-up, dal gameplay frenetico ma allo stesso tempo tecnico, che prende varie suggestioni da altri titoli del genere e le usa per ridare vita alla serie Capcom, facendo alcune modifiche alla struttura classica ma mantenendo inalterato ciò che ha reso Devil May Cry una delle serie più celebrate ed amate, proponendo personaggi e storia differenti in stile (in questo caso più di matrice occidentale) ma non troppo lontani dalla serie originale per quanto riguarda la caratterizzazione. La via del reboot era evitabile e ci sono aspetti che possono essere migliorati ( e scelte opinabili come il ridurre la difficoltà base per facilitare l’esperienza e rendere il gioco più accessibile a tutti, il che è un trend un pò superfluo visto che esistono i livelli di difficoltà apposta), ma è stato fatto un’ottimo lavoro davvero, e non mi dispiacerebbe affatto vedere un seguito di questo reboot. Consigliato a chiunque non abbia pregiudizi su questo reboot (a coloro che gli hanno, ci spiace, non possiamo fare nulla per voi), ed ai fan della serie che volevano vedere un nuovo Devil May Cry e rifarsi del deludente 4 capitolo. Come si dice, haters gonna hate, gli altri si godranno un’ottimo beat ‘em up. 😀

Dishonored

(A cura di Alteridan)

Come sarebbe un videogioco in cui ci viene offerta l’opportunità di sfruttare qualsiasi arma, potere, o oggetto ambientale per eliminare i nostri nemici, o semplicemente per evitarli?

Sarebbe esattamente come Dishonored.

Alto tradimento

Di ritorno a Dunwall da una missione, la guardia del corpo Corvo Attano assiste praticamente impotente all’omicidio dell’imperatrice Kaldwin, sua amata e colei che ha protetto per anni, e al rapimento di sua figlia Emily per mano di misteriosi assassini. Non essendoci altri testimoni, Corvo viene accusato dell’omicidio e condannato a morte.

In prigione Corvo ottiene l’aiuto dei Lealisti, convinti che sia stato ordito un complotto per eliminare l’imperatrice ed attuare un colpo di stato per rovesciare il legittimo governo dell’impero. I lealisti, guidati dall’ammiraglio Havelock, aiutano Corvo a fuggire dalla prigione offrendogli l’opportunità di vendicarsi nei confronti dei cospiratori.

L’imperatrice Kaldwin e sua figlia Emily.

La trama di Dishonored prosegurà in modo piuttosto lineare non brillando di certo in quanto ad originalità, colpi di scena inclusi. L’intreccio narrativo diverrà via via solo un dimenticabile pretesto per il susseguirsi dei livelli, nulla più.

Un Corvo per ogni occasione

Dietro una trama banale e scontata si cela però un raffinato gameplay che unisce la frenesia di un first person shooter classico all’azione ragionata dei giochi stealth, e sarà il giocatore a decidere come comportarsi in ogni livello.

La libertà di azione in Dishonored è molto alta, complice una struttura aperta dei livelli e un pool di gadget e abilità sovrannaturali che rendono Corvo l’assassino perfetto. Già dalle prime fasi del gioco, infatti, Corvo riceverà la visita di un misterioso personaggio chiamato l’Esterno il quale concederà al protagonista il suo marchio garantendogli poteri inumani come il teletrasporto, la possessione, e altri ancora. Combinando questi poteri è possibile dare libero sfogo alle proprie fantasie omicide, o semplicemente passare inosservati attraverso i nemici fino a raggiungere l’obiettivo della missione.

È presente anche un utilissimo potere che mostra il cono visivo dei nemici e permette a Corvo di vedere attraverso i muri.

La libertà d’azione è presente anche nelle side quest: in ogni livello sarà possibile accettare missioni secondarie da altri personaggi e, a seconda di come le affronteremo, l’esito di queste missioni potrebbe avere un impatto anche piuttosto rilevante nelle missioni principali.

City 17 steampunk

Ciò che maggiormente colpisce in Dishonored è la cura per i dettagli. Ogni singolo ambiente, anche il più piccolo, di ogni singolo livello è rifinito fin nei minimi particolari, merito anche di una direzione artistica decisamente sopra la media.

Nel team di sviluppo di Arkane Studios sono presenti anche le menti che hanno lavorato alla realizzazione di Half-Life 2 e BioShock (va detto che Arkane Studios ha curato la direzione artistica del secondo capitolo della saga dei Big Daddy) e ciò si riflette positivamente sulla città di Dunwall.

Le baleniere e le balene hanno un ruolo centrale nel lore e nell’economia del gioco.

Realizzata tenendo in mente la Londra dell’età vittoriana, Dunwall è una decadente città in preda ad una terribile pestilenza, controllata palmo a palmo dalla milizia cittadina e divisa in compartimenti stagni da particolari barriere in grado di polverizzare chiunque le attraversi. Tutti elementi che influenzano a vario titolo le fasi di gioco.

Ogni uccisione perpetrata da Corvo va ad alimentare la pestilenza, ciò significa più ratti (letali se riuniti in gruppi) e più infetti, i quali attaccheranno Corvo a vista. Inoltre più uccisioni significano anche un maggior livello di allerta nei livelli successivi, con un numero maggiore di guardie. La milizia è anche in possesso di particolari armamenti statici, come le già citate barriere elettriche o le torrette automatiche: apparecchi piuttosto spartani ma non per questo meno letali.

Congedo con (dis)onore

Dishonored non è comunque esente da difetti.

Il principale difetto riguarda naturalmente la trama, il banale intreccio narrativo e la caratterizzazione povera dei personaggi stonano a fronte di una cura quasi maniacale nella realizzazione dei livelli e della distopica città di Dunwall.

L’intelligenza artificiale è pesantemente scriptata: la milizia cittadina si muove secondo pattern prestabiliti e una volta memorizzati sarà un gioco da ragazzi aggirarli. Da aggiungere anche che molto spesso le guardie non indagheranno a fondo nel caso notino qualcosa di strano, rendendo più facile la vita al giocatore.

Nonostante i combattimenti siano per lo più incentrati sugli scontri corpo a corpo, non mancheranno le armi da fuoco.

Dopo la seconda metà del gioco, se si raccolgono molti potenziamenti per i poteri, Corvo diventerà quasi invincibile e la difficoltà del gioco crollerà ai minimi termini denotando un lavoro di bilanciamento poco riuscito.

In ogni caso Dishonored è un’esperienza unica. In un oceano di seguiti e shooter senza carattere, Dishonored brilla come un faro di speranza per l’industria videoludica sana, quella fatta di innovazione e sperimentazione. Vale la pena di giocarlo anche solo per immergersi nella città di Dunwall e lasciarsi rapire da tutto il suo fascino genuinamente distopico.

Voto personale: 9/10

The Beatiful People?

(A cura di Wise Yuri)

Beautiful Creatures poster

Sì, sono andato a vedere questo domenica scorsa. Avrei preferito vedere Educazione Siberiana, ma già che ci sono vi parlo di Beatiful Creatures.

Per prima cosa, togliamo di torno le cose che volete sapere su questo film.

Sì, è quel tipo di film romantico/fantasy per teenagers che ha dimostrato di essere estremamente proficuo con la serie di Twilight, e quindi è ovvio che questo film nasce per sfruttare questo trend, ed anche in questo caso abbiamo una trasposizione da una serie di libri per ragazzi/e-giovani adulti/e, per la precisione una serie di quattro libri, quindi preparatevi a tre (o più, se verrà scelta la discutibile pratica della divisione in due parti) seguiti. Anche Warm Bodies (recensito dal sottoscritto nel numero 97 ) è nato nello stesso modo, ma perlomeno è riuscito ad utilizzare bene il setting da apocalisse zombie per rendere un pò più fresco il tutto, ed era una commedia divertente!

Volendo essere precisi in questo caso ci troviamo in una situazione più da fantasy classico, con streghe e maghi, invece che vampiri e licantropi (o quello che viene passato per tali mostri, ma divago), ma sono dettagli, perchè è sempre la solita storia di un’amore che “nun s’ha da fare”, ma l’amore vince su tutto, apocalissi, guerre, licantropi (o tizi a torso nudo, ormai non vedo la differenza… ok, ora la smetto), è come il nastro adesivo, risolve tutto.

Detto ciò, parliamo del film in sè. Non sto a spiegare nel dettaglio perchè è talmente clichè che già sapete perfettamente come funziona un film del genere, ma la premessa è che, in quella che è apparentemente una città dove anche i rami votano repubblicano -una specie di parodia della piccola città americana piena di bigotti e cariatidi che urlano al diavolo di continuo, e dove considerano Bukowski diabolico- un ragazzo normale trova la sua vita in questa cittadina tutta chiese, diavolo e divieti a dir poco soffocante. Una cosa strana è che una ragazza popola i suoi sogni ormai tantissimo, ma lui non l’ha mai incontrata, ne sa chi sia. Ma (e ripeto ma) le cose cambiano quando una strana ragazza appartenente ad un’antica famiglia locale arriva in città, e lui ovviamente se ne innamora subito, e poi scopre il suo “segreto”, ovvero che la ragazza è una maga. L’inghippo è che a breve diventerà sedicenne e si libererà il suo potenziale, non sapendo però se diventerà una mignottona oscura od una maga della luce al compimento del suo sedicesimo compleanno.

L’unica cosa che tiene insieme questo dramma magico/romantico/adolescenziale risiede come è resa la relazione tra i due protagonisti, due esseri umani una volta ogni tanto, con espressività, capaci di interazione reciproca, il che é già un passo in avanti rispetto alle facce vacue, inespressive ed insipide di Stewart e Pattinson.

In questo caso abbiamo degli attori che non sono dei supermodelli con la capacità recitativa di un blocco di balsa, ma ragazzi dall’aspetto normale e che si comportano con più scioltezza e naturalezza, ed é molto più facile immedesimarsi. Peró non aspettatevi chissà cosa, la recitazione é migliore di quanto visto in twilight, sì, ma non vuol dire molto, é come dire “sono più ricco del barbone che ormai vedo regolarmente fare saune nella spazzatura”. Qualcosa del genere. Comunque sono gli attori giovani -principalmente la coppia di protagonisti (e andando nello specifico il ragazzo, molto naturale e simpatico nel ruolo)- a recitare meglio, il cast di adulti comprende volti noti, gente del mestiere con esperienza, a cui evidentemente vanno bene particine piatte come quelle di questo film.

Il copione non è malvagio per un film del genere, ed alcuni scambi di battute sono a sorpresa briosi e ben scritti, ma in linea generale è roba mediocre, nulla di più, nulla di meno, tra clichè e battute telefonatissime. Ci sarebbe da dire che sebbene vada bene fare citazioni, il regista deve capire che c’è modo e modo di farle, e che i dialoghi ed il film non si deve soffermare troppo a lungo, fai una citazione e chi la capisce la capisce, ed è evitabile arrivare a scene in cui si vede un personaggio parlare di Bukowski e poi si vede leggerne un libro suo, curandosi solo di coprire a malapena il nome dell’autore. Probabilmente l’idea era di rendere comica la scena, ma non ne sarei troppo sicuro.

I personaggi sono i soliti clichè triti: il tutore cattivo ma non cattivo davvero, la strega mignottona malvagia, la bionda rompiballe baciapile, etc. I due protagonisti non si discostano molto, ma risultano molto più convincenti, soprattutto il protagonista, e perlomeno i personaggi sono personaggi, non sagome bidimensionali vuote (il che è quasi una sorpresa considerando la serie che ha portato a veder realizzato questo ed altri film). Lo scenario in cui prende luogo il tutto è appunto questa sottospecie di caricatura del piccolo paese di campagna americano, bianco, bigottissimo e conservatore, completa di giovani repubblicane pie che urlano “strega!” alla protagonista. So che è il classico scenario con personaggi fatti apposta per essere odiati e stupidi, ma è fin troppo ridicolo anche per un film del genere.

Ovvero la copertina del libro di Bukowski "censurata" nel film.

Ovvero la copertina del libro di Bukowski “censurata” nel film.

Proponendosi come un polpettone teen romance/drama/fantasy, ci si tende ad aspettare un po’ di spettacolo, duelli magici o molti effetti speciali, ed é qui che Beatiful Creatures delude le basse aspettative che si potevano avere.
Non tanto per quanto riguarda gli effetti speciali (che a parte un paio davvero ridicoli possono andare ma non sono nulla di che davvero), ma perché l’universo magico e mitologia creati sono davvero banali e pacchiani, con cliché a bidonate, e l’assenza di scene spettacolari appare quindi più una questione di budget che di stile, e finisce per pesare ulteriormente. Parliamoci chiaro, in linea di massima un film non si fa (o meglio, non si dovrebbe fare) buttando allo spettatore effetti speciali ed esplosioni o azione a caso, ma per un prodottino del genere, fatto mica per l’arte, non avere neanche un pò di eye candy secca, sopratutto dopo gli Harry Potter, per dire un nome a caso. Una piccola nota sulle tematiche, che sembrano vagamente femministe per alcuni dettagli.

Cos’è rimasto? Il finale, credo – che non spoilerò, sebbene non ci sia poi molto da spoilerare-, il quale prepara il terreno per il prossimo film della serie. Nel complesso, Beatiful Creatures è una di quelle love story da teenager, riproposta nel formato “teen drama con supernaturale, magia e mostri” che va di moda ora, che se da una parte propone una coppia meno bellona e più realistica (e con attori un pò meglio rispetto a…. “quella serie”), dall’altra l’elemento magico e il cosiddetto mythos (cioè la mitologia interna, l’insieme di regole, creature ed eventi presenti nell’universo narrativo) sono davvero banali e triti che viene da domandarsi se ne valeva la pena, e non c’è molto spettacolo ed uso di effetti speciali. Se proprio dovete vederlo, beh, prendetelo per quello che è (ma in questo confido nel fatto che non abbiate bisogno di una recensione intera per capire a cosa vi trovate di fronte, il trailer basta), una mediocre love story con elementi e setting “maggici” costruita a tavolino per un tipo di pubblico specifico, non orrida, solo mediocre, nulla di più, nulla di meno. C’è tanto di peggio. XD

E con questa abbiamo finito anche per questa centesima settimana! Spero che abbiate apprezzato questi articoli di “alta caratura” presenti in questo numero e ci rivedremo settimana prossima con nuovi interessanti argomenti! Alla prossima e a altri 100 Numeri così e migliori di così! =)
Grazie ancora di cuore a tutti voi che ci leggete! =)

Una Risposta to “The Weakly Hobbyt #100”

  1. The Weakly Hobbyt #178 | Checkpoint Café Says:

    […] in collaborazione con vari mangaka, davvero nulla da dire che non abbia già detto Celebandune nella sua recensione. Per quanto riguarda le altre modalità, c’è il classico Versus in locale, un classico […]


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